“Francesco Zappa era un compositore del Settecento di Milano, un contemporaneo di Mozart, e quella è la sua musica. La sto immettendo nel computer per ricavarne un album. E’ musica molto bella, è parte dell’Opus 4 per terzetto d’archi. Probabilmente, è un mio consanguineo. Non ho fatto una ricerca sull’albero genealogico della mia famiglia, ma la mia famiglia è originariamente siciliana e, anche se lui è milanese, il suo opus è dedicato a Piano Patensiano, che si trova in Sicilia, il che indica che probabilmente ci è andato di persona e forse si è scopato qualche ragazza, quindi non si sa mai…”.
(FZ, tratto dall’intervista di S. Gunn, Iconoclast – Tuttifrutti – luglio 1984)
“Penso che l’attuale sistema di educazione musicale sia destinato a formare persone che non sanno nulla di musica. Gran parte dei musicologi sottovaluta le esibizioni dal vivo e sopravvaluta lo stile accademico. Penso sia sbagliato. Tutti dovrebbero poter suonare qualcosa, provare la gioia di mettersi a suonare uno strumento e rendersi conto di cosa significa fare musica, non solo parti assegnate. Alle persone dovrebbe essere data l’opportunità di improvvisare e di inventare qualcosa. Proprio lì su due piedi”.
(FZ, tratto dall’intervista di Mark Roberts, Iconoclast – marzo 1974)
“E’ impossibile stabilire quanti dischi abbiamo venduto. I resoconti che riceviamo dalla Metro-Goldwyn Mayer fanno talmente schifo da non poterci fare affidamento. Le vendite sono stimate da 300.000 a 800.000. E’ stato presentato un ricorso e stiamo verificando i loro registri. Preferirei non registrare del tutto piuttosto che tornare con la Metro-Goldwyn Mayer”.
(FZ, tratto dall’intervista di Jerry Hopkins, Rolling Stone – luglio 1968)
FZ & MOI – Blues Improvisation (Live a Vancouver 1975)
In copertina un disegno di Jim Mahfood
Non si può parlare di semplice improvvisazione nel caso dei Mothers. Frank Zappa dirigeva una serie di variazioni improvvisate controllando forma e stili. Lui la chiamava conducted improvisation (improvvisazione eterodiretta) cioè diretta da un altro, dall’esterno. Una contraddizione in termini in ambito jazz. Zappa ne era pienamente consapevole. Improvvisare una composizione usando i musicisti come semplici strumenti dirigendo dall’esterno le loro invenzioni estemporanee. Muoveva le dita nell’aria e la musica semplicemente avveniva con il suo codice gestuale e gli impulsi energetici del Maestro.
(Il teatro musicale dei Mothers of Invention, Gianfranco Salvatore)
Un musicista deve saper leggere gli spartiti per far parte della tua band?
“Aiuta sempre. Le due caratteristiche principali che deve avere un musicista per far parte della mia band é la velocità e la capacità di memorizzare. I nostri spettacoli durano 2 ore, 2 ore e mezza senza sosta e sono organizzati, a parte gli assoli che sono improvvisati. La sequenza degli eventi è pianificata in modo tale che lo spettacolo sia serrato e il pubblico non debba sedersi ad aspettare che succeda qualcosa. Quindi, richiede molta capacità di memorizzazione, memorizzazione rapida. Non puoi impiegare un anno ad insegnare a qualcuno uno spettacolo. Negli ultimi due tour, io e la mia band abbiamo passato tre mesi (5 giorni alla settimana, 6 ore al giorno) a memorizzare e mettere a punto lo spettacolo. Le prove sono un investimento molto costoso: 13.250 dollari a settimana. Proviamo con l’attrezzatura completa, la troupe completa e un palcoscenico”.
C’è stato un tempo in cui dovevi adattare le tue composizioni alle capacità dei tuoi musicisti.
“Lo faccio ancora”.
Ci sono momenti in cui vorresti scrivere musica complessa ma non puoi convincere nessuno a suonarla in tour?
