Frank Zappa's mustache - Music is the Best

Categoria: FZ Topix

  • Frank Zappa, verbal and musical language: Did FZ believe in the power of the word or not?

    Frank Zappa, verbal and musical language: Did FZ believe in the power of the word or not?

    The Mud Shark (Live At Fillmore East, giugno 1971)

    “La gente non parla in 4/4 o 3/4, parla dappertutto. La mia chitarra tende a seguire la cadenza naturale del linguaggio parlato: per me, la cosa più difficile è suonare ‘dritto’, battere e levare”. (Frank Zappa)
    Questo interesse per la lingua parlata trapela spesso nella musica di Frank Zappa tanto nelle composizioni vocali quanto in quelle strumentali. Certe figurazioni ritmiche complesse fanno sospettare che siano in qualche modo ispirate alla scansione del linguaggio parlato, quasi alla ricerca di una natura ritmica alternativa o antagonistica alla misurazione metronomica. Anche The Black Page sembra non di rado assumere le movenze tipiche di un parlare fortemente concitato.
    (dal libro Frank Zappa Domani di Gianfranco Salvatore)

    “Una melodia è come un discorso: puoi dire una frase con una pausa qui, un’enfasi qui e assume un significato diverso. Un particolare gruppo di note non è solo una parola, è un intero concetto. Confrontalo con i caratteri cinesi”.
    (Frank Zappa, Journal Frankfurt n. 19, settembre 1992)

    “La gente non parla con un ritmo regolare. Nelle conversazioni ci sono pause, inflessioni, diversi tipi di accelerazioni e ritardi, quindi perché non si potrebbe suonare allo stesso modo? Se fai un assolo, in un certo senso ‘parli’ al pubblico, giusto?”.
    (Frank Zappa, Chitarre n. 73, aprile 1992)

    “Il linguaggio può comunicare certe cose ma, rispetto a ciò che puoi trasmettere con un paio di buone note, è piuttosto grezzo. Ci sono un paio di buone note da suonare con una chitarra impossibili da descrivere a parole, che trasmettono significati vasti, interi panorami di informazioni che proprio non puoi scrivere. Ti danno una reazione fisica istantanea. Ovunque colpiscano, vedrai i volti delle persone accartocciarsi e inizieranno a reagire direttamente. Ecco perché mi piace la musica molto più della lingua scritta”.
    (Record Review, aprile 1979)

    “Ho sempre odiato la poesia, mi fa venire i brividi. Drammi, sofferenze, mani sul petto a pugno chiuso, testa chinata, foglie che cadono dagli alberi, tutta quella merda la odio”.
    “Non mi piacciono i libri. Leggo molto raramente. Gli scrittori hanno a che fare con qualcosa che è quasi obsoleto (ma non lo sanno ancora) che è il linguaggio. Il linguaggio come sottoprodotto della crescita tecnologica della civiltà ha… beh, pensate a cosa è successo alla lingua inglese a causa dello slogan pubblicitario: i significati delle parole sono stati talmente corrotti che, da un punto di vista semantico, come si può trasmettere un’informazione accurata con questa lingua?
    “Penso che, idealmente, le parole dovrebbero essere usate solo a scopo di divertimento perché la parola pronunciata, il suono delle parole … mi divertono le differenze nei meccanismi di produzione del rumore delle persone. Riguardo alle informazioni comunicate con le parole, sarebbe meglio se le persone potessero comunicare telepaticamente”.
    (In Their Own Words, aprile 1975)

    “Zappa aveva introiettato fin da piccolo un atteggiamento tra il dada e il surreale nei confronti dell’espressione verbale, manipolabile fino a livelli allucinatori. In ogni concerto decideva the secret word (la parola segreta della serata). Quella parola costituiva un tormentone negli intercalari e negli interventi parlati della band, finiva per modificare anche i testi delle canzoni. La sua attenzione per il potere della parola era nata quando da bambino aveva trovato, in un vecchio libro, la teoria egizia della trasmigrazione dell’anima e della vita ultraterrena. Il Faraone, fin da piccolo, doveva imparare le parole-chiave che designavano ognuno dei luoghi che l’anima avrebbe dovuto attraversare dopo il trapasso: guai a sbagliare il nome! Ciò suscitò in lui la convinzione che la realtà fosse condizionata dalle parole e che ogni paradosso fosse affidato alla manipolazione del linguaggio.
    (Gianfranco Salvatore, Mangiare Musica giugno 1994)

    “Le parole sono interessanti, sono come sostanze chimiche. Le metti insieme con una certa composizione ad una certa temperatura e produrranno un determinato composto. Varialo anche leggermente e potresti ottenere un composto completamente diverso”.
    “Ogni volta che uso una parola, devo spiegare a chiunque debba cantarla come pronunciarla”.
    (Frank Zappa, The Dallas Times Herald, 19 ottobre 1975)

    Frank Zappa ha scelto di manipolare il linguaggio e i contenuti dei suoi testi a tal punto da creare una propria, talvolta difficilmente interpretabile, lingua.
    Il linguaggio zappiano sboccato e sfrontato, ironicissimo e irriguardoso è un meraviglioso esempio di come si possano creare gustosissimi neologismi mescolando slang nero a dialetti italiani, raffinati francesismi alle peggiori trivialità anglosassoni.
    (Giancarlo Trombetti, Sonora n. 4 – 1994)

  • Frank Zappa, The Black Page #1 & #2: improvisation mother of the composition?

    Frank Zappa, The Black Page #1 & #2: improvisation mother of the composition?

    The Black Page #1 (dall’album Lather, 1996)
    The Black Page #2 (dall’album You Can’t Do That On Stage Anymore, Vol. 5, 1992)
    The Black Page #2 (Live Palladium, New York, 1981)
    The Black Page #2 (Live Zappa Plays Zappa con Steve Vai e Terry Bozzio, 2006)
    The Black Page (versione inedita 1981-82)

