The Black Page (New Age Version) – Live 1988 (dall’album Make A Jazz Noise Here, 1991)
Zappa e il jazz avevano davvero un odore strano, Frank?
Il libro di Geoff Wills pubblicato nel 2015 è un’escursione cronologica di come il jazz abbia giocato una parte importante nella musica di Frank Zappa.
Iniziando prima del freak out! e terminando con la band dell’88, vengono annotati tutti i musicisti con cui ha suonato, che hanno avuto qualche legame con il jazz, insieme a conversazioni selezionate o corrispondenza che l’autore ha avuto con alcuni di loro, le loro credenziali jazz prima e dopo i loro concerti in studio o sul palco e la loro opinione su Zappa.
L’autore tenta di mettere in relazione molte composizioni di FZ o anche poche battute in una sua canzone con brani jazz oscuri, familiari, diretti, fusion, avantgarde.
Conclude che Zappa aveva un’ammirazione fondamentale per il jazz nonostante la sua negatività sull’argomento.
Frank Zappa preferiva far credere che il jazz non gli piacesse. Nel suo album “Roxy & Elsewhere” del 1974 dichiarò notoriamente che “il jazz non è morto… ha solo uno strano odore”.
Nel 1969, mentre Miles Davis era impegnato ad “abbattere le barriere” nel jazz incorporando il rock nel suo repertorio, Zappa aveva già messo a punto l’idea anni prima con esibizioni dal vivo di lunghe escursioni jazz-rock come “King Kong”. (Music, 2-15 luglio 1987)
Zappa non si considera un appassionato di jazz. Tuttavia, non nasconde la sua simpatia per un certo gruppo di musicisti jazz come Eric Dolphy, Wes Montgomery, Charles Mingus, George Russell e Albert Ayler.
Il flirt jazz inizia già dai primi album, in particolare su “Uncle Meat” del 1968, dove Zappa cerca di penetrare il linguaggio del free jazz (riferimenti ad Aylrey e Dolphy). Momenti simili si ritrovano anche in “Weasels Ripped My Flesh” uscito due anni dopo, contenente, tra gli altri, Eric Dolphy Memorial Barbecue – un meraviglioso tributo al grande strumentista. Echi liberi compaiono anche nell’album “200 Motels”, che però non rientra più nel filone “jazz” di Zappa.
L’anno 1972 porta altri due album che sviluppano idee da Hot Rats: “Waka Jawaka” e “The Grand Wazoo”. Entrambi, specialmente il secondo (che tanto piaceva a Berendt), sono un importante contributo allo sviluppo del jazz-rock e un tentativo di espanderlo con elementi di big-band jazz; su “Grand Wazoo” si respira la grande tradizione dell’orchestra jazz, soprattutto sotto il segno di Gil Evans e George Russell.
È discutibile se il jazz in quanto tale sia presente nella musica di Zappa. Se è così, è soprattutto grazie ai musicisti di jazz puro che lavorano o hanno collaborato con lui (Roland Kirk, George Duke, Pete Jolly, Shelly Manne, Sugarcane Harris, Jean-Luc Ponty, Don Preston, Buzz Gardner, Gene di Novi ed altri). Generalmente, però, lo stesso Zappa non prova a suonare jazz; privandolo (forse deliberatamente) di un certo tipo di emozione, tratta il jazz piuttosto come uno stimolo artistico, un materiale o un tipo di espressione musicale desiderato in un certo momento. Da un lato si riferisce chiaramente al genere, dall’altro ne prende ostinatamente le distanze. Estende questo “metodo” a tutta l’area della musica completamente diversa. Pertanto, il jazz è importante per lui fintanto che adempie a compiti specifici definiti dal progetto attuale.
(Jazz Forum, dicembre 1993)
Il controverso rapporto all’insegna dell’odio-amore tra Frank Zappa e il jazz è cosa ben nota, tanto da essere entrato da tempo nella più ricorrente aneddotica musicale. E’ comunque vero che l’amore abbia più di una volta prevalso sul suo opposto, ricambiato anche da più di un jazzista. Qualche esempio: il sassofonista statunitense Ed Palermo con la sua orchestra, gli inglesi Colin Towns (con la tedesca NDR Big Band), John Etheridge con i suoi Zappatistas, i transalpini LeBocal con Glenn Ferris e Rita Marcotulli e, in Italia, Stefano Bollani, Riccardo Fassi, Glauco Venier, Roberto Gatto con i Quintorigo e la violinista Anais Drago. Moltissimi europei, dunque.
Forse, non è un caso che il primo jazzista ad essere attratto dall’orbita zappiana sia stato un francese: Jean-Luc Ponty. King Kong è l’album che cementa la collaborazione tra Ponty e Zappa: resta un punto di riferimento negli incontri ravvicinati tra mondo jazz e rock ma non solo, in un’ottica diversa da quella davisiana. Nel caso di Ponty e Zappa si potrebbe azzardare la definizione di westcoastiana e non solo in senso geografico, se non addirittura di bianca.
(Roberto Valentino, Musica Jazz, dicembre 2020)
continua nella seconda parte
https://www.youtube.com/watch?v=N2u5qQOiGSI