
Frank Zappa era infuriato con lo scrittore David Walley. Disse che Walley gli aveva inviato la bozza quando avevano già stampato 10.000 copie. Sottolineò che c’erano grosse inesattezze che non avrebbero mai potuto essere corrette.
“Walley è andato in giro intervistando molte persone, non ha mai fatto riferimenti incrociati, non ha mai esaminato nulla che qualcuno avrebbe detto su qualcun altro. Ha semplicemente messo insieme un sacco di citazioni” (FZ).
David Walley, nel corso di un’intervista condotta da Paul Remington, ha detto la sua.
(estratto dall’intervista a David Walley di Paul Remington pubblicata su Zappa Wiki Jawaka)
“Ero uno dei pochi scrittori a New York che stava dalla sua parte, che sapeva come scrivere di quello che faceva. Frank mi disse: ‘Sei una delle poche persone che capisce quello che faccio’. Mentre stavo concludendo il mio soggiorno a Los Angeles, gli dissi che ero troppo sopraffatto dal materiale, che mi turbava il fatto che lui potesse vivere in un tale caos (la situazione interna alla band, le questioni familiari dietro le quinte, ecc.) e tuttavia essere così solo. Mi guardò in modo molto strano e non disse una parola, ma sapevo di aver colto nel segno. Ricordo di avergli detto che non potevo scrivere il libro, che non sapevo cosa fare. Rispose: ‘Certo che puoi farlo, sai cosa sta succedendo. Sei un bravo scrittore’.
Credo che avesse difficoltà ad essere onesto con le persone perché pensava che gli avrebbero fatto del male…”.
“Ho analizzato la musica di Frank Zappa da storico culturale. Era interessante non solo dal punto di vista di ciò che scriveva (testi, assemblaggi musicali di stili), ma anche di come lo faceva. Se fosse stato solo una rock star, pur potendo apprezzare quello che faceva non ne sarei stato così ossessionato… Era qualcosa di più di una semplice star del rock and roll. Era un compositore che usava il rock and roll come un’altra forma di musica americana. Sono rimasto colpito dal suo uso di forme musicali di ogni genere, così come dal tono satirico dei suoi testi. Aveva le parole e aveva anche la musica, ed era un personaggio americano unico, molto simile a Charles Ives e Howlin’ Wolf… Era anche una figura ‘seria’ e all’epoca ‘controculturale’, ma non nel senso del termine che si dà alla moda…
Era il 1967. Vidi i Mothers al Garrick Theater di New York City. Quando mi trasferii a New York City ed iniziai a lavorare per Jazz and Pop, recensii We’re Only In It for the Money e Uncle Meat. Dato che il mio editore era amico di Frank, riuscii ad incontrarlo al Newport Jazz Festival, dove lesse l’articolo e mi disse che ero una delle poche persone a sapere cosa stesse facendo. Così continuai a scrivere di Frank e fui uno dei pochi critici della stampa underground a dargli più voce…”.
“La prima reazione di Zappa al libro fu questa: era divertito, ma non eccessivamente entusiasta… Molti dei soci di Zappa mi hanno contattato e mi hanno detto che avevo scritto un libro esplosivo. Tuttavia, mi hanno detto di NON dirlo a Frank perché li avrebbe licenziati. Ho rispettato i loro desideri, naturalmente, ma ho trovato un certo grado di soddisfazione nel loro consenso per ciò che avevo cercato di fare. I membri della band dovevano stare attenti a quello che dicevano in sua presenza o sulla stampa… Quando Frank licenziò i primi Mothers, lui aveva il controllo: era il leader. Li pagava e loro lavoravano per lui, non con lui… Il libro ha offeso solo Frank, tutti gli altri mi hanno detto che, che gli piacesse o no, era fatto così… A mio parere, la teoria della ‘spinta negativa’ è venuta da Frank stesso, che ha pensato a quello che avrei potuto dire ma non ho detto. Forse avrebbe potuto gestirla molto, molto meglio se l’avessi fatto io. Ma continuo a non capire cosa ci sia di negativo nell’affermare che gli esseri umani sono fallibili. Era un essere umano in un universo umano. Era un grande artista, forse un genio. Anche i geni a volte possono essere stronzi, e allora? Frank passava molto tempo a dare degli stronzi agli altri, cosa che era un suo diritto, ma non riusciva mai a guardare se stesso con altrettanta chiarezza… So quanta cura, sudore e fatica ho impiegato nella scrittura del libro e nella ricerca…
