Frank Zappa's mustache - Music is the Best

Categoria: What does it mean?

  • Frank Zappa, Baby Snakes: ‘a movie about people who do stuff that is not normal’, review

    Frank Zappa, Baby Snakes: ‘a movie about people who do stuff that is not normal’, review

    Baby Snakes trailer
    Le animazioni di Bruce Bickford per Baby Snakes

    ‘Un film su persone che fanno cose anormali’. Con questo sottotitolo Frank Zappa ha presentato Baby Snakes, un crudo reportage sui suoi spettacoli al Palladium nella tradizione di Halloween, precisamente lo show del 30-31 ottobre 1977.

    Adrian Belew ha raccontato: “Ci siamo divertiti. Seguivo Frank come un cucciolo, non ne avevo mai abbastanza. Era pieno di informazioni, era divertentissimo e quando parlava ti incantava. Una volta, alle prove, stavo spostando la mia pedaliera per lo studio e lui disse: ‘Se hai finito di giocare al trasloco, ti spiacerebbe unirti a noi?’. La sua mente era sempre in movimento. Tirava fuori gli spartiti e iniziava a scrivere musica all’aeroporto o in aereo. L’editing del film Baby Snakes ha richiesto solo tre notti – due show di tre ore a notte senza intervalli tra i pezzi, qualcosa di incredibile. Registrava qualsiasi cosa, anche i soundcheck che potevano durare anche tre ore. Aveva creato un intero Zappaverso, un mondo diverso. Non esisteva nient’altro”.
    (Classic Rock, luglio 2015)

    Con Baby Snakes Zappa ha dimostrato, una volta di più, di frantumare con la partecipazione attiva del pubblico la classica divisione tra artista e spettatori.
    Il film è considerato dalla critica un’opera sociologica di prima mano. Cinema alla Zappa che non rispetta le convenzioni del film rock e neanche le innovazioni del surrealista 200 Motels. E’ ‘un’estensione della mia pratica musicale’ ha detto Zappa (Rock & Folk, 1980).
    E’ la fede incrollabile di Zappa in se stesso, l’oltraggioso senso dell’umorismo (come in “cose che non sono normali”) e la sua indiscutibile capacità di realizzare che gli ha permesso di completare contro ogni previsione progetti come Baby Snakes. Zappa ha fatto tutto da solo, anche il viraggio finale dei colori, tranne l’animazione di Bickford, realizzata sempre sotto la sua direzione.
    “È il tipo di film” ha spiegato Frank ridendo “in cui se ti alzi per fare una pisciata o per prendere dei popcorn, al tuo ritorno riprenderà. Ma non credo che ti alzerai per il Popcorn” (Circus, 19 febbraio 1980).
    Non c’è nessun montaggio cronologico: le sequenze concerto, backstage, prove, animazioni di argilla di Bruce Bickford, preparativi, sala, anomalie comportamentali presenti in ogni scena. Roy Estrada e la sua maschera antigas, il gioco sadico con la bambola gonfiabile Miss Pinky, le battute di Frank sulle mutandine che le signore del pubblico gettano sul palco, ecc.

    Baby Snakes è stato presentato in anteprima il 21 dicembre 1979 (il giorno del compleanno di Frank) al Victoria Theatre di New York City in Dolby Stereo. FZ ha installato uno speciale sistema PA nel teatro in modo che potesse suonare proprio come un vero concerto. Visto che era il suo compleanno, Frank decise di distribuire nell’atrio del locale fette di torta a forma di serpente: indossava un cappello da chef.
    Dopo l’ennesima difficoltà a trovare un distributore, Zappa decise di distribuire il film in modo indipendente attraverso la sua società di produzione Intercontinental Absurdities. Il film andò in onda 24 ore su 24 al Victoria Theatre di NYC e lui realizzò un ottimo profitto. Ha anche ricevuto un premio a Parigi nel 1981, il Premier Grand Prix per il genere ‘film musicale’.
    Il film è stato prodotto interamente da Zappa ed è costato 500.000 dollari. Per finanziarlo, ha lavorato sodo facendo più concerti. In un’intervista rilasciata a Michael Branton per Collage (dicembre 1977), Frank disse: “ci sono questi piccoli serpenti e c’è l’Universo e l’interconnessione tra loro”.
    Oltre alle registrazioni del 30-31 ottobre 1977 (Palladium), il film contiene anche le sessioni di sovraincisione di Sheik Yerbouti dell’estate 1978. L’intervista e il filmato dello shopping furono girati a Monaco (Germania) nel settembre 1978.
    Baby Snakes è stato pubblicato in VHS nel 1987 (versione originale lunga) ed è stato ristampato in DVD il 9 dicembre 2003 dalla Eagle Vision United States con un sonoro rimasterizzato in 5.1 Surround.
    L’album Baby Snakes, colonna sonora dell’omonimo film, è stato pubblicato nel 1983.

  • Frank Zappa, Stairway to Heaven – Bolero: something about the cover and Ravel

    Frank Zappa, Stairway to Heaven – Bolero: something about the cover and Ravel

    Stairway to Heaven & Bolero (singles/EPs/Fan Club/Promo, 1991, registrati il 18 aprile 1988 e 3 maggio 1988)

    Frank Zappa – lead guitar, computer-synth, vocal
    Ike Willis – rhythm guitar, synth, vocal
    Mike Keneally – rhythm guitar, synth, vocal
    Bobby Martin – keyboards, vocal
    Ed Mann – vibes, marimba, electronic percussion
    Walt Fowler – trumpet, flugel horn, synth
    Bruce Fowler – trombone
    Paul Carman – alto sax, soprano sax, baritone sax
    Albert Wing – tenor saxophone
    Kurt McGettrick – baritone sax, bass sax, contrabass clarinet
    Scott Thunes – electric bass, Mini-moog
    Chad Wackerman – drums, electronic percussion