    The Black Page è come un gioco di specchi: musica scritta che, mentre simula l’improvvisazione, svela invece la sua natura di testo scritto. L’ascolto di The Black Page è un’esperienza che ha a che fare con l’impossibilità, una sensazione analoga a quella che suscitano certi momenti virtuosistici della musica indiana, quando due maestri improvvisano all’unisono sulle forme del raga e del tala o quando il percussionista, con assoluta precisione, scandisce a voce la sequenza dei colpi che poi eseguirà sui tablas.
    In The Black Page logica compositiva e logica improvvisativa alludono l’una all’altra in modo virtuale, simulato. Ma è una simulazione che rimanda a uno dei metodi compositivi forse più originali e suggestivi di Zappa, vale a dire l’utilizzare le registrazioni di brani improvvisati particolarmente riusciti come piattaforma su cui costruire una composizione. E’ difficile stabilire se e fino a che punto la scrittura di The Black Page sia eventualmente debitrice di qualche improvvisazione precedentemente registrata. Se così fosse la cosa non stupirebbe più di tanto. Ugualmente difficile è stabilire in che misura Zappa abbia fatto ricorso a questa tecnica compositiva e in quali brani essa abbia trovato applicazione. Secondo la testimonianza di David Ocker e anche secondo quanto afferma Ben Watson, “la dialettica di improvvisazione/trascrizione dal nastro/composizione è sempre stata uno dei metodi di Zappa”. Tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta, alcuni degli assoli trascritti da Steve Vai, ritrascritti a loro volta per altri strumenti, e la stessa Black Page divennero materiali d’uso corrente su cui si esercitavano i componenti della band oppure vennero rielaborati in ulteriori composizioni. “Tutti all’epoca – ricorda Ocker – suonavano The Black Page e circolavano anche altri lavori del genere”. Sinister Footwear III, While You Were Art, Manx Need Women sono solo alcuni dei brani dove si rielabora un materiale nato dall’improvvisazione. Queste pagine ci documentano un rifiuto testimoniando l’incompatibilità del segno scritto con una materia la cui natura estemporanea e istintiva non accetta di farsi decifrare e misurare con uno strumento limitato quale è la scrittura musicale. Viene a galla quanto insegnano gli studiosi della comunicazione ovvero il fatto che la nostra epoca – l’epoca in cui il compositore rischia l’estinzione – ci mette di fronte al profondo gap esistente tra cultura del segno scritto e cultura dell’oralità. E’ in questa interzona che abita e lavora Frank Zappa ricercando i modi attraverso cui questi due universi possono interagire fra loro sul terreno musicale.
    Come partitura il Guitar Book è un fallimento o meglio l’emblema di una cultura musicale che annaspa impotente a dar conto di una realtà sonora altra, che sfugge alla sua capacità di lettura e di comprensione. In questa veste cartacea, Zappa sembra godere nel mettere in corto circuito le due polarità.
    (estratto dal libro Frank Zappa Domani di Gianfranco Salvatore)

    The Black Page” è stato scritto prima come un assolo di batteria, poi Frank ha usato quei ritmi per scrivere una melodia.
    (Guitar World, febbraio 1999)

    “The Black Page” di Frank Zappa è considerata la composizione più difficile per batteria e percussioni.
    Presenta ritmi più che complessi ed è rigida: segna esattamente quali pelli o piatti colpire non lasciando alcuna scelta al batterista.
    The Black Page include gruppi irregolari da brividi, spesso l’uno dopo l’altro (addirittura troviamo “undicimine” ovvero 11 note nella durata di un battito). Molti di questi gruppi irregolari si trovano all’interno di altri gruppi irregolari. Il termine inglese per definire questi gruppi è “nested tuplets”.
    La composizione prevede di dividere una battuta da quattro quarti in tre parti uguali, poi di prendere un terzo di battuta e di suddividerlo in cinque parti uguali.
    All’interno di questa composizione si trovano tutti i ritmi più difficili della musica occidentale: chi riesce a suonarla è un vero e proprio maestro del ritmo.
    Due maestri? Vinnie Colaiuta e Terry Bozzio.

    La “Pagina Nera” allude alla trascrizione su pentagramma della composizione: l’obiettivo di Frank Zappa era quello di tendere ad una complessità tale da riempire di nero (senza, del resto, riuscirci) l’intero spazio della scrittura.

    Nell’album dal vivo Zappa in New York, Zappa parla di “statistical density” (densità statistica) del brano The Black Page. Zappa intendeva descrivere la sua complessità ritmica con uso estensivo di gruppi irregolari molto elaborati, il tutto però incluso in una cornice “regolare” di un metro in 4/4.

  • Gas Maskerade – xenocronia Frank Zappa, John Cage – xenochrony

    Gas Maskerade – xenocronia Frank Zappa, John Cage – xenochrony

    Xenocronia realizzata da Roxa con musiche di Frank Zappa e John Cage

    FAIR USE

    https://www.youtube.com/playlist?list=PLNIorVgbZlD1eJlE31TCypMf1eLhjcfBc

    La maggior parte dei ricordi del Maryland di Frank Zappa “sono collegati principalmente alla cattiva salute” ha detto. “Nei miei primi anni il mio migliore amico era un vaporizzatore con il muso che mi soffiava quel vapore in faccia. Stavo male tutto il tempo”.
    Oltre ad essere soggetto a forti raffreddori, Frank era asmatico, il che lo teneva molto in casa. La madre attribuisce a questo il fascino per la lettura sviluppato dal maggiore dei suoi quattro figli.
    “Per tutto il tempo che doveva stare a letto e riposare, avrebbe avuto tutti i suoi libri sul letto” ha detto.
    La lettura precoce e ampia, supportata poi dallo studio autonomo presso le biblioteche pubbliche, soddisfaceva la sua super curiosità.
    “Vivevamo in una casa fatta quasi di cartone. Erano duplex fatti di assicelle… roba davvero fragile. A quei tempi a Edgewood producevano gas mostarda e ogni membro della famiglia aveva una maschera antigas appesa nell’armadio nel caso in cui i serbatoi si fossero rotti. Quello era davvero il mio giocattolo principale in quel momento. Quello era il mio casco spaziale. Ho deciso di prendere un apriscatole e aprirlo. Questo gesto ha soddisfatto la mia curiosità scientifica ma ha reso inutile la maschera antigas. Mio padre era così sconvolto quando lo scoprì… Ero affascinato dal gas velenoso… dall’idea che si potesse creare una sostanza chimica, e poi tutto quello che dovevi fare era annusarlo e morire… Per anni al liceo, ogni volta che dovevamo studiare scienze, riferivo sempre ciò che sapevo sul gas velenoso”.
    (The Baltimore Sun Magazine, 12 ottobre 1986)

    Il padre di Frank Zappa lavorava all’Edgewood Arsenal Chemical Warfare Facility gestito dall’esercito USA. Quella struttura ospitava gas mostarda e molti sospettano che fosse stato anche un deposito di agenti di guerra batteriologica su cui gli Stati Uniti stavano lavorando.
    Il padre di Zappa portava a casa regolarmente attrezzature da laboratorio piene di mercurio dandole a Frank per giocare. Da bambino, Frank era spesso malato, soffriva di asma, mal d’orecchi, problemi ai seni paranasali trattati con la radioterapia che può contribuire allo sviluppo del cancro. Come il gas mostarda, il mercurio liquido è cancerogeno. Gli effetti a lungo termine dei test di Edgewood nel Maryland rimangono ancora poco chiari.
    Documenti declassificati mostrano che i test umani erano in corso nel sito già nel 1948 (Zappa aveva 7 anni all’epoca). I primi test conosciuti (che hanno coinvolto soggetti umani) si concentravano sulle formule per 3 nuovi gas nervini sviluppati dai nazisti durante la seconda guerra mondiale (tabun, soman e gas sarin).
    Da un rapporto riservato intitolato “Guerra psicochimica: un nuovo concetto di guerra” prodotto nel 1949 da Luther Wilson Greene (direttore di Edgewood) si apprende che alcuni composti psicoattivi creerebbero gli stessi effetti collaterali mentali debilitanti di quelli prodotti dai gas nervini. Sono stati avviati esperimenti su 254 diverse sostanze chimiche tra cui LSD, derivati del THC, benzodiazepine e BZ. Circa 7mila militari statunitensi e 1.000 civili sono stati sottoposti ai test per quasi 30 anni. Si dice che fossero volontari ma le sostanze chimiche testate pare abbiano contaminato le acque sotterranee intorno alla base con effetti dannosi sui residenti locali (inclusi Frank Zappa e la sua famiglia).
    Nel settembre 1975, il programma di volontariato per la ricerca ‘medica’ fu interrotto. Il fondatore e direttore del programma, dott. Van Murray Sim, fu chiamato davanti al Congresso e rimproverato dai legislatori. E’ possibile che eventuali decessi siano stati opportunamente attribuiti ad altre cause, per esempio alcuni tipi di cancro.
    (estratto da un articolo di Justin Beckner del 22 gennaio 2023, Ultimate Guitar)