Nessuno, né Zappa né Mutt Cohen (fratello di Herbie), aveva fatto intendere che avrebbero fatto causa. Il mio editore era in difficoltà, pensando che non avessi mai ottenuto il permesso ma lo consegnai anche se andò perso alla morte del contabile dell’editore e i documenti rimasero bloccati sulla scrivania per sei mesi…Ero persino pronto a rimuovere personalmente i testi offensivi (al di sopra del quoziente di fair use), a far firmare il libro ad ogni persona che aveva contribuito e a scrivere sulla copertina “Censurato”, il che avrebbe certamente aumentato il valore del libro, almeno come reperto storico. Quando finalmente abbiamo trovato il permesso, abbiamo inviato i soldi che ci hanno restituito. Alla fine abbiamo detto “fanculo” e abbiamo pubblicato il libro. Sembra che alla lunga sia andato tutto bene, eh? Ciò che Frank ha detto pubblicamente era spesso in contrasto con il suo modo di agire…
Chiunque abbia un minimo di buon senso comprende che il libro contiene una mia interpretazione personale in base al modo con cui ho assimilato i fatti (che è prerogativa dello scrittore). Quindi, non ho mai capito perché Frank abbia continuato a passare anni della sua vita (gran parte degli anni Settanta) a criticarmi. Ricordo di avergli detto che se il libro non gli piaceva, non c’era bisogno che lo dicesse. Zappa ha rilasciato interviste su Gallery e Penthouse definendomi uno psicotico – una persona disturbata che non capiva minimamente cosa lui rappresentasse. Ha affermato nelle interviste che dovevo essermi inventato tutto, che niente di tutto ciò aveva alcun fondamento! Sono rimasto davvero ferito dalla reazione di Frank al mio libro, dato che nutrivo solo rispetto per il suo lavoro e per ciò che stava cercando di fare. Ho pensato che fosse una reazione incredibilmente paranoica, ma suppongo che fosse il prodotto della sua visione del mondo, oltre al fatto che in effetti era piuttosto protetto, o meglio, pretendeva di esserlo. Frank era bravo a criticare tutti gli altri, ma non riusciva a reggere le critiche… Professori di università e college mi hanno detto che se uno vuole conoscere l’America degli anni Sessanta, il mio libro lo introduce in modo rapido, accurato e abile. Non dimenticare che mi sono sempre considerato uno storico culturale, anche quando scrivevo di musica pop”.
“Il suo cinismo era la sua difesa contro il fallimento critico. Ciò che Zappa aveva più di ogni altra cosa era una volontà nuda e cruda, che si manifestava nei suoi sforzi compositivi. In ogni caso, si considerava un outsider nella classica modalità di Colin Wilson (grande classico sull’alienazione). Guarda, il mondo è un posto piuttosto assurdo, le persone sono strane, giusto? Se non puoi riderne, devi piangere. Chi ha bisogno di questo? C’è anche una certa risata cosmica nella satira di Zappa, sebbene a tratti si sia fatta un po’ troppo pesante. Credo che ciò fosse dovuto al suo assecondare i gusti del suo pubblico man mano che si evolvevano…”.
“Ho scritto la postfazione il giorno della morte di Frank Zappa, l’ho revisionata parecchio e l’ho inviata al New Yorker Magazine. Quando ho finito l’aggiornamento, ho deciso che la volevo anche nel libro; come la mia voce, i miei pensieri. Avevo fatto il mio lavoro di biografo di Zappa e ho pensato che fosse ora di uscire dalle luci della ribalta e fare il mio piccolo discorso. Se il libro non fosse stato ripubblicato, la postfazione sarebbe rimasta nel mio hard disk come uno spazio elettronico vuoto… Onestamente, ero in conflitto con lui. Amavo davvero quell’uomo e il suo lavoro. Non mi piaceva come mi trattava quando non gli avevo fatto nulla. Credo che, considerando quello che avrei potuto scrivere, sono stato decisamente piuttosto “gentile” con lui da questo punto di vista. Comunque, che senso avrebbe avuto scrivere un libro che distruggeva qualcuno di cui rispettavo la musica e la cui visione in qualche modo condividevo? Gli scrittori non dovrebbero esprimersi? Lui era un grande esempio di onestà e di sincerità. Ho pensato che fosse giusto che esprimessi le mie opinioni. Peccato che la postfazione non sia apparsa nel New Yorker…”.
“Per Frank le visite personali erano uno ‘sforzo’. Lo faceva con tutti. Era a disagio con se stesso (disagio con il linguaggio) ed era veramente felice solo quando lavorava e scriveva. In pubblico aveva questa personalità, geniale ma distaccata. Beh, almeno per me era un atteggiamento un po’ autoritario… Per la cronaca, Frank ha sempre sostenuto, dopo l’uscita del libro e quando ancora parlavamo, che io abusavo della sua amicizia e non sono mai riuscito a capire cosa intendesse…”.
https://wiki.killuglyradio.com/wiki/David_Walley’s_Exclusive_Interview