    Adoro l’album di cover “Stairway to Heaven/Bolero” ed apprezzo allo stesso modo le due copertine (fronte e retro), i tanti significati e la forte ironia. Bethlehem Steel, la foto di copertina di Clarence Snyder, prende il nome dalla costruzione navale ormai affondata delle acciaierie della Pennsylvania. Raffigura scalinate metalliche, spopolate e stagliate contro lo spazio vuoto del cielo, che salgono verso il cielo ma che, all’improvviso, si fermano bruscamente. Le numerose scalinate appaiono abbandonate e incomplete, simboleggiano la stupidità condannata a tentare questa ricerca indossando pantaloni sbagliati (o il grembiule sbagliato). La giustapposizione di queste strutture con il titolo del disco implica ulteriori livelli di illusione umana, primo fra tutti, forse, il tentativo inutile di impegnarsi per ciò che è eternamente fuori portata.
    Il nome di Zappa, che fa da ponte tra queste inutili scale, completa il tutto: il costrutto di lettere articolate, un rosa più scuro rivettato su un rosa più chiaro riecheggiano questo fondamento terreno. La loro forma complessiva, tozza e rettangolare, non tende verso l’alto o verso l’esterno, ma si connette con il paesaggio. Le strutture a zigzag di queste scale reggono come un doodle. Le ripetute suggestioni delle forme delle lettere che compongono “FRANK ZAPPA”, la loro portata non è solo oltre, ma anche all’indietro e all’interno – dentro Zappa stesso e la sua storia musicale.
    La struttura della copertina è parallela al rapporto di Zappa con la sua musica: non fluttua completamente al di fuori della cornice della sua creazione, né può essere confinata dal suo contenuto ma, piuttosto, qui/fuori adesso, è presente in entrambi contemporaneamente. Con il paradiso sopra e (questo sconcertante) mondo sotto.
    I nomi di Zappa e Ravel sono stati abbreviati ciascuno in una singola lettera e nelle 5 lettere dei rispettivi cognomi in equilibrio. I loro sguardi congiunti convergono, ciascuno guardando direttamente: Ravel freddamente, Zappa in modo un po’ interrogativo, rivolto allo spettatore. Ognuno porta con sé un oggetto di soccorso: Ravel, una sigaretta, Zappa, il libro di John Godwin, This Baffling World. Il fascino di questo particolare libro risiede in parte nel titolo e nel sottotitolo – un resoconto documentato delle più grandi perplessità di tutti i tempi: fenomeni naturali inspiegabili, avvenimenti storici che ancora confondono e persone dai talenti straordinari che sfidano la comprensione. Quello è solo il cognome dell’autore, quindi guarda caso “Godwin” illustra fortuitamente la massima di Zappa secondo cui a volte puoi essere sorpreso dal fatto che l’universo funzioni, che tu lo capisca o no.
    Ma torniamo alla simmetria: quello che mi colpisce di più è che Ravel sfoggia una configurazione aggiunta di peli del viso che corrispondono allo stile del marchio di fabbrica di Zappa (e in seguito del marchio registrato). In questo sono felice di essere corretto, ma tutte le immagini di Ravel che ho potuto portare alla luce lo mostrano per lo più ben rasato; negli anni della gioventù, i suoi peli sul viso particolarmente floridi sono abbastanza diversi da quelli qui raffigurati.
    Così, proprio come il nome di Zappa è stato alterato dalla sua vicinanza alle scalinate del Bethlehem Steel, così Ravel ha subito ulteriori modifiche (la simpatica risonanza con Zappa). Il 2° pezzo della composizione in 5 parti di Ravel per pianoforte Miroirs (1905), Oiseaux tristes, doveva apparentemente ricordare una passeggiata in una foresta in una soffocante giornata estiva. Forse, nella foresta echeggiava non solo il canto degli uccelli, ma anche la risata. Ravel e Zappa lasciarono “l’edificio” a dicembre.

    (estratto dall’articolo “Lingua Franka (Part V): Who Was That Masked Man?” by Arjun von Caemmerer, The Rondo Hatton Report vol IX, 21 dicembre 2011)

    P.S.: In una foto, potete notare Ravel con baffi e barba. In un’altra immagine, Ravel è a fianco di Stravinsky.

  • Frank Zappa, King Kong: meaning, review, 4 Live versions

    Frank Zappa, King Kong: meaning, review, 4 Live versions

    Live Stoccolma 1967, Live Essen 1968, Live Parigi 1970 (con Jean-Luc Ponty), Live 1988 (Make a Jazz Noise Here)

    Frank Zappa compose il brano strumentale King Kong nel 1967 ispirato al film omonimo di successo del 1933, il classico film di mostri americano diretto da Merican C. Cooper ed Ernest Schoedsack.
    Inizialmente, questa composizione strumentale fu pubblicata nel 1969 (album Uncle Meat) con The Mothers of Invention.
    Nel 1971, l’incendio al Casino de Montreux (Ginevra, Svizzera) divampò proprio nel bel mezzo dell’assolo al sintetizzatore di Don Preston in King Kong.

    “Vorremmo suonare per voi la leggenda di King Kong. E’ la storia di un grosso gorilla elettrico confinato in un’isola da qualche parte in mezzo all’oceano, che conduce un’esistenza felice mangiando banane, finché un giorno un gruppo di imprenditori americani decidono di imbarcarsi e di catturarlo. Lo portano negli Stati Uniti, lo espongono facendo un sacco di soldi e poi lo uccidono… Il gong, simbolo di tutto quello che vive nella giungla e odora di gorilla. Ritmi della giungla, osceni e palpitanti. Emozioni piccanti e sudate tra flora e fauna esotiche” (Frank Zappa, Live Vancouver, 1968).

    Esistono numerose versioni di King Kong, tra cui quelle di Lumpy Gravy (1967, Hollywood), Season to be Jelly (1967, Stoccolma), Uncle Meat (in studio, live al Miami Pop Festival), Electric Aunt Jemima (1968, Essen), Live a Londra del 1968 e Live a Parigi del 1970, Man in Nirvana (1968, Fullerton), Live a Montreux (1971), You Can’t Do That on Stage Anymore, Vol. 3 (1971+1982), Make a Jazz Noise Here (1988), Hammersmith Odeon, versione Roxy Performances, Baby Snake (AAAFNRAA 2012).