“Succede tutti i giorni. Il tipo di musicisti di cui ho bisogno non esiste. Ho bisogno di qualcuno che capisca i poliritmi, che suoni qualsiasi stile musicale, capisca la messa in scena, il rhythm and blues e come funzionano molte diverse tecniche di composizione. Quando assegno una parte ad un musicista, dovrebbe sapere come funziona nel mix con tutte le altre parti”.
(FZ, Down Beat, 18 maggio 1978)
Il disprezzo di Zappa per le distinzioni accettate tra arte “autentica” e “non autentica”, alta e bassa, così come altre gerarchie estetiche e generiche, è solo un aspetto del suo impegno per la via affermativa della musica contemporanea, che lo accosta ad altri artisti eccentrici come Charles Ives – tra i primi ad integrare elementi di musica “bassa” (inni gospel, jazz, fanfara) e musica classica/orchestrale – e il maestro di Zappa, Edgar Varèse, con cui condivide non solo l’interesse per il bruitismo (o rumorismo, l’arte dei rumori basata su musica e percussioni) ma anche un debole per gigantesche strutture compositive che superano lo standard della performance tradizionale (Varèse ha utilizzato 400 altoparlanti per eseguire il suo “Poème électronique” all’Esposizione Mondiale di Bruxelles del 1958).
(dal libro “Frank Zappa, Captain Beefheart and the Secret History of Maximalism” diMichel Delville e Andrew Norris, 2005, Salt Publishing)
Un tratto in comune tra Zappa e Varèse è la convinzione espressa da quest’ultimo che la musica debba sempre essere “sintesi d’intelligenza e volontà” conservando un’idea forte di composizione. Zappa è, in realtà, molto più vicino a un compositore come Ives che, all’inizio del secolo, mirava a suggerire l’effetto spaziale di bande che si avvicinano, s’incrociano e si allontanano con l’uso contemporaneo di melodie diverse con ritmi e tempi diversi.
Zappa ha detto: “Questa tecnica è stata adottata fin da ‘Absolutely Free’. Nella nostra versione da poveri, il gruppo si divide in tre parti e suona “The Star-Spangled Banner”, “God Bless America’ e ‘America The Beautiful’ tutte allo stesso tempo, ricreando una versione amatoriale della collisione multipla di Ives.
(Ciao 2001, 3 luglio 1990)
Zappa ha più volte sottolineato il suo apprezzamento per il dada e, in verità, del dada Frank ha mutuato procedimenti formali (collage, assemblage, gioco di parole, parodia) e modi di pensare (anarchismo, antiautoritarismo, valore eversivo del sesso, esortazione a non farsi infinocchiare dall’establishment, satira rivolta contro il filisteismo, il romanticume, l’intellettualismo, ecc.).
Tra i musicisti ‘colti’ cui Frank ha guardato e da cui ha attinto, Erik Satie ha un posto di rilievo, non a caso vicino al dada. Satie, come Zappa, riempie la sua musica di citazioni ironiche di musiche popolari (in Satie sono quelle del circo e del luna-park, delle bande, delle danze di moda) usando in modo stilizzato modi del cabaret: l’uso del rumore, in Zappa come in Satie, è dissacratorio e ironico.
Xenocronia realizzata da Roxa con musiche di Frank Zappa e Rolling Stones
Tra le tante citazioni musicali di Frank Zappa, una delle più note si trova nel brano Hungry Freaks, Daddy (Freak Out!, Verve / MGM, 1966).
Hungry Freaks, Daddy è un richiamo esplicito, ironico e caricaturale al brano “I can’t get no satisfaction” dei Rolling Stones.
