
Cosa c’è di così impressionante, di così affascinante negli assoli di Zappa? Che cosa lo rende così interessante tanto da poterlo ascoltare senza annoiarti mai?
In parte, è la qualità del suo tono. Pochi altri chitarristi hanno impiegato tanto tempo, attenzione e denaro per ottenere esattamente il suono che volevano. Cercando il suono più sporco, oscuro e osceno che si possa immaginare, o il suono più gentile, morbido e toccante del pianeta, Zappa ha lavorato per il suo desiderio di creare il tono perfetto. Solo questo lo pone al top. E’ ciò che ha fatto con quel tono perfetto che conta davvero. Ha descritto i suoi assoli come ‘conversazioni’ che sfruttavano i ritmi del parlato; è come sentire un oratore sviluppare un argomento. Dipinge un’immagine sonora che ti porta in posti dove non avresti mai pensato di andare, sonda tutte le possibilità lungo il percorso, sgrossando e interrogando ogni ritmo, ogni armonia, senza mai ricorrere a cliché o virtuosismo fine a se stesso.
Ciò che ti colpisce davvero è la qualità muscolare del tono, il modo in cui l’assolo acquisisce lentamente potenza senza mai fermarsi per riprendere fiato, la casuale spensieratezza del taglio grezzo del suono e la sorprendente miscela di minaccia e compassione che riesce a spremere da una breve pausa strumentale. L’insistenza ipnotica della sezione ritmica sembra ispirargli solo maggiore inventiva, emergono colpi di scena lamentosi da una nuova angolazione o da una nota inaspettata.
Si potrebbe dire questo o cose simili della maggior parte degli assoli di Zappa. Una volta che iniziano a parlare a te parlano davvero, in modi che potresti cercare invano altrove. Non tutti lo capiscono. Per l’appassionato restano il cuore pulsante della musica di Zappa, il punto in cui composizione e compositore si incontrano, trasfusi in una zigosi sonica pullulante.
(estratto dall’articolo “Shut up and listen some more?” di Sam Ayore, The Rondo Hatton Report vol. VIII – 21 settembre 2011)