    Qui trovate 7 ore di live

    https://www.youtube.com/watch?v=OgY-TIect-g

    “King Kong: Jean-Luc Ponty Plays the Music of Frank Zappa” è un album del 1970 realizzato dal violinista jazz francese Jean-Luc Ponty in tandem con Zappa, autore e arrangiatore di tutti i brani tranne How Would You Like to Have a Head Like That (composto dallo stesso Ponty). Prima di questo album, il violinista aveva già collaborato con Zappa per l’album Hot Rats pubblicato nel 1969. Le registrazioni di Hot Rats rappresentarono sviluppi significativi nella carriera sia di Zappa sia di Ponty. Zappa è stato uno dei pochi musicisti rock a catturare la complessità (non solo la sensazione) del jazz, mentre per Ponty King Kong segnò la prima volta in cui registrò come leader in un ambiente orientato alla fusion.

    Il brano sperimentale e avanguardista King Kong è stato riarrangiato ed eseguito in vari contesti durante la carriera di Zappa. Spesso, ha funzionato da piattaforma per l’improvvisazione mettendo in mostra la maestria strumentale della sua band.
    Raccontando la leggendaria storia del gigantesco gorilla Kong, forse Zappa aveva intenzione di raccontare la storia di qualcuno che, pur avendo una forza o un potenziale immenso, fa fatica a trovare il suo posto nella società.
    Nella registrazione dal vivo di Make a Jazz Noise Here, i testi frammentati e disconnessi suggeriscono un commento politico e sociale tipico di Zappa. La storia immaginaria ambientata a Cleveland è legata al periodo del Devoniano superiore, un pesce creativo e talentuoso che venne attaccato da squali fanatici religiosi. Va da sé che questa storia funge da metafora: evidenzia la natura distruttiva delle ideologie fanatiche e divisive che minacciano di distruggere la creatività e la vita stessa.
    Il dialogo tra il senatore Hawkins ed i suoi interlocutori suggerisce un clima caotico e conflittuale. Le due frasi “Bruciate l’edificio! State andando all’inferno” potrebbe rappresentare il desiderio di sradicare o distruggere qualcosa da parte di istituzioni politiche o sociali corrotte. I riferimenti ripetuti a bidet, fellatio, sodomie sfidano tabù e desideri repressi o disapprovati dalla società, i limiti della censura e della conformità. Termini come sport shirt e couchon (maiale in francese) suggeriscono una critica al consumismo e alla gola, alla cultura capitalista che promuove materialismo ed eccesso.

    King Kong è un 3/8 che si presta a diversi trattamenti, terreno ideale di estese dilatazioni improvvisative all’interno delle quali può avvenire di tutto. In un certo senso, il brano ha rappresentato per Zappa – che lo terrà in scaletta per lunghi periodi (anche solo come citazione) fino al tour del 1988 – ciò che My Favourite Things fu per John Coltrane. (Roberto Valentino, Musica Jazz, dicembre 2020)

    “King Kong è un brano semplice con accompagnamento in re minore. In effetti, direi che l’80% dei brani che abbiamo con degli assoli sono nella stessa tonalità. Adoro gli accompagnamenti in re minore con un preaccordo maggiore. Ti dà un bell’effetto modale”.
    (Frank Zappa, International Times, febbraio 1971)

  • Frank Zappa, Regyptian Strut: the power of keywords according to a certain Egyptian theory

    Frank Zappa, Regyptian Strut: the power of keywords according to a certain Egyptian theory

    Versione dell’album Lather (1996)

    Immagine di copertina di Salvador Luna (Lunatico)

    Regyptian Strut fa parte dell’album Sleep Dirt, registrato tra il 1974 e il 1976 e pubblicato a gennaio 1979. E’ incluso anche nell’album Lather (1996).
    E’ uno dei migliori brani strumentali di Frank Zappa: comprende 13 sovraincisioni di trombone (Bruce Fowler), il magico xilofono di Ruth Underwood ed il piano irrefrenabilmente funky di George Duke. L’incedere R-Egiziano è ricco di sordidi ottoni e stucchevoli note di pianoforte da cabaret. Nell’album Sleep Dirt, la chitarra di Zappa è estrema ma non rock, c’è il basso acustico ma non è jazz, molto materiale scritto ma non è un brano classico. Include riff nodosi, ballate acustiche e jazz-fusion intricate, contributi creativi della sua band all’epoca composta da Terry Bozzio, George Duke, Chester Thompson, Patrick O’Hearn, Ruth Underwood e Bruce Fowler. Insomma, è uno degli album meno classificabili del catalogo di Zappa.
    Le radici di Sleep Dirt affondano in uno scandaloso musical di fantascienza scritto nell’estate del 1972. La sceneggiatura di 81 pagine di Hunchentoot richiedeva 10 attori, un coro di 10 persone e un’orchestra di 22 elementi. Seppure il musical non sia mai stato eseguito (nonostante Zappa abbia, a quanto pare, cercato di assicurarsi Barbra Streisand per il ruolo principale), molte delle sue 14 canzoni sono state sparse in tutto il suo catalogo: ad esempio, “Think It Over” (The Grand Wazoo, 1972) e “The Planet Of My Dreams” (Them Or Us, 1984). “Time Is Money”, “Spider Of Destiny” e “Flambay” furono registrati nel dicembre 1974 al Caribou Ranch in Nederland (Colorado) e inclusi in Sleep Dirt.
    Il maestoso ‘incedere egiziano’ – un mix di bassi, xilofoni e ottoni – è in linea con lo stile di The Grand Wazoo. Si apre in modo piuttosto drammatico prima che fiati e tamburi prendano il sopravvento. La traccia inclusa in Sleep Dirt contiene una parte di chitarra acustica di Zappa e James Youman.