    Edgewood Arsenal è un centro di ricerca dell’esercito USA nel Maryland specializzato in armi chimiche fin dalla Prima Guerra Mondiale. Qui, negli anni ’50 e ’60, la CIA condusse il progetto MK-ULTRA, programma illegale e clandestino di esperimenti di controllo mentale sugli esseri umani.
    Oltre 7.000 soldati sono stati sottoposti ad ogni tipo di test, inclusi quelli per gli effetti dell’LSD.
    Lo scopo del progetto MK-ULTRA era individuare droghe e procedure che, insieme ad altre tecniche di tortura, spingevano le persone ‘trattate’ a confessare. Il programma mise in atto molte attività illegali: vennero usati come ‘cavie’ inconsapevoli anche cittadini statunitensi e canadesi.

    Bob Marshall: “Uno degli istituti coinvolti nel programma di controllo mentale MKULTRA della CIA, nel ’55, si chiamava Human Ecology Society. Usavano il termine “ecologia”, ma era ecologia “umana”, intesa in senso gestionale, non come inquinamento”.
    Frank Zappa: “Ingegneria umana”.
    (Intervista di Bob Marshall, 1988)

    Tuo padre si guadagnava da vivere lavorando con i gas velenosi. Ne capivi le implicazioni?

    “Sì. L’ho preso come un dato di fatto e basta. Nel posto dove vivevamo eravamo obbligati a tenere appese al muro delle maschere antigas, nel caso in cui i serbatoi si fossero rotti, perché erano letali. Ripensandoci, se quei serbatoi si fossero rotti quelle maschere antigas non ci avrebbero salvato.

    C’erano dei serbatoi di iprite vicino agli alloggiamenti dell’esercito dove vivevamo. Quella merda era proprio in fondo alla strada. All’ingresso avevamo un attaccapanni con la maschera di papà, la maschera di mamma e la maschera di Frank. Indossavo sempre la mia. Era il mio casco spaziale. C’era una lattina alla fine del tubo che conteneva il filtro, e mi domandavo sempre che cosa ci fosse lì dentro. Ho preso un apriscatole e l’ho aperta, per scoprire come funzionava. Mio padre si è arrabbiato molto quando l’ho aperta, perché l’ho rotta e lui avrebbe dovuto procurarmene un’altra, cosa che non ha mai fatto. Ero senza difese”.

    (Playboy, aprile 1993, intervista di David Sheff a Frank Zappa)

  • Frank Zappa & Looping: 2 Jams in Loop + Bonus

    Frank Zappa & Looping: 2 Jams in Loop + Bonus

    Loops / I am the Walrus – Illinois Enema Bandit (live Le Zenith, Parigi, 20 maggio 1988)
    Loops / Sofa (live Le Summum, Grenoble, 19 maggio 1988)

    Frank Zappa – chitarra solista, voce
    Mike Keneally – chitarra ritmica, sintetizzatore, voce
    Ike Willis – chitarra ritmica, voce
    Robert Martin – tastiere, voce
    Walt Fowler – tromba, flicorno, sintetizzatore
    Bruce Fowler – trombone
    Kurt McGettrick – sax baritono, sax basso, clarinetto contrabbasso
    Albert Wing – sax tenore
    Paul Carman – sax alto, sax soprano, sax baritono
    Ed Mann – vibrafono, marimba, percussioni elettroniche
    Scott Thunes – basso elettrico, Minimoog
    Chad Wackerman – batteria, percussioni elettroniche

    Tra i pionieri del looping, negli anni Settanta, troviamo Frank Zappa, Jimi Hendrix, Beatles e Pink Floyd.
    Frank Zappa fu influenzato da Halim El-Dabh: utilizzò i tape loop per formare il suono unico della sua band, i Mothers of Invention.
    Il suono di Zappa era un mashup di vari generi, dalla musique concrete all’R&B, al jazz e al primo rock n’ roll, che combinava suoni di chitarra elettrica con frammenti di commenti politici e filmati di performance dal vivo.
    Ha usato il nastro non solo come formato di registrazione e come strumento pratico in studio, ma anche come strumento in sé. La sua musica è stata fonte di ispirazione per molti artisti di oggi, dai Kraftwerk ai Primus a Bobby Sanabria, abbracciando una vasta gamma di generi e stili musicali.

    Cos’è il looping?
    La tecnica chiamata looping permette di riprodurre sempre lo stesso suono o la stessa parte di un brano.
    Tanto nella musica elettronica quanto nell’hip-hop o nel pop molti dei suoni e dei campioni più belli vengono usati per i loop.
    Per il looping, vengono utilizzati dispositivi looper, pedali o plugin.
    Il termine looping è nato con le macchine a nastro a bobina, prima dell’avvento dell’audio digitale. Quando il nastro analogico rappresentava il formato standard, occorreva tagliare fisicamente il nastro con una lama di rasoio e ricollegarlo con il nastro per effettuare qualsiasi modifica.