“Mi piacevano i Rolling Stones”… Una volta, Mick Jagger mi ha tolto una scheggia dall’alluce. E’ venuto a casa mia, saltellavo a causa di questa scheggia e l’ha tirata fuori… Mi è piaciuto il suo atteggiamento e quello degli Stones. Alla fine, però, la musica veniva fatta perché era un prodotto. Era musica pop creata perché c’era una casa discografica in attesa di dischi”. (FZ, Playboy aprile 1993)
“Stavo uscendo incespicando dallo studio ed ho sbattuto l’alluce su un pezzo di legno o qualcosa del genere. Mick Jagger mi ha tolto la scheggia dal dito del piede. E’ stata quella la prima volta che l’ho incontrato” (FZ, The Rock Report, luglio 1989)
Gail ricordò che Frank Zappa si era preso una scheggia nel piede dopo aver camminato a piedi nudi sui pavimenti in legno molto rustici della baita. “Mick Jagger si è messo a quattro zampe ed ha afferrato il piede di Frank per vedere che tipo di aiuto poteva offrirgli. Frank ne è rimasto davvero sorpreso: è stato molto genuino e molto spontaneo”.
Pare che Frank Zappa una volta cacciò Mick Jagger e Marianne Faithful dalla sua casa di tronchi alla fine degli anni ’60 perché erano troppo “ubriachi”.
Il fatto che Zappa fosse notoriamente contrario alla droga ha dato credito a questa storia, ma secondo sua moglie Gail la vera storia è molto più insipida ma anche più carina.
“Quello che ricordo – raccontò Gail – è che Mick Jagger venne con Marianne Faithful. Lei volle dimostrare la sua abilità con il tamburello. Dopo qualche minuto, Marianne scostò i vestiti per mostrare i lividi che il tamburello le aveva causato sul sedere e sul fianco. Fu molto emozionante”. (tratto dal libro “Laurel Canyon: The Inside Story)
Il 12 luglio 1968, all’una di notte, Mick Jagger invitò Frank e Gail Zappa nello studio di registrazione dove lui e Keith Richard stavano mixando i brani del loro album, Beggars Banquet. (Pauline Butcher Bird)
Nel 1980, durante un’intervista per la BBC Radio 1, Frank Zappa ha stilato una speciale classifica delle sue 30 canzoni preferite spaziando dal rock all’heavy metal, dal pop al post punk ed alla musica classica.
Al 24° posto compare ‘Paint It Black’ dei Rolling Stones.
Frank Zappa definisce il brano “Paint It Black” dei Rolling Stones un capolavoro assoluto.
Gli arrangiamenti dalle sfumature orientali degli Stones conferiscono alla registrazione un’atmosfera decisamente psichedelica.
Utilizzano strumentazione indiana, alle Fiji gli Stones iniziarono a suonare il sitar.
Zappa ha sottolineato il ruolo di Brian Jones, il carismatico chitarrista del gruppo, nella realizzazione del disco. Secondo lui, Brian Jones è nato per suonare il sitar.
(Far Out Magazine)
“Gli Stones sono ancora il miglior sound in Inghilterra. Ho appena ricevuto una copia di “Beggar’s Banquet”, ma il mio album preferito è “Between The Buttons”. Lo considero superiore a “Sgt. Peppers” dei Beatles. Diverse star vanno in giro con le loro Rolls Royce, ma puoi immaginare Jagger seduto in una di quelle auto mentre si toglie le scarpe o si stuzzica il naso e lo pulisce sulla tappezzeria?”
(FZ, Record Mirror, 7 giugno 1969)
L’album dei Rolling Stones preferito da Zappa è Between The Buttons (la versione americana). “Non mi piace molto la versione inglese perché contiene una serie di brani completamente diversi. Rappresenta un pezzo importante di commento sociale del momento. Ricordo di aver visto Brian Jones molto ubriaco allo Speakeasy una notte e di avergli detto che mi piaceva e che lo ritenevo superiore a Sergeant Pepper… dopodiché ruttò discretamente e si voltò”. (FZ, Let It Rock, giugno 1975)
Zappa: “I Rolling Stones erano funky. Non era necessariamente un blues dal suono colorato, ma era davvero funky”.
Intervistatore: “Sì, il funk della classe operaia britannica”.
Zappa: “E questo valeva, tranne quando cercavano di esagerare con Chuck Berry”.