    Da bambino, Frank Zappa leggeva molto e, tra tante letture, gli capitò di immergersi nel mondo dell’antico Egitto. Un particolare contribuì a definire il suo stile espressivo.
    “Zappa aveva introiettato fin da piccolo un atteggiamento tra il dada e il surreale nei confronti dell’espressione verbale, manipolabile fino a livelli allucinatori. In ogni concerto decideva the secret word (la parola segreta della serata). Quella parola costituiva un tormentone negli intercalari e negli interventi parlati della band, finiva per modificare anche i testi delle canzoni. La sua attenzione per il potere della parola era nata quando da bambino aveva trovato, in un vecchio libro, la teoria egizia della trasmigrazione dell’anima e della vita ultraterrena. Il Faraone, fin da piccolo, doveva imparare le parole-chiave che designavano ognuno dei luoghi che l’anima avrebbe dovuto attraversare dopo il trapasso: guai a sbagliare il nome! Ciò suscitò in lui la convinzione che la realtà fosse condizionata dalle parole e che ogni paradosso fosse affidato alla manipolazione del linguaggio. Un’altra forma della sua creatività musicale era invece di carattere grafico e risaliva all’età di circa 14 anni, quando le sue conoscenze musicali andavano poco oltre la lettura di spartiti per percussioni non intonate. Si mise a comporre musica scritta perché era affascinato dalla resa grafica delle note sul pentagramma: si era convinto che, conoscendo le regole combinatorie e il significato delle note sul pentagramma, si potesse diventare automaticamente compositori. Fin da ragazzino applicò metodi complessi come le tecniche seriali e microtonali. Cambiò radicalmente idea sulle sue opere giovanili quando ebbe modo di ascoltarle, e allora si rese conto che la verità musicale è una verità pratica, che il momento in cui un’opera è finita è quello in cui si giudica soddisfacente la sua resa sonora. A decidere, insomma, è l’orecchio. Fu, da questa prospettiva, un totale empirista che però aveva un sesto senso per le relazioni formali di tutti i tipi. Un ‘compositore’ per tutti i media”.
    (Gianfranco Salvatore, musicologo, biografo di Frank Zappa – Mangiare Musica giugno 1994)

  • Frank Zappa, The Ocean is the ultimate solution: Terry Bozzio tells how the song was born

    Frank Zappa, The Ocean is the ultimate solution: Terry Bozzio tells how the song was born

    2 versioni (Sleep Dirt + Lather)

    The Ocean is ultimate solution fa parte dell’album Sleep Dirt (1979). E’ un brano strumentale, una traccia epica modificata da una jam di 30 minuti, fortemente caratterizzata dalla stravagante accordatura Fender a 12 corde di Zappa. La canzone, che un tempo doveva essere la title track di Zoot Allures, presenta anche uno degli assoli di chitarra elettrica più fluidi di Zappa e ha segnato l’audizione di successo del bassista Patrick O’Hearn per la sua band. Un brano eccezionale di basso acustico, chitarre acustiche ed elettriche e batteria, con colpi di scena e cambi di marcia, molto carico, ritmato, veloce e avvincente con un assolo finale di chitarra distorta, veloce, potente, emotivo e insistente. Linee di basso difficili, doppia cassa, percussioni irregolari, accordi di chitarra sincopati: questa traccia è in stile Grand Wazoo.

    Da un’intervista a Terry Bozzio:
    “Questa traccia è stata registrata nello stesso studio in cui ho ascoltato per la prima volta Greggery Peccary al Record Plant di Hollywood. Frank aveva sperimentato con i microfoni, le tecniche di registrazione, ecc. un’incredibile accordatura alternativa per la sua Fender 12 corde ed un processo ingegnoso per registrarla (credo che questa chitarra fosse stata modificata da Rex Bogue, che aveva costruito le chitarre personalizzate di Mahavishnu, restaurato la “Hendrix Stratocaster” di Zappa che Jimi aveva dato alle fiamme, oltre ad essere l’inventore dei preamplificatori integrati “Balls Deluxe”). Questa chitarra aveva uscite stereo discrete per corde basse e alte che Frank spostava a sinistra e a destra. Aveva anche un pickup Barcus Berry sepolto nel manico in corrispondenza della paletta, che ha spostato al centro. L’accordatura è stata fatta in modo tale che le tre corde basse fossero accordate sugli intervalli di M7-M7-m7 e le corde alte su un tritono-M3 &m3. Quindi, ogni nota o accordo che suonava era un evento armonico incredibilmente complesso e atonale. Abbinato all’innovativo panning, il risultato è stato questo meraviglioso suono di chitarra ad effetto “frantumazione di vetri”, completamente unico e che io sappia non è mai stato copiato da allora. Così, ha voluto me e il bassista Dave Parlatto (di Orchestral Favorites) in studio per suonare. All’epoca suonavo con il mio kit Gretch nero, contrabbasso, 5 tom (che ora è di proprietà del mio buon amico Wes Falconer e può essere visto nel suo “Explorers Drum Shop” di Kansas City). Ad ogni modo, abbiamo suonato una jam ispirata della durata di 45 minuti. Frank l’ha modificata riducendola a 15 minuti circa, utilizzando le parti migliori. Ricordo, comunque, che alcune sezioni pazzesche non sono state utilizzate, forse un giorno pubblicheranno l’originale nella sua interezza. Qualche tempo dopo, il mio migliore amico, Pat O’Hearn, è venuto a Los Angeles per suonare una settimana al “Light House” di Hermosa Beach con il leggendario sassofonista jazz Dexter Gordon. Ho invitato Pat a stare nella mia piccola casa a Laurel Canyon. Pat ha suonato la prima sera mentre ero in studio a lavorare con Frank, quindi gli ho detto di passare al Record Plant per incontrare Frank ed ascoltare quello che stavamo facendo. Pat aveva il suo grande basso acustico in macchina e non voleva che glielo rubassero, quindi l’abbiamo portato dentro. Frank, dopo aver visto Pat entrare in studio con un basso acustico, ha chiesto eccitato “Suoni quella cosa?!”. Pat annuì: aveva sovrainciso un po’ di chitarra solista sulla versione modificata e voleva che Pat ci provasse un po’ di basso acustico. Gli ingegneri sono entrati in azione montando alcuni dei migliori microfoni che avevano mentre Pat tirava su uno sgabello facendo scivolare il basso italiano del 17° secolo dalla sua custodia morbida ed aggiustando le cuffie. Quando tutto fu pronto, suonarono la traccia e pigiarono il pulsante rosso di registrazione: il mio amico e bassista preferito la fece letteralmente a pezzi!! Frank l’ha adorato e immediatamente hanno sovrainciso una sezione alla volta (con Zappa che dirigeva i centri tonali) e hanno creato i toni di basso più belli e un’esecuzione bruciante che ha davvero dato vita al pezzo! Poi Zappa l’ha fermato pensando che il basso elettrico sarebbe stato migliore nelle sezioni successive. Voleva sapere se Pat suonava il basso elettrico. In un minuto Pat tirò fuori dal bagagliaio dell’auto il basso elettrico (nel quale in realtà non era specializzato all’epoca) e iniziò a tirare fuori il resto del pezzo! Probabilmente era l’alba quando abbiamo finito e Frank sapeva che Pat aveva già suonato 3 set con Dexter, quindi gli ha chiesto di venire di nuovo l’indomani sera per fare ancora qualcosa. Abbiamo trasformato questa jam fortuita in uno dei miei brani preferiti in assoluto: Zappa adorava anche l’umorismo di Pat al punto tale da ispirare il materiale su molti dei brani classici che abbiamo registrato in quel periodo, a metà degli anni ’70”.