    Il looping è nato prima degli anni ’70, con il movimento della musica elettroacustica degli anni Quaranta. Musicisti come Pierre Schaeffer e Halim El-Dabh, tra gli altri, iniziarono a fare musica combinando strumenti acustici con suoni elettronici. Il risultato era una sorta di collage musicale.
    El-Dabh utilizzò per la prima volta un filo magnetico per registrare, anziché un nastro magnetico. Utilizzando un concetto simile a quello del nastro magnetico, un filo magnetico veniva tirato attraverso una testina di registrazione, che crea un segnale audio utilizzando i campi magnetici. El-Dabh tagliò il filo magnetico e successivamente il nastro magnetico per incollare insieme vari brani musicali.
    L’artista d’avanguardia John Cage ha tagliato 600 suoni diversi per il suo pezzo “The Williams Mix”. Li ha poi riassemblati su nuove tracce di nastro.
    Con l’evoluzione e il miglioramento della tecnologia di registrazione, i musicisti iniziarono a portare il formato del nastro magnetico in un nuovo territorio, unendo la testa e la coda del nastro e riproducendo il loop ripetutamente, doppiandolo su una nuova traccia. Questo stile di composizione fu molto utilizzato da artisti dub come King Tubby e più tardi, negli anni Settanta, da artisti hip-hop come Grandmaster Flash.
    Nel 1963 il compositore Terry Riley iniziò a creare “musica ostinata”, ovvero musica basata su loop. Costruì uno strumento hardware per eseguire loop su nastro utilizzando due macchine a nastro sincronizzate tra loro. Lo chiamò Time Lag Accumulator e lo utilizzò per registrare il trombettista jazz Chet Baker, oltre a vari loop di organi e altri strumenti. Questo è essenzialmente un esempio di uno dei primi casi di campionamento e il Time Lag Accumulator è stato uno dei primi looper hardware.
    (estratto da un articolo di Julian Blackmore, 6 settembre 2022)

    Quando è entrato in scena il wah-wah?
    “Dopo il fuzztone, intorno al 1966 o 1967. Sono stato uno dei primi ad usarne uno, l’ho adorato. Nell’ultimo tour, però, non ho usato nessun wah-wah. Ho utilizzato tre DDL [delay digitali] per diverse funzioni: uno per darmi un leggero ritardo con un po’ di pitch shift in modo da creare un vibrato e addensare il suono, e gli altri due per passaggi che riproduciamo più e più volte, come per registrare loop”.
    (Down Beat, febbraio 1983)

    Zappa col supporto dei suoi nuovi computer sta creando nuova musica: l’ultimo esempio è “Porn Wars”, il suo musique concrete pastiche che presenta le voci dei senatori Danforth, Hollings, Gore, Tribel ed Exon, insieme al reverendo Jeff Ling e anche Tipper Gore, in infiniti loop di nastro, a testimoniare la loro inclinazione per il rock.
    È passato da Lumpy Gravy e Valley Girls al Senato degli Stati Uniti.
    (Music Connection, 9 dicembre 1985)

  • Frank Zappa, remarks on Art: quotes, While You Were Out, While You Were Art I & II

    Frank Zappa, remarks on Art: quotes, While You Were Out, While You Were Art I & II

    While You Were Out (dall’album Shut Up And Play Yer Guitar, 1981)
    While You Were Art I (1985, Synclavier)
    While You Were Art II (dall’album Jazz From Hell, 1986)

    “La nostra è un’arte speciale, in uno spazio negato ai sognatori”.
    (Frank Zappa)

    “Non credo ci dovrebbero essere barriere. Penso che l’arte dovrebbe appartenere a tutte le persone e non solo a poche persone che pensano di essere davvero specialisti o qualcosa del genere”.
    (Frank Zappa)

    “Visto che molti musicisti scrivono ed eseguono il loro materiale e lo considerano (che vi piaccia o no) la loro Arte, l’imposizione di una censura li stigmatizzerà come individui”.
    (Frank Zappa, Statement to Congress, 19 Settembre 1985)

    Nell’arte la cosa più importante è la cornice. Nella pittura è letteralmente così, per le arti solo in senso figurato, perché senza quell’utile oggetto non è possibile capire dove finisca l’Arte e dove inizi il Mondo vero.
    (Frank Zappa)

    “Stiamo tornando ai secoli bui. Qualsiasi Paese che decide che l’economia è più importante dell’arte è in grossi guai. Non c’è motivo per cui quel Paese debba continuare ad esistere. Sono solo la musica, l’arte e le cose belle realizzate che contraddistinguono un Paese e gli conferiscono un’identità nel corso degli eoni”.
    “L’antica Grecia è sopravvissuta grazie alle opere d’arte e alle cose belle – anche se viene divorata dall’acido solforico nell’aria – ma chi se ne fotte dell’economia dell’antica Grecia? A nessuno importa. In un modo o nell’altro, sono riusciti a realizzare bellissime statue, bei templi, cose che sono durate, che contano ed anche opere che riguardavano la musica”.
    “La vita è una merda senza arte, senza musica. Senza qualcosa di bello, non c’è motivo di essere qui, una società del genere dovrebbe semplicemente morire”.
    (Music Exchange, settembre-ottobre 1982)

    “Negli Stati Uniti sono disposti ad accettare l’idea secondo cui qualsiasi sostegno all’attività artistica è in qualche modo malsano, quando in realtà se si guardano i numeri economici, è possibile dimostrare che l’investimento nell’arte crea posti di lavoro a vantaggio di persone che non hanno nulla a che fare con l’arte.
    Prendiamo, ad esempio, un’area decadente del centro come SoHo a New York. Prima che gli artisti si trasferissero a SoHo, c’erano solo magazzini: era un’area fatiscente. Quindi alcuni artisti si sono trasferiti, hanno dipinto un po’ e poi hanno aperto una galleria, poi qualcuno ha aperto una caffetteria finché non è avvenuto un cambiamento socioculturale con gente che cerca appartamenti nella zona da 3.000 a 5.000 euro al mese.
    Lo stesso tipo di scenario si è ripetuto in altre città degli Stati Uniti, ma nessuno lo considera mai. Il risultato di pochi dollari spesi per rendere la vita più facile agli artisti alla fine si traduce in profitti per persone che non sono legate all’arte”. (Best of Guitar Player, 1994)

    “Tra vent’anni non credo ci sarà qualcosa che una persona ragionevole potrebbe descrivere come arte. Parlo dell’arte in termini di cose belle e di valore che non vengono realizzate a causa del proprio ego ma solo perché sono belle, solo perché è la cosa giusta da fare. Ci verrà detto cosa è buono e cosa sarà mediocre”.
    (Frank Zappa, The Progressive, novembre 1986)

    “Per me, l’arte della composizione è l’arte di mettere insieme qualunque cosa. L’imballaggio è in certa misura l’estensione dell’opera stessa”. (Popster, aprile 1978)

    La capacità di Frank Zappa di integrare arte bassa e alta in un genere ibrido senza soluzione di continuità è ineguagliabile.
    (The San Bernardino Sun, 6 giugno 1989)

    Frank ha sempre giocato al limite, lì dove l’arte diventa follia e il letame diventa terreno fertile. O vieni coinvolto nella musica di Zappa o lui non ti vuole, e tu non lo vorrai in nessun modo.
    (Sounds, 18 dicembre 1976)

    “While You Were Art II” è una composizione di Synclavier pubblicata nell’album Jazz From Hell del 1986, ma le sue origini si estendono ad un assolo di chitarra eseguito alla fine degli anni ’70 nello studio di Frank Zappa e pubblicato nell’LP Shut Up ‘n Play Yer Guitar con il titolo “While You Were Out”. Quella traccia presenta un assolo di Zappa su un vamp lento fornito dal chitarrista Warren Cuccurullo e dal batterista Vinnie Colaiuta; rientra da qualche parte tra “Seven Types of Industrial Pollution” e “Rubber Shirt.”.
    Zappa ha trascritto e programmato l’assolo e l’accompagnamento nel Synclavier, trasformando un assolo di chitarra rock in un pezzo classico contemporaneo: “While You Were Art I” (non pubblicato ufficialmente, che apparve nel cofanetto bootleg Apocrypha). Poi ha aggiunto variazioni ottenendo “While You Were Art II”. È divertente scoprire come, pur essendo presenti tutte le note, non sia rimasto nulla dell’atmosfera dell’assolo originale.