(tratto dall’intervista di Frank Kofsky a FZ, 1969)
“In genere, mi piacevano di più i Rolling Stones che i Beatles in quel periodo perché erano più coinvolti nel blues.” (FZ, The SongTalk Interview, 1994, vol. 4, numero 1).
Uncle Meat – FZ & The Mothers of Invention (Live ad Appleton, 23 maggio 1969)
In copertina un disegno di Jim Mahfood
Cos’è un “Octave bass” (usato su Hot Rats)?
“È un basso che è stato accelerato di un’ottava per portarlo all’estensione della chitarra. Accelerarlo non solo cambia la velocità con cui suoni le note, ma cambia l’inviluppo delle note e dà un attacco più incisivo. E sai come suonerà un basso per molto tempo? Ti dà un diverso tipo di sostegno; il sustain esce un’ottava più alta”.
Su quali scale lavori?
“I miei assoli sono ritmicamente influenzati dal parlato; armonicamente sono orientati pentatonici o poliscala e c’è la modalità Mixolydian, che uso molto”.
Ci sono canzoni in cui hai registrato più di una semplice traccia ritmica e solista?
“Sì, “Po-Jama People” (One Size Fits All), “Filthy Habits” (Zoot Allures) ha cinque parti di chitarra, alcune cose con più parti di chitarra in We’re Only in It for the Money e Uncle Meat”.
(FZ, Guitar Player, gennaio 1977)
Sei uno dei pochi chitarristi che sfruttano al massimo le corde gravi. Esegui molti suoni armonici estremamente ricchi sulle corde gravi. Cosa c’è dietro a questo tipo di suono?
“Tutto quello che c’è da fare è toccare la corda Mi [basso] proprio al tasto Sol, e via. Ci sono quattro o cinque armonici in quel piccolo intervallo tra il tasto Fa e il tasto Sol diesis – punti diversi lì ti permetteranno di ottenere cose strane. La stessa cosa succederà sulla corda La e su tutte le altre corde avvolte”.
Molti chitarristi rock sembrano più interessati a stridere sulle corde alte.
“Penso che gran parte dei chitarristi tenda a suonare nello stesso modo in cui parla. Visto che io non sono un gran ‘fischiatore’ ma un baritono, suonare sulle corde basse è più in sintonia con la mia realtà”.
(FZ, Guitar World, dicembre 2003 – intervista a Frank Zappa del 1988 condotta da Alan di Perna)
“Ciò che so fare meglio con la chitarra richiede un accompagnamento. Non posso sedermi e suonare accordi e linee allo stesso tempo su una chitarra – come un chitarrista classico – e farne qualcosa di musicalmente coerente. Faccio o l’uno o l’altro, non contemporaneamente. Non ho la coordinazione per strimpellare accordi e cantare simultaneamente. Non riesco proprio a farlo. Ho un’estensione vocale di circa un’ottava. Quindi, in realtà, sono piuttosto limitato in questo senso. Se dovessi andare in tournée o altrove, l’unica cosa che potrei fare da solo sarebbe tenere una lezione. Ho ricevuto offerte per tenere lezioni”.
(FZ, High Times, marzo 1980)
Con oltre nove ore di materiale registrato, Zappa ha creato un puzzle che eguaglia quello di Burroughs (nella scrittura) e Warhol (nel film).
Nel tentativo di guardare al suo lavoro, è un errore prendere ogni album solo come qualcosa di individuale. Ogni pezzo di lavoro registrato si adatta (non sempre perfettamente) ai pezzi precedenti così come a quelli che non sono ancora stati scritti, figuriamoci registrati.
Ci sono canzoni in un album che riappaiono circa un anno dopo in uno nuovo in una forma diversa. Le cose si incastrano l’una nell’altra per un certo numero di anni. Ci sono anche ri-riferimenti. Burroughs li chiama “ritagli”; Zappa, per quanto ne so, non ha un nome particolare per questo. Qualche anno fa, Barry Miles scrisse su IT riferendosi a Zappa come a un vecchio alchimista perché si concentrava su un solo problema e tentava di risolverlo esaminandolo in ogni modo possibile. Zappa è una di quelle persone uniche in grado di osservare oggettivamente il proprio ambiente, essendo consapevole della maggior parte delle forze musicali che lavorano su di lui e intorno a lui, filtrando tutto e ricostruendo la sua personale visione del mondo.