  • Frank Zappa, Watermelon in Easter Hay: creative power stifled by reality, review

    Frank Zappa, Watermelon in Easter Hay: creative power stifled by reality, review

    Watermelon In Easter Hay (Live 31/10/1978, Palladium, NYC) con L. Shankar
    Dweezil Zappa – Watermelon in Easter Hay (live a Londra, 2013)

    Watermelon in Easter Hay è diventato una sorta di inno lasciato in eredità da Frank Zappa.
    In punto di morte, Zappa scelse questo brano ed altre due canzoni che identificò come le sue composizioni distintive. In particolare, ha definito l’assolo di Watermelon una delle migliori performance della sua carriera. Frank chiese che solo a suo figlio Dweezil fosse concesso di suonare Watermelon in Easter Hay, Zoot Allures e Black Napkins dopo la sua morte. Allo stesso tempo, Zappa consigliò a sua moglie Gail di abbandonare del tutto il mondo della musica e di vendere il suo intero catalogo di oltre 60 album ad eccezione di questa canzone. La famiglia Zappa conserva i diritti di Watermelon in Easter Hay.
    Dweezil ha interpretato Watermelon in Easter Hay dal vivo con grande trasporto nel 2013. Ha pianto sul palco mentre suonava questa inestimabile melodia che racchiude in sé coraggio creativo, innovazione artistica, individualità spudorata, tutta la storia e il messaggio di Zappa. Con questo brano rivela la sua vibrante umanità togliendo la maschera del cinismo e della misantropia che definivano la sua immagine pubblica.
    Watermelon In Easter Hay è una delle melodie/assoli di chitarra più belli che abbia mai sentito.
    Un dettaglio interessante riguardo a Watermelon è questo: lo strumento che suona la melodia ripetuta con una cadenza lenta di 9/8 durante l’intera composizione è un sitar indiano.

    Groove costante e ipnotico, assolo di chitarra ‘cosmico’ in cui è possibile sentire Joe mentre ansima il suo ultimo sussulto di umanità, prima di rinunciare per sempre ai suoi sogni e arrendersi alla macchina aziendale. La traccia è preceduta da un’introduzione parlata che spiega: “E’ l’ultimo assolo di chitarra immaginario”.
    La voce narrante che sussurra attraverso un megafono e incolla le canzoni dell’album con la sua storia di Joe e del suo coinvolgimento in una società distopica, mentre cerca di formare una garage band, pronuncia quanto segue: “Questo è il CENTRAL Scrutinizer. Joe è appena entrato in una frenesia immaginaria durante la dissolvenza in chiusura della sua canzone immaginaria. Adesso comincia a sentirsi depresso. Sa che la fine è vicina. Si è reso conto che le note di chitarra e le voci immaginarie esistono solo nell’immaginazione di chi immagina. E alla fine, chi se ne frega comunque?! Quindi, torna nella sua brutta stanzetta e sogna in silenzio il suo ultimo assolo di chitarra immaginario”.
    La migliore interpretazione di questa canzone riguarda il concerto di Halloween del 1978. Gli scambi solisti tra Zappa e L. Shankar in questa esibizione sono a dir poco spettacolari.
    Man mano che la canzone si svolge, il ciclo di 9/4 diventa una sorta di mantra che non puoi toglierti dalla testa dopo la fine della canzone.
    Una caratteristica che risalta immediatamente quando si ascolta la chitarra in questo brano è il suo tono, un suono chiaro e spaziale che funziona così bene per l’atmosfera emotiva del pezzo ed è molto diverso da qualsiasi altro suono di chitarra conosciuto.

    In un’intervista, Frank Zappa ha spiegato che suonare un assolo con musicisti (batterista, bassista, tastierista) che suonano troppo, incapaci di seguire le sue intenzioni musicali, è come far crescere un’anguria nel fieno di Pasqua. Pura utopia. Ma il significato più ampio va oltre questa sua affermazione.
    “Una sinfonia di sogni, ogni notte e ogni giorno. Vivere in una terra immaginaria, una fantasia che non puoi nascondere. Aggrappati a ieri. Nessuno sa come mi sento, nessuno si preoccupa del modo in cui piango. Vivere in un mondo di finzione, nessuno sa perché. Volare in alto e libero, l’immaginazione corre selvaggia.., lasciandosi alle spalle tutti i dubbi e le paure, vivendo in un mondo così cieco…”.
    ‘Anguria nel fieno di Pasqua’ è una riflessione filosofica sul potere dell’immaginazione e sul processo creativo. Tutte le attività creative sono, alla fine, limitate dalla realtà. Si può gioire di una bellezza e di una grandezza immaginarie, ma il momento in cui ci si rende conto che sono immaginarie può essere deprimente e crudele.
    Tuttavia, il narratore si aggrappa al sogno nel ritornello come per proteggersi dalla durezza e insensatezza della vita con l’analogia di un’anguria nel fieno di Pasqua.