  • BlueSoul – xenocronia Frank Zappa, Johnny “Guitar” Watson, John Cage, György Ligeti – xenochrony

    BlueSoul – xenocronia Frank Zappa, Johnny “Guitar” Watson, John Cage, György Ligeti – xenochrony

    Xenocronia realizzata da Roxa con musiche di Frank Zappa, Johnny “Guitar” Watson, John Cage, György Ligeti

    FAIR USE

    https://www.youtube.com/playlist?list=PLNIorVgbZlD1eJlE31TCypMf1eLhjcfBc

    Zappa odiava i critici perché pensavano di sapere di cosa trattasse la sua musica quando ovviamente (per lui) non lo sapevano.
    “Devi conoscere quattro cose per capire la mia musica. Devi sapere molto sul rhythm ‘n’ blues. Devi avere una conoscenza pratica di tutta la musica d’arte occidentale negli ultimi 100 anni. Devi avere una conoscenza pratica completa di tutti i miei LP dal 1964. E devi aver visto uno dei miei spettacoli almeno una volta all’anno”.
    (Toronto Observer, dicembre 1993)

    “È un errore comune del pubblico ascoltare vecchi dischi di Rhythm & Blues e dimenticare che si tratta di musica folk. Anche se questi dischi sono stati prodotti commercialmente, sono davvero pezzi di arte popolare”.
    (Mojo, dicembre 1998)

    “Non credo che Elmore James prendesse il suo collo di bottiglia e facesse “reedledee-deedelee-deedelee-deedee” per stimolare la capacità di qualcuno a produrre un cambiamento sociale. Non penso che fosse questo il motivo. Penso che l’idea secondo cui il blues sarebbe una musica “di lotta” sia soltanto una meschinità inventata dalla gente bianca per giustificare il fatto che lo ascoltano. Se c’è una cosa che tutte queste nullità accademiche bianche hanno in comune è che non sanno apprezzare le emozioni! Penso che la ragione della maggior parte di quella roba sia semplicemente che quel tale la voleva suonare e voleva fare quel rumore. Questo è il suo messaggio: ha condensato tutta la sua estetica in quel “reedledee-deedelee-deedee”. Non si preoccupava se qualcuno in un’università da qualche parte lo intendesse come una forza propellente del cambiamento sociale”. (Frank Zappa)

    “Il blues nel rock bianco è ridicolo e imbarazzante. È imbarazzante sentire la maggior parte dei cantanti rock bianchi cantare il blues. È imbarazzante che loro non siano imbarazzati. I musicisti blues bianchi si illudono…”.
    (Frank Zappa, GO Magazine, 17 ottobre 1969)

    Stilisticamente il mio approccio è simile a quello di Guitar Slim, musicista blues della metà degli anni ’50. La prima volta che lo sentii, pensai: “Che cazzo sta facendo? Ma è veramente incazzato quando suona”. Il suo stile infatti sembrava andare oltre le note, era più un modo di essere che una tecnica strumentale. Quel che ne veniva fuori non era la somma totale di “certi alti contro certi accordi contro certi ritmi”, al mio orecchio era ben altro. Oltre a questo modo di essere, Guitar Slim era anche il primo esempio, per quanto possa ricordare, di chitarra elettrica distorta su disco. Non posso dire di suonare proprio come lui, però quel suo modo di suonare ha avuto molta influenza sullo sviluppo del mio stile. Le altre due influenze che riconosco sono Johnny “Guitar” Watson e Clarence “Gatemounth” Brown. (autobiografia)

    Zappa è stato il primo musicista (ed è forse ancora l’unico) a portare un orientamento classico nel mondo rock producendo brani che certamente potrebbero essere considerati rhythm and blues sinfonici.
    (In Their Own Words, aprile 1975)

    Gli analisti più raffinati affermano che Frank Zappa è in grado, su ciascuna delle sue tante chitarre, di passare indifferentemente da una scala temperata a una scala blues a una modale e di percorrerle in sequenza nel corso dello stesso assolo. (Il Mucchio Selvaggio novembre 1984)

    “Negli anni ’50, i bianchi erano davvero socialmente ritardati e ho avuto modo di notare che le persone che appartenevano ai cosiddetti gruppi minoritari (i neri) si stavano divertendo più di noi. Quando finalmente è diventato possibile per i bianchi godersi un po’ dello stesso tipo di musica per competere con i neri… sono riusciti a mettere insieme forme di musica che tendevano ad esprimere lo stile di vita con cui volevano identificarsi come la musica surf, la musica hot rod e il folk-rock”.
    “Penso che all’inizio la maggior parte del R&B che ascoltavo a scuola fosse musica estremamente onesta, gli atteggiamenti espressi dalle persone che cantavano e suonavano erano molto semplici. Tutto ciò che sapevano era che amavano quello che stavano facendo. Il blues era in loro e facevano funky autentico. Per competere con i neri, gli sfortunati bianchi hanno alterato quella musica perché non sapevano di cosa si trattasse. Gran parte delle band blues bianche oggi suonano versioni molto inferiori rispetto alle canzoni di Muddy Waters, [Howlin’] Wolf e John Lee Hooker. Ho riso quando ho sentito i Rolling Stones cantare “I’m a King Bee” perché avevo questa versione di Slim Harpo quando ero a scuola: lo stesso vale quando sento Paul Butterfield suonare le canzoni di Muddy Waters. Penso “non suona nel modo giusto”.
    “Sto ancora cercando un gruppo blues bianco che esprima un tipo di blues che non debba fare affidamento su un’imitazione della musica nera. Non presto molta attenzione per i bianchi blues…”. (Frank Zappa)

    Frank Zappa provava una profonda simpatia per la musica e la vita degli afroamericani perché riguardavano le cose reali della vita: “Sesso, sopravvivenza e morte”. Momenti esistenziali per Frank non solo nel rhythm and blues ma anche in quella musica dall’odore strano chiamata jazz.