(Muther Grumble, 2 febbraio 1972)
Nessuno sa dove inizia e dove finisce la «grand œuvre» di Frank Zappa. L’unico modo per entrare in quella sfera è prendere a caso una canzone, un album, una nota o un testo e lasciare che la musica attraversi la parte più brutta del tuo corpo. Questo è ciò che dice il primo album «Freak Out»: devi dare di matto per entrare nella sfera!
Ogni singola nota di un pezzo di Zappa rimanda ad un’altra, non importa quando sia stata scritta, non importa perché, non importa per chi….
La sfera è tipicamente un’immagine del concetto AAFRNAA. Questa è la prova stessa che Zappa era sia dadaista che dadaista surrealista. Da un lato, secondo la continuità dadaista/concettuale, ogni singola cosa che ha fatto (musica, film, avvenimenti, ecc.) è stata pianificata come una causalità infinita. D’altronde, come facevano i surrealisti, tutto ciò che ha fatto o eseguito Zappa è stato registrato, datato, rintracciato, referenziato. È come se volesse catturare e trattenere la perfezione del momento presente.
(ZAPPA’S MUSIC IS A SPHERE – Guillaume Dauzou & Sabrina Bergamin)
Il primo cappello lo avevo già individuato osservando alcune foto scattate durante il concerto di The Yellow Shark. L’ho confrontato con un cappello da giullare carnevalesco prodotto in Germania che, probabilmente, l’ha ispirato personalizzando il suo (sicuramente, l’ha fatto realizzare su misura).
Il secondo cappello l’ho scoperto curiosando tra gli oggetti venduti all’asta Julien’s Auction. Un cappelloda giullare multicolore in pelle scamosciata e pelle con borchie metalliche indossato da Frank Zappa in un ritratto.
Il cappello è impreziosito da borchie metalliche e applicazioni in pelle, una delle quali raffigura un volto disegnato da Robert James Davis.
Il cappello da giullare rappresentava bene il suo ruolo artistico.
Frank Zappa, il genio travestito da joker, ha unito la musica colta a quella popolare. Nel mondo di Zappa i confini tra musica colta e popolare sono completamente aboliti nel nome di un’assoluta libertà creativa.
I giullari, facendo i cantastorie, i buffoni e i giocolieri, divennero il maggior elemento di unione tra la letteratura colta e quella popolare.
Erano guardati con sospetto dalla Chiesa cattolica che ne condannava il modello di vita e i canti.
Considerati i primi veri professionisti delle lettere (in quanto vivevano della loro arte), i giullari ebbero una funzione molto importante nella diffusione di notizie, idee, forme di spettacolo e di intrattenimento vario. Svolgevano la loro attività in diversi modi e si servivano delle tecniche più disparate, dalla parola alla mimica fino alla musica.
“Ho tonnellate di composizioni realizzate su Synclavier. Ci lavoro ogni sera. L’orario del Synclavier è di solito dalle 23:00 alle 7:00 del mattino. Ci sono forse 500 composizioni su floppy disk. Ci lavoro a caso finché non sono finite”.
(FZ, Guitar World, dicembre 2003 – intervista del 1988 condotta da Alan di Perna)
NOTE: tutto questo Frank Zappa lo diceva nel 1988. Abbiamo idea di quanto materiale realizzato su Synclavier possa essere recuperato nel Vault gestito oggi dalla UMG?