  • Frank Zappa, Montana – 3 live versions: just a silly meaning?

    Frank Zappa, Montana – 3 live versions: just a silly meaning?

    Live al Roxy Theatre (1973)
    Live Stoccolma (21 agosto 1973)
    Live al Palladium di New York (Halloween 1981)

    Secondo le teorie di Ben Watson, l’effettiva intenzione di Zappa sul significato dei suoi testi conta e non conta. Nel caso di Montana, potrebbe aver avuto l’intenzione di scrivere una canzone dedicata semplicemente al filo interdentale. In alcune interviste, Frank Zappa ha dichiarato che, un giorno, dopo aver usato il filo interdentale, si è chiesto come fosse stato realizzato e da dove provenisse. Interpretandola in modo superficiale, quindi, Montana è una canzone deliberatamente sciocca che tratta un argomento banale: partendo dall’invenzione del filo interdentale, Zappa trasforma la canzone in una commedia epica e assurda.
    Tuttavia, come tutti i testi di Frank, i significati possono essere diversi. Ad esempio, Ben Watson ha affermato che, in slang americano, ‘trasferirsi nel Montana’ significa ‘lasciare la politica’.
    La grande teoria di Watson è che il lavoro di Zappa dia voce all’inconscio/subconscio collettivo dell’artista e del pubblico. In pratica, i suoi testi funzionerebbero nello stesso modo in cui funzionano i sogni: permettono alla nostra immaginazione inconscia di scatenarsi dando voce ai tanti pensieri che reprimiamo, come quelli sessuali (soprattutto devianti) o le nostre idee “politicamente scorrette”, le nostre tendenze antisociali, ecc.
    Quindi, non esiste un modo univoco di interpretare Zappa e ogni nostra interpretazione potrebbe non essere sbagliata. In un certo senso, è una forma di recupero dell’idea centrale del postmodernismo, secondo cui non esiste una verità oggettiva, ma solo narrazioni.

    Qualcuno potrebbe dire che Montana ridicolizzi i sogni ad occhi aperti su qualcosa di impossibile, che non faremo mai, glorificando scenari immaginari che non verranno mai messi in atto.
    Negli anni ’60, le persone disincantate dalla cultura americana furono spinte a tornare a vivere in mezzo alla natura. Negli anni ’70 questo era un sogno da cretini: Frank potrebbe prendere in giro le persone che vogliono allontanarsi da tutto e pensare di trovare il successo da qualche parte. Il personaggio che sogna di trasferirsi nel Montana in sella ad un pony chiamato Mighty Little e di diventare un magnate del filo interdentale, nel brano, non andrà da nessuna parte, è solo un altro idiota che fantastica invano.
    E’ un po’ la rappresentazione dell’assurdità del sogno americano, tipico delle persone che pensano di avere successo in cose futili.

    Montana è l’ultima traccia dell’LP Over Nite Sensation (1973), uno dei brani più famosi e rinomati di Frank Zappa. Segni particolari: i riempimenti di batteria iniziali e la partecipazione di Tina Turner e dei cori delle Ikettes nell’intera traccia, soprattutto nella sezione centrale e finale. Si tratta di un brano strutturato in modo non ortodosso (intro – strofa – ritornello – assolo – sezione centrale – strofa – outro). E’ stato suonato spesso dal vivo, in particolare nei tour del 1973, 1975, 1982, 1984 e 1988.
    Sul palco Zappa alterava spesso il testo della canzone, a volte anche la struttura. Un famoso esempio è la versione contenuta in You Can’t Do That on Stage Anymore, vol. 2 (“Whipping Floss”). Prima che la canzone inizi, un fan chiede di suonare la canzone Whipping Post della Allman Brothers Band. Frank scherza con il pubblico dicendo che non conosce la melodia e sceglie di suonare Montana ma altera il testo e costringe la band a suonare prima molto velocemente, poi lentamente. Il brano si conclude con un lungo assolo di chitarra che si trasforma in una sorta di jam funk, poi prosegue in una breve versione di Big Swifty.

    https://www.youtube.com/watch?v=SnEiZ2ESOOY

    La versione con l’assolo tagliato è il lato B di I’m The Slime (1973): in seguito, è stata inclusa nella compilation Strictly Commercial.
    Nella biografia “Zappa” di Barry Miles si legge che Tina Turner rimase così colpita da una versione approssimativa della canzone che si offrì volontaria insieme al suo coro di supporto per cantare i backup di ‘raiing my lonely dental floss’ della canzone. Poi, Tina chiamò suo marito Ike Turner in studio per fargli ascoltare il brano. Miles racconta che Ike ascoltò per circa un minuto e dichiarò: “Che diavolo è questa merda?”.

    “Ho scritto una canzone sul filo interdentale, ma i denti di qualcuno sono diventati più puliti?” (FZ in risposta alle accuse di Tipper Gore secondo cui la musica incita le persone a comportamenti devianti o influenza il loro comportamento in generale.) Udienze del Senato su Porn Rock 1985

  • Frank Zappa, Uncle Remus: Racism & Black Civil Rights Movement, review

    Frank Zappa, Uncle Remus: Racism & Black Civil Rights Movement, review

    Uncle Remus (Mix Outtake) dalla compilation The Crux of the Biscuit (2016)
    George Duke – Uncle Remus Live
    Dweezil Zappa – Uncle Remus 25 luglio 2018 Live Amsterdam

    Immagine di copertina di Salvador Luna (Lunatico)

    Uncle Remus è una canzone scritta da Frank Zappa e George Duke tratta dall’album Apostrophe (1974).
    Il titolo riprende il nome di un personaggio immaginario protagonista delle opere dello scrittore Joel Chandler Harris. Per esteso, la raccolta di racconti popolari afroamericani del Sud compilata e adattata da Joel Chandler Harris s’intitola Uncle Remus, His Songs and His Savings: The Folk-Lore of the Old Plantation (1881).
    Lo zio Remus è un vecchio liberto gentile che funge da strumento di narrazione, trasmettendo le fiabe popolari ai bambini raccolti intorno a lui, come il tradizionale griot africano. Il lavoro di Harris fu elogiato per la sua capacità di catturare il dialetto nero delle piantagioni.
    Il testo riflette i sentimenti di Zappa nei confronti del razzismo e del movimento dei neri per i diritti civili negli anni ‘70, temi precedentemente esplorati da Zappa nel brano Trouble Every Day.