  • Frank Zappa & LA Experience: satire on Los Angeles, ‘Babylon of plasticity’, review, 2 songs

    Frank Zappa & LA Experience: satire on Los Angeles, ‘Babylon of plasticity’, review, 2 songs

    City of Tiny Lights (Live Palladium, NY, Halloween 1977), Valley Girls (1982 video with Frank Zappa Daughter Moon Unit)

    Una delle principali preoccupazioni di Zappa sembra essere l’accurata rappresentazione di quella che si potrebbe chiamare “LA Experience” o “Los Angeles is a state of mind”.
    Molti dei pezzi satirici di Zappa trattano di questa dilagante ‘Babilonia di plasticità’.
    Zappa è riuscito a distillare l’essenza della mentalità di Los Angeles nella sua forma più pura. Quei mostri che vivono a Los Angeles servono come una sorta di specchi da bar che distorcono la contraddizione fondamentale dell’esistenza in una valle di cemento e smog in quella che può essere definita “irriverenza plastica”. Chi c’è stato lo sa. Chi non l’ha fatto, non lo saprà mai.
    Il segreto del successo di Frank Zappa con gli artisti che sceglie di registrare potrebbe essere chiamato “l’approccio dell’orecchio della mosca” alla registrazione: è rilassato e totalmente naturale, pur essendo strettamente organizzato e abilmente montato.
    Zappa è un maestro nell’arte della rappresentazione elettronica, non solo del talento ma anche della personalità e dello stile di vita. In effetti, potrebbe aver inventato quei rami dell’arte.
    (Crawdaddy, 1970, vol. 4)

    “Quando andiamo in tour, la vita nel gruppo comincia ad assomigliare a quella nell’esercito. Ogni concerto è una campagna ed è molto probabile che non si sappia dove ci si trova in un dato momento. Seduto nella propria stanza, il più delle volte impegnato con gli altri ragazzi del gruppo, potresti anche essere a casa a Los Angeles. Sembra che portiamo sempre con noi una “bolla misteriosa” della coscienza di LA e all’interno di quella bolla accadono cose strane”. (Impact, gennaio 1972)

    Freak Out! porta il dadaismo della costa occidentale a sopportare l’esplosiva plasticità della controcultura degli anni ’60. Distruggendo la scena di Los Angeles, Zappa ci guida attraverso il mondo di Sunset Strip immergendosi nel suo prezioso doo-wop (“Go Cry On Somebody Else’s Shoulder”) e raccontando en passant le rivolte di Watts del 1965 (“Trouble Every Day”). (Uncut, febbraio 2006)

    I Mothers divennero, inizialmente un po’ per gioco e un po’ per necessità, un laboratorio creativo permanente. Ciò accadde non a Los Angeles ma a New York, tra la primavera e l’estate del 1967, al Garrick Theatre. Il che spiega anche perché Zappa si perse la Summer of Love californiana, guadagnando in compenso gloria eterna.
    (tratto dal libro “Il teatro musicale dei Mothers of Invention” di Gianfranco Salvatore)
    In una celebre intervista degli anni ’80, alla domanda rivolta a Frank da un giornalista che, non conoscendolo bene, lo vedeva come un hippy: “Quali sono i tuoi ricordi della Summer of Love?”, lui rispose: “Non ricordo alcuna Summer of Love, ma The Golden Age of Fucking!”.
    (Rockerilla, settembre 2016)

    “Uncle Meat” è un’esperienza, non un film; un concetto che nasce direttamente dalle tecniche compositive di Frank Zappa. Puoi intuitivamente afferrare Zappa ma non essere in grado di spiegarlo se non in altre immagini: la sua musica è fantasiosa, crea immagini di Los Angeles, polizia robotica alimentata da plastica e bambini perduti, lapidati, super-psichedelici in un mondo folle.
    Uncle Meat è una visione della follia interpretata attraverso la mente di Zappa e le Madri sono gli attori di una pazza farsa: sono i contrasti di un mondo folle, gli attori di uno psicodramma che non ha inizio né fine.
    Il dialogo è dolorosamente casuale ma simbolico; rappresenta il caos in corso… Se siamo tutti pazzi e vediamo la follia di un governo impazzito forse è perché anche loro sono nel film.
    (Rock Magazine, 8 giugno 1970)

    https://www.youtube.com/watch?v=BeeTrv41ATo&t=442s

    “La radio di Los Angeles non dà al pubblico la possibilità di ascoltare tanta musica interessante come succede nel Midwest. La radio di Los Angeles è una delle radio più noiose del Paese”.
    (Frank Zappa, Record World, 21 gennaio 1978)

    Zappa una volta ha detto a un intervistatore che Freak Out è stato realizzato dopo che “ho realizzato registrazioni di ricerche sul comportamento di ragazzi di 17 anni in Ontario, California” e sembra proprio così.
    È un aspro commento sul mondo dei centri commerciali delle autostrade della California meridionale, la società che incoraggia il fiorire del cemento e del neon e sulle vittime della grossolana mega-crescita di Los Angeles: i giovani. (BAM, gennaio 1978)

    Nella canzone City of Tiny Lights, Zappa si riferisce a Los Angeles. Il brano è noto per i suoi testi satirici ed i complessi arrangiamenti musicali. I testi sono sorprendentemente vuoti e ripetitivi, un modo per tradurre in canzoni le minuscole menti dei minuscoli abitanti.

    https://www.youtube.com/watch?v=_zr42ZiXD3Q

    “Valley Girl” interpretata da Moon Unit Zappa, la figlia di Frank, prende in giro gli abitanti più superficiali e materialisti della San Fernando Valley di Los Angeles.

  • Happy New Year… TIMELESS – xenocronia Frank Zappa, Conlon Nancarrow, Edgar Varèse – xenochrony

    Happy New Year… TIMELESS – xenocronia Frank Zappa, Conlon Nancarrow, Edgar Varèse – xenochrony

    Xenocronia realizzata da Roxa con musiche di Frank Zappa, Conlon Nancarrow, Edgar Varèse

    FAIR USE

    https://www.youtube.com/playlist?list=PLNIorVgbZlD1eJlE31TCypMf1eLhjcfBc

    Il concetto del tempo di Frank Zappa è profondo, da indagare.
    E’ un tema che ho già trattato in questo video e più volte nel gruppo What’s Zappa.

    https://www.youtube.com/watch?v=G4YpApp5Mjc

    “Tutto accade continuamente”.
    Il nostro futuro sta accadendo adesso?
    “Ed è già successo prima. Succede tutto in continuazione. Il tempo dipende dal punto da cui lo guardi. Sembra solo che le cose stiano accadendo perché siamo qui. Se fossimo da qualche altra parte, non sarebbero ancora emersi. Se potessi spostare il tuo punto di riferimento sull’evento in atto, potresti cambiare il modo in cui percepisci l’evento. Quindi, se potessi cambiare costantemente la tua posizione, potresti vivere l’idea che tutto accada continuamente”.
    “… Quando un evento ha luogo, ha molto a che fare con la posizione dell’osservatore. La percezione dell’evento è un sottoprodotto della posizione da cui l’evento è stato osservato, della posizione nel tempo e nello spazio. Se potessi modificare la tua posizione nel tempo e nello spazio, allora l’evento diventerebbe qualcos’altro, un evento futuro o un evento passato, a seconda di dove ti trovi… se potessimo uscire da queste stronzate per un minuto e immaginare di trovarci da qualche altra parte mentre osserviamo l’evento, la procedura mistica di predire il futuro e il resto di quella roba sembrerebbe un po’ più semplice solo perché si è in grado di riposizionare la propria coscienza e percepirla da una prospettiva diversa”.
    (Frank Zappa, dall’intervista di Bob Marshall durata 7 ore del 21-22 ottobre 1988, celebrata come la più grande intervista di Zappa dell’epoca. Le domande sono state preparate da Bob Dobbs, uno studioso di McLuhan e ricercatore di Frank Zappa).

