
John Smothers aveva tutte le caratteristiche tipiche della più tipica guardia del corpo: quasi due metri d’altezza, fisico a tre ante, preferibilmente ricoperto da un kimono mimetico.
John era la guardia del corpo di Frank Zappa. Nato a Baltimora, come Frank, quando parlava in pubblico di argomenti che dovevano restare segreti, usava un particolarissimo slang proveniente da quella zona del Maryland: nessuno avrebbe capito.

Ma non era questa l’unica lingua anomala parlata o scritta da Frank. In effetti, una delle caratteristiche principali dell’intera opera zappiana è forse quella che risulta meno appariscente a chi non si sia profondamente introdotto nella logica illogicità del Grande Progetto-Oggetto: così come Frank Zappa è riuscito a stravolgere la banale comune sequenza del pentagramma rock introducendovi tempi, interventi e colorazioni così personali da non risultare presenti altrove, nello stesso momento ha scelto di manipolare il linguaggio e i contenuti dei suoi testi a tal punto da creare una propria, talvolta difficilmente interpretabile, lingua.

Se l’ironia e la dissacrazione sono le reali chiavi di lettura dell’opera omnia compositiva, il sarcasmo e la corrosività dei contenuti sono le originali, uniche, caratteristiche dei suoi testi. Il linguaggio zappiano sboccato e sfrontato, ironicissimo e irriguardoso è un meraviglioso esempio di come si possono creare gustosissimi neologismi mescolando slang nero a dialetti italiani, raffinati francesismi alle peggiori trivialità anglosassoni. Il tutto non solo senza divenire minimamente volgare o dozzinale, ma risultando addirittura l’unico complemento metrico alla scansione musicale zappiana.

Nel mondo di Frank Zappa la fantasia diventa realtà e i figli si chiamano Moon Unit, Dweezil, Ahmet e Diva, e l’unico nome plausibile per uno studio di registrazione sotterraneo è “La cucina per la ricerca dell’utilità della brioche” (The Utility Muffin Research Kitchen).
(Giancarlo Trombetti, Sonora n. 4 – 1994)