    https://www.youtube.com/watch?v=IuJsPBLsJac

    George Duke pubblicò una versione alternativa della canzone con un arrangiamento più gospel nel suo album del 1975 The Aura Will Prevail. Un’altra versione alternativa della canzone, “Uncle Remus (Mix Outtake)”, è stata inclusa nella compilation di Zappa del 2016 The Crux of the Biscuit. Un’ulteriore versione alternativa, questa volta strumentale, è stata pubblicata nel boxset di Zappa del 2022 Waka/Wazoo.
    Dopo aver lasciato i Mothers of Invention intorno al 1976, Duke registrò la sua versione della canzone per uno dei suoi primi album solisti, Three Originals.

    “Tieni il naso alla mola. Sarà questo a redimerci, zio Remus?”.
    Zappa si chiede se, nonostante gli sforzi, l’uguaglianza razziale potrà mai essere raggiunta.
    L’autore Ben Watson ha definito la canzone “un gentile rimprovero, sottolineando come la protesta fosse stata abbandonata per la moda”, citando la menzione di Zappa di far crescere un “fro”. Erano orgogliosi dei loro vestiti ma, durante le rivolte, venivano spruzzati con manichette antincendio. La linea ‘fro’ ricorda parecchio la canzone Who Needs the Peace Corps sull’hippie deliziato dal fatto che i suoi ‘capelli stanno diventando belli dietro’.
    Il testo della canzone si riferisce anche ai fantini del prato, statuette che spesso rappresentavano figure nere dai lineamenti esagerati. Zappa canta di prendere di mira i fantini sui prati dei “ricchi” come forma di protesta a Beverly Hills, suggerendo una connessione tra classe e razza.

  • Frank Zappa, I Come from Nowhere: meaning, review

    Frank Zappa, I Come from Nowhere: meaning, review

    I Come from Nowhere (album Ship Arriving Too Late to Save a Drowing Witch, 1982)

    “La gente che viene dal nulla sorride sempre. I loro occhi sono congelati. I lati delle loro facce sporgono agli angoli. Non abbassano mai le sopracciglia. A loro piace andare in giro mostrando i denti tutto il tempo. I tuoi denti si vedono, quindi potresti avere la malattia delle persone che vengono dal nulla dove l’aria si blocca sulle loro gengive. Le loro labbra restano ferme e zitte, non fanno nulla. Là fuori nel nulla…”.

    Sorridono sempre ma i loro sorrisi sembrano congelati, esagerati. Ridono sempre a prescindere dalle loro reali emozioni. E’ un’esposizione artificiale di felicità. Non si arrabbiano mai, le loro sopracciglia non si abbassano mai. Sopprimono le emozioni negative presentando costantemente una facciata di gioia. Sono insensibili all’eccitazione ed agli stimoli. Di fronte ad una vera emozione restano immobili, silenziosi, impassibili, non fanno nulla. Il comportamento di coloro che vengono dal nulla (monotono e privo di individualità) potrebbe influenzare le persone che entrano in contatto con loro.
    Quella di Zappa è una critica alla conformità di un comportamento artificiale nella società e sottolinea l’importanza dell’autenticità, di un’espressione genuina.

    “Penso che le persone che sorridono troppo siano… pericolose. Questa è una canzone sulle persone che ridono troppo…”.
    (Frank Zappa, da un’intervista trasmessa alla radio KPFM-FM, 84/5 del 17 maggio 1984)

    Il cantato sfiora la stonatura, dà l’idea di una voce in reverse. Pezzo mirabile per l’assolo finale.
    Roy Estrada canta con uno strano stile lounge-jazz che contrasta totalmente col suono heavy rock del brano. Ciò che dà un suono strano alla voce è il fatto che ha un metro diverso rispetto al resto degli strumenti.
    Per questo brano è stata creata una traccia alla volta iniziando con la batteria: tutto il resto è stato aggiunto, anche il selvaggio assolo di chitarra.
    Di solito, Frank Zappa usava assoli di chitarra estratti da concerti dal vivo da aggiungere nei suoi lavori in studio. Per I Come from Nowhere ha curiosamente inserito un assolo registrato in studio. Ci sono voluti circa 20 minuti per suonare l’assolo e due ore di lavoro in studio per ottenere il suono che voleva. La traccia, alla fine, svanisce nell’assolo.
    L’intero brano è stato ideato in studio. E’ nato da un riff di chitarra rock in cui Frank si è imbattuto. E’ cresciuto, traccia dopo traccia, fino a diventare uno strano tipo di rock. E’ stato pubblicato nell’LP Ship Arriving Too Late to Save a Drowing Witch (1982) e non è mai stato eseguito sul palco.
    C’è una forte dissonanza come una seconda minore che stride nelle prime battute: “si tratta di un insieme di armonici di basso distanti mezzo step l’uno dell’altro, un piccolo accordo armonico in tre parti” (Frank Zappa)
    L’assolo è stato realizzato con la “Les Paul collegata ad un amplificatore Carvin. Suonava dritto, senza effetti, ciò di cui avevo bisogno. La traccia originale era una rhythm box, poi è stata aggiunta la voce ed alcune parti di chitarra (non l’assolo, soltanto le parti orchestrali). L’assolo di chitarra è stato aggiunto sulla traccia della rhythm box e la batteria è stata aggiunta per suonare insieme all’assolo di chitarra. La traccia di basso è stata aggiunta per ultima” (Frank Zappa).