    “Penso che tutto succeda continuamente: noi pensiamo al tempo in modo lineare perché siamo condizionati a farlo. Questo perché l’idea umana delle cose è che hanno un inizio e una fine. Non credo sia necessariamente vero. Penso al tempo come a una costante, una costante sferica in cui tutto sta accadendo tutto il tempo: è sempre successo e sempre accadrà”.

    Quindi questa tazza di caffè…
    “… è sempre stata piena e vuota. Tutto è sempre”.

    Le nostre percezioni?
    “Abbiamo a che fare con il tempo in modo quasi pratico. Abbiamo ideato il nostro universo personale e il nostro stile di vita che è governato dal tempo suddiviso in questo modo, progrediamo da una tacca all’altra, giorno dopo giorno, e tu impari a rispettare le tue scadenze in questo modo. Funziona così solo per comodità umana. Questa, per me, non è una buona spiegazione di come funzionano davvero le cose. Questa è solo la versione della percezione umana su come funziona. Mi sembra altrettanto fattibile che tutto accada continuamente e se credi che la tua tazza di caffè sia piena o meno è irrilevante. Non puoi definire qualcosa con precisione finché non capisci ‘quando’ lo è”. Lo stato della tazza viene determinato da quando lo percepisci”.

    Il che significa che il futuro è già accaduto…
    “Sì. Il motivo per cui credo fortemente in questo è che può spiegare perché le persone possono avere premonizioni, perché invece di guardare avanti si guardano solo intorno. Non devi guardare avanti per vedere il futuro. Puoi guardare laggiù”.

    Cosa limita le nostre percezioni di altre cose o di altri tempi o del futuro?
    “Penso che escogiti i tuoi limiti per tua comodità personale. Ci sono alcune persone che desiderano avere dei limiti e si inventeranno tutte le scatole che vogliono. Come gli uomini che hanno inventato l’armatura. Volevano proteggersi dalle fionde e dalle frecce del destino. Le persone fanno la stessa cosa psichicamente e psicologicamente: costruiscono la propria armatura e scelgono la loro esistenza. Che lo facciano consapevolmente o a causa di un governo o di un sistema educativo non importa: qualcuno sta aiutando a plasmare questa scatola immaginaria in cui vivi, ma non deve esserci per forza… La forma dell’universo è un vortice di Moebius, credo. Il tempo è una costante sferica. Ora immagina un vortice di Moebius all’interno di una costante sferica e avrai la mia cosmologia. Ma il ‘quando’ è molto importante”.
    (Best of Guitar Player, 1994)

    “La musica non dura, non ha nulla a che fare con il tempo” scriveva Sergiu Celibidache.
    Frank Zappa era convinto che il tempo fosse ‘un concetto sferico’, una costante sferica, in modo che, per così dire, tutto avvenga in una volta. Gnostici, buddisti e William Blake sono d’accordo, credendo che si possano varcare le porte dell’eternità in un istante e che il tempo sia una delle illusioni del mondo. William Burroughs e Sun Ra pensavano che, per sopravvivere, dobbiamo evolverci “fuori dal tempo, nello spazio”.
    (Frank Zappa)

  • Frank Zappa, Piano Music 1963-1993 (8 songs): from Opus 5 to Piano Synclavier, review

    Frank Zappa, Piano Music 1963-1993 (8 songs): from Opus 5 to Piano Synclavier, review

    Piano Pieces from Opus 5 – Mount St Mary’s College (Chalon Campus), LA (1963) Non è Zappa a suonare il piano: lui dirigeva, suonava la cetra e introduceva i brani
    Piano (Dance Me This album) Synclavier (1993)
    Piano Music Section 1 & Section 3 (The Hot Rats Sessions) Piano: Ian Underwood
    The Black Page (rara versione al Synclavier) primi anni ‘80
    The Black Page #1 (Piano Version) dall’album Zappa In New York (1977) Arrangiamenti: Ruth Underwood
    Envelopes & Little House I Used To Live In (versione solo piano, 1978) suonati da Peter Wolf o Tommy Mars
    Video filmato da uno sconosciuto a casa di Zappa (Los Angeles – 1984, 1986), editato da Marcello Di Lorenzo

    Verso la fine del brano Little House I used to live in (nell’album Burnt Weenie Sandwich) Frank Zappa suona un assolo con un organo elettrico. Zappa usava il pianoforte come un altro strumento ritmico. Non deve aver pensato molto alle sue abilità pianistiche perché non ha mai mostrato cosa poteva fare dal vivo.

    Frank Zappa suona la chitarra, il piano, il vibrafono e la batteria, compone, arrangia e snocciola commenti sociali.

    “A volte usava la chitarra come strumento per comporre, per mostrare ai musicisti quali note o accordi suonare sui loro strumenti. La usava anche come strumento di arrangiamento ma, quando componeva la sua musica orchestrale, di solito, si sedeva al pianoforte e suonava. Disse che avrei dovuto imparare a suonare il piano se volevo diventare un compositore. Al piano Frank era più un compositore che un esecutore, come lo sono praticamente tutti i compositori. L’ho visto comporre brani orchestrali mentre era seduto in un aeroporto o mentre volava su un aereo. Si sedeva con carta da musica bianca e scriveva musica tutto il tempo. Nel 1981, durante il tour americano, ogni minuto dietro le quinte in cui vedevi Frank, scriveva musica su carta. Era davvero molto riservato riguardo alle sue composizioni. Non che stesse cercando di nascondere qualcosa, ma per qualcuno chiedere di guardare qualcosa era come chiedere: “Posso leggere il tuo diario?”. Una volta sono venuto da lui e gli ho chiesto cosa stesse facendo e lui ha detto: “Niente”. Mi sono seduto e sono rimasto zitto, poi mi ha detto: “Vieni qui. Queste sono ‘densità’ ” e mi ha mostrato queste enormi e strane strutture di accordi, accordi di otto e dieci note senza note ripetute. Non aveva mai parlato prima di come creasse musica o delle tecniche che usava. Iniziò a spiegarmi cosa stava facendo. Per quanto riguarda la dissonanza e la scala temperata, se inizi ad impilare grandi gruppi di note non correlate, puoi ottenere alcuni accordi dal suono orribile o alcune perversioni di accordi esotiche e dissonanti. Mi ha mostrato alcune delle diverse scale che stava utilizzando e le melodie: disse che, una volta tornato a casa, avrebbe digitato questi accordi nel Synclavier. Per un secondo, mi ha permesso di sbirciare nel suo mondo. Frank sapeva esattamente come sarebbe stata suonata la sua musica mentre la scriveva. Le sue capacità compositive erano estremamente evolute”. (Steve Vai, Guitar World, febbraio 1999)

    Per provare una canzone di cui puoi semplicemente canticchiare le parole, ti siedi al piano e arrangi?
    “Utilizzo molto raramente un pianoforte a meno che non debba scrivere per un’orchestra: ne ho bisogno solo in quel caso. Posso semplicemente sedermi in un aeroporto e scrivere un brano su carta”.