“C’è un’intera sottostruttura di quella che chiamano musica pop, che è l’heavy metal, in cui la chitarra domina e questo non cambierà mai. È uno stile che probabilmente ci accompagnerà finché l’inferno non gelerà, per usare un termine rock and roll. Ma se parliamo di Whitney Houston, di quell’altro tipo di musica pop, cercano di tenere fuori gli elementi blasfemi. Non c’è niente di AOR o MOR in una chitarra fuzz. Cercano di rendere l’orchestrazione di quelle canzoni il più neutrale e confortevole possibile. Penso che il pubblico venga, in una certa misura, ingannato da ciò che viene trasmesso. Perché ciò che viene trasmesso non è necessariamente un’indicazione accurata di ciò che le persone scrivono o registrano. Ciò che, di solito, passa alla radio è il prodotto più banale che ogni casa discografica riesca a mettere insieme. Negli Stati Uniti, la radio è davvero un imbarazzo culturale. L’unica radio creativa che puoi ascoltare è quella che chiamano radio shock, dove la gente parla e inventa cose. C’è una piccola scintilla di creatività lì. Ma la maggior parte della musica trasmessa è dannosa per la salute mentale degli ascoltatori. Le radio sono formattate così, anche quelle universitarie, perché tutti vogliono fare il salto di qualità riguardo all’orientamento alla carriera. Tutti guardano l’orologio e pensano alla pensione dimenticando quanto sia divertente suonare. E’ questo il problema. Se tutti i musicisti amassero la musica così tanto da suonarla a prescindere da tutto, allora tutti i dischi sarebbero fantastici e ciò che verrebbe trasmesso in radio sarebbe meraviglioso. Ma la radio ci sta mostrando che la gente non ama la musica così tanto, ma ha un’idea fantastica di come dovrebbe andare la propria carriera. È un po’ triste, un po’ noioso e un po’ vero… Gli anni Settanta mi sono rimasti impressi come gli anni in cui è stato inventato il rock aziendale. La gente ha deciso che quello sarebbe stato l’unico tipo di rock che la razza umana avrebbe mai sentito da allora fino alla fine dei tempi. A parte le band heavy metal, che stavano realizzando la loro visione di bellezza. Ma poi anche quella è diventata praticamente una formula. L’heavy metal ha subito un vero declino con l’arrivo dei video. Da allora, non era tanto importante quanto sapevi suonare ma quanto potevi risultare imponente davanti a una telecamera. Il membro più importante di ogni band heavy metal è il parrucchiere, l’eroe non celebrato del rock and roll… Il metal esiste da un sacco di tempo. Ricordo un tempo in cui la gente non lo vedeva di buon occhio, parlo dei primi Black Sabbath e roba del genere. Quando dico “gente” mi riferisco ai critici rock e al tipo di persone che pensano di sapere. Ma a chi comprava i biglietti per i concerti piaceva sempre, anche se non veniva trasmesso alla radio. Non credo che Ozzy finirà in miseria tanto presto…”.
“Quello che faccio non può adattarsi ad un format aziendale. E a meno che non ci sia un miracolo evolutivo a livello di trasmissione radiofonica, nessuno ascolterà mai queste canzoni alla radio. Di certo, MTV non trasmetterebbe mai un video fatto da me”.
(FZ, Guitar World, dicembre 2003 – intervista a Frank Zappa del 1988 condotta da Alan di Perna)
Sei uno dei pochi chitarristi che sfruttano al massimo le corde gravi. Esegui molti suoni armonici estremamente ricchi sulle corde gravi. Cosa c’è dietro a questo tipo di suono?
“Tutto quello che c’è da fare è toccare la corda Mi [basso] proprio al tasto Sol, e via. Ci sono quattro o cinque armonici in quel piccolo intervallo tra il tasto Fa e il tasto Sol diesis – punti diversi lì ti permetteranno di ottenere cose strane. La stessa cosa succederà sulla corda La e su tutte le altre corde avvolte”.
Molti chitarristi rock sembrano più interessati a stridere sulle corde alte.
“Penso che gran parte dei chitarristi tenda a suonare nello stesso modo in cui parla. Visto che io non sono un gran ‘fischiatore’ ma un baritono, suonare sulle corde basse è più in sintonia con la mia realtà”.
(Guitar World, dicembre 2003 – intervista a Frank Zappa del 1988 condotta da Alan di Perna)