    La caratteristica principale di questa canzone – a parte il fatto che il suo riff preannunciava la maggior parte del materiale di Man From Utopia e Them or Us – risiede nella strana voce. L’esecuzione suona xenocrona – sarebbe stata registrata in un contesto estraneo alla canzone in cui è finita. Zappa ha cambiato la velocità, dal momento che la voce suona altamente innaturale – si potrebbe dire “alterata”, come quella di un drogato o ascoltata da qualcuno che assume droghe. Sarebbe adatto al tema della canzone. Se la “gente che viene dal nulla/sorride sempre”, se “ha gli occhi tutti congelati” è perché usa sostanze stupefacenti. Zappa ha sempre dichiarato di essere fortemente contrario alla droga, ma negli anni ’80 ha accumulato diverse canzoni sull’argomento (“Charlie’s Enormous Mouth” era l’opera dell’album precedente, “Cocaine Decisions”, sarebbe stata quella successiva).

  • Frank Zappa & Sinclair Lewis, It Can’t Happen Here: meaning, review

    Frank Zappa & Sinclair Lewis, It Can’t Happen Here: meaning, review

    It Can’t Happen Here (1970 FZ Remix)

    “La politica è il ramo dell’industria dell’intrattenimento” (Frank Zappa)
    “Certamente non c’era niente di esilarante nelle parole dei suoi discorsi, né niente di convincente nella sua filosofia. Le sue piattaforme politiche erano solo le ali di un mulino a vento”. (Sinclair Lewis, “It Can ‘t Happen Here”)
    Il brano di Frank Zappa “It Can ‘t Happen Here” tratta della crescente minaccia del fascismo ed è stato un chiaro appello a tutti gli americani.
    In merito a questo brano, Loren B. Thompson ha scritto: “Come l’omonimo romanzo satirico di Sinclair Lewis del 1935, la canzone di Zappa ha rappresentato un avvertimento. Non importa quanto possiamo pensare di essere al sicuro, non siamo immuni dagli shock che colpiscono le persone in altri luoghi”.
    “It Can’t Happen Here” di Zappa non è caduta dal cielo. Evidentemente, era un riferimento diretto al libro di Sinclair Lewis It Can’t Happen Here.
    Nel 1935, durante l’ascesa del fascismo in Europa, il romanzo politico distopico It Can’t Happen Here: What Will Happen When America Has A Dictator, fu pubblicato da Doubleday, Doran and Company.
    Ambientato negli anni ’30, il romanzo narra di un politico americano, Berzelius “Buzz” Windrip, che diventa il primo vero dittatore d’America, promettendo un ritorno alla grandezza americana, e di Doremus Jessup, un editore di un giornale americano, che dedica il suo lavoro a denunciare il fascismo delle politiche di Windrip.
    Sebbene il romanzo It Can’t Happen Here sia stato adattato in un’opera teatrale e prodotto dal Federal Theater Project della WPA, non è mai diventato un film.
    Secondo una storia del 1936 nel Santa Cruz Sentinel di Santa Cruz, California, It Can’t Happen Here (con un cast composto da Lionel Barrymore, Walter Connolly, Virginia Bruce e Basil Rathbone) era pronto per la produzione, quando il capo della Metro-Goldwyn-Mayer, Louis B. Mayer, l’ha rinviato a tempo indeterminato citando, tra le altre cose, i costi. Il regime nazista in Germania era chiaramente soddisfatto della decisione di Mayer.
    In una storia su Tablet del giugno 2013 intitolata “Hollywood’s Creepy Love Affair With Adolf Hitler, in Explosive New Detail”, David Mikics ha scritto: “Adolf Hitler amava i film americani. … A quanto pare, l’amore di Hitler per i film americani è stato ricambiato da Hollywood”.
    Il libro di Mikcis Ben Urwand The Collaboration: Hollywood’s Pact with Hitler sostiene che “alcuni capi degli studi di Hollywood, quasi tutti ebrei, si schierarono con Hitler quasi dal momento in cui prese il potere, e lo fecero con entusiasmo, non con riluttanza. Quello che volevano era l’accesso al pubblico tedesco. Ciò che Hitler voleva era la capacità di modellare il contenuto dei film di Hollywood e l’ha ottenuto”.
    “Negli anni ’30, Georg Gyssling, console di Hitler a Los Angeles, fu invitato a visionare in anteprima i film prima che uscissero in sala. Se Gyssling si opponeva a qualsiasi parte di un film (e lo faceva spesso), le scene offensive venivano tagliate. Di conseguenza, i nazisti avevano il potere di veto totale sul contenuto dei film di Hollywood”.
    Nel 1986, ospite di Crossfire della CNN, Frank Zappa avvertì che l’amministrazione Reagan stava “spostando l’America verso una teocrazia fascista”. L’editorialista conservatore e co-conduttore Robert Novak non riusciva a credere alle sue orecchie, mentre l’esperto di destra John Lofton era fuori di sé dall’incredulità.
    (Dailykos.com, 17 agosto 2023)

    La canzone It Can’t Happen Here, pubblicata nel 1966 all’interno dell’album di debutto dei MOI Freak Out!, critica l’ignoranza della società americana nei confronti del clima politico dell’epoca, la convinzione che le atrocità che accadono in altre parti del mondo non possano accadere in America. Zappa ripete la frase in tono beffardo e rassicurante. Ridicolizza l’ingenuità di chi pensa che il proprio Paese sia immune da disordini sociali o politici, dal rischio di una rivolta o di un colpo di scena, un imprevisto. Suggerisce di aver osservato il mondo intorno a sé e di aver visto i segni di un potenziale caos. Nessun luogo è immune dal potenziale di ribellione o di sconvolgimento.

    It Can’t Happen Here è un brano a cappella, tra il free e il parodistico, unico nella storia del rock’n’roll.
    La composizione è una polifonia vocale con dissonanze complesse mescolate a frammenti dialogici particolarmente banali, giochi di onomatopee, batteria ternaria e pianoforte sfrenatamente atonale. Nella sua interezza, sono state incollate tre sequenze. Un primo tentativo ritmico in tempo medio porta a un boogie veloce e tagliente, poi assemblato a un altro tentativo medio più riuscito. Il tutto è interrotto dal sonaglio di Suzy Creamcheese accompagnato da timpani classici. Infine, “It Can’t Happen Here” celebra la musica seria e la rima dada prima di evaporare con un effetto eco retrò.
    Frank Zappa: “Si noti l’ovvia mancanza di potenziale commerciale”. (libretto Verve Records, 1966)