    Una volta che hai composto un pezzo, specialmente qualcosa su larga scala come un’opera orchestrale, fai un demo tape per verificare se ti piace la composizione finale?
    “No. Di solito, quello che faccio è tornare da un tour con una valigetta piena di schizzi e provare le parti dell’armonia e le linee sul pianoforte”.
    (Guitar Player, febbraio 1983)

    “Decisi di stipare un paio di U-87 nel pianoforte, coprirlo con un drappo pesante, piazzarci un sacchetto di sabbia sul pedale e invitare chiunque a metterci dentro la testa e divagare incoerentemente su argomenti che avrei suggerito loro tramite il sistema di talk-back dello studio”.
    I vaneggiamenti furono trasformati in una trama riguardante maiali, pony e altri personaggi che vivono all’interno di un pianoforte. Nel 1991 aggiunse dialoghi addizionali. Le partiture musicali furono composte e registrate soltanto per mezzo del Synclavier.
    “Civilization Phase III” è un doppio album, l’ultimo album completato da Frank Zappa prima della sua morte, nel 1993. Frank la definisce “opera-pantomina”. Il progetto nacque nel 1967 come esperimento di registrazione vocale.

  • Frank Zappa, Cosmik Debris (5 versions): the guru syndrome, review, meaning

    Frank Zappa, Cosmik Debris (5 versions): the guru syndrome, review, meaning

    Live 12-9-73 – Show 1, The Roxy Performances
    Version from Apostrophe album
    Live 1973 with Jean-Luc Ponty
    Live 1984 from Does humour belong in music?
    Live 1974 from A token of my extreme

    Cosmik Debris punta il dito su guru, profeti e ciarlatani, tutti coloro che commercializzano e vendono ‘saggezza cosmica’ come The Mistery Man.
    I trucchi dell’Uomo Misterioso per ingannare il prossimo sono simili a quelli della Magic Mama in “Camarillo Brillo”: lui ha una ciotola di cristallo e “la polvere del Grand Wazoo”, mentre lei ha un amuleto e “governa” the Toads of the Short Forest”. Le due canzoni sono legate anche dalla presenza in entrambe della frase “Now is that a real poncho or is that a Sears poncho?”
    Cosmik Debris è un brano blues-rock pubblicato al lato B dei singoli di Apostrophe, “Don’t Eat the Yellow Snow” e “Uncle Remus” (1974). La canzone fu eseguita dal vivo numerose volte, a partire dal 1972 fino all’ultimo tour di Zappa nel 1988. Le versioni dal vivo sono disponibili su You Can’t Do That on Stage Anymore, Vol. 3 (1984), The Best Band You Never Heard in Your Life e l’home video Does Humor Belong in Music?, ma sono tutti di minore interesse poiché “Cosmik Debris” è una delle poche canzoni che Zappa ha sempre eseguito allo stesso modo, a parte aggiornamenti occasionali dei testi.
    Il titolo Cosmik Debris rappresenta gli aspetti vuoti e superficiali della nostra vita, simboleggia i detriti che si accumulano quando ci concentriamo più sulle apparenze esterne piuttosto che sulla crescita interiore.

    Frank Zappa dedica Cosmik Debris ai sedicenti guru spirituali ed alle loro pratiche ingannevoli. Attraverso un testo arguto e un abile gioco di parole, Zappa critica coloro che affermano di possedere capacità soprannaturali e promettono l’illuminazione in cambio di denaro.
    La canzone introduce l’Uomo del Mistero, che si avvicina al narratore e si offre di aiutarlo a raggiungere il nirvana dietro compenso. Il narratore mette in dubbio la legittimità delle affermazioni dell’Uomo del Mistero e lo respinge invitandolo a non perdere tempo. L’Uomo del Mistero insiste proponendogli un kit da barba che pare abbia poteri straordinari. Il narratore non si lascia impressionare e rifiuta ancora una volta la sua offerta. La menzione dell’olio di Afro-dytee e della polvere del Grand Wazoo sottolinea l’assurdità delle affermazioni dell’Uomo del Mistero. Si tratta di ingredienti inventati, senza alcun significato o potere. Il narratore respinge ogni tentativo dell’Uomo del Mistero di persuaderlo: ha i suoi problemi da affrontare e non ha bisogno di assistenza. L’accenno al fatto di essere “per strada da martedì” aggiunge un tocco di umorismo e sottolinea ulteriormente il rifiuto del narratore di lasciarsi influenzare.
    La canzone critica la commercializzazione e lo sfruttamento della spiritualità e dell’illuminazione, ridicolizza le sedicenti guide spirituali che promettono il Nirvana o esperienze trascendenti dietro compenso.
    “Guarda qui, fratello, chi scherza con quei detriti cosmici?” taglia corto il narratore rivolgendosi all’Uomo del Mistero. “Non perdere tempo con me” conclude il narratore dimostrando l’intenzione dell’Uomo del Mistero di manipolare e ingannare il prossimo.

    LA SINDROME DEL GURU
    Su “Apostrophe” fai alcune osservazioni sui fachiri religiosi e tutto il resto…. La sindrome del guru… Mi chiedo se ti riferisci ai veri imbroglioni commerciali o sei piuttosto antireligioso…
    “Non sono a favore della religione organizzata per le persone che desiderano progredire. Penso che la religione organizzata sia un aiuto confortante molto simile alla televisione per le persone che vogliono isolarsi. Penso sia un tragico spreco se molte persone nella tua fascia d’età iniziassero a seguire un guru nel tentativo di ottenere una sorta di stabilità spirituale o pensare di contrastare vicende spiacevoli perché in realtà non è la risposta. Penso che tutta quella roba sia solo una sciocchezza!

    Detriti cosmici…
    Già…
    (The Hot Flash, maggio 1974)

    “Ero interessato allo Zen da molto tempo. E’ ciò che fortunatamente mi ha allontanato dall’essere cattolico. Ma è mia osservazione che le religioni orientali sono meravigliose se vivi ovunque tranne che negli Stati Uniti. Il meglio che possono fare per te qui è darti una certa sensazione di calma, se riesci a praticare la meditazione e l’astinenza da solo, lontano da tutto ciò che sta accadendo. Il vero obiettivo della religione orientale, con l’esperienza mistica e tutto il resto, quegli obiettivi sono difficili se non impossibili da raggiungere in una società industriale. Penso che la maggior parte delle persone che affermano di aver fatto satori da qualche parte negli Stati Uniti oggi ti prenda in giro. Le persone tendono a identificarlo con una sorta di intelletto onnisciente. Cosa che non accade”.
    (East Village Other, 1-15 febbraio 1967)