Twenty Small Cigars (Chunga’s Revenge, Rykodisc, 1970)
‘Eric Dolphy Memorial Barbecue’ (The Best Band You Never Heard In Your Life, 1991)
In copertina un dipinto di Michael Schmidt
(Stuart Nicholson rivaluta il lavoro di Zappa orientato al jazz analizzando i modi in cui ha lasciato il segno nella musica improvvisata)
È facile credere che Frank Zappa odiasse il jazz. “Il jazz non è morto, ha solo un odore strano”. Eppure nel suo mondo di umorismo scatologico, aperta critica politica, satira volgare, prese in giro, denigrazione e battute da addetti ai lavori, il jazz era qualcosa per cui riservava un notevole rispetto. Riconobbe, fin dall’inizio, che il jazz era visto dal pubblico rock come decisamente fuori moda e poteva essere un ostacolo alle vendite degli album. Il jazz era, secondo quanto dichiarò, “la musica della disoccupazione”.
Di conseguenza, tendeva a posizionarsi saldamente nel campo del rock, qualunque ponte stilistico avesse deciso di attraversare, che fosse verso il blues, il jazz o la musica classica. Zappa sapeva che i generi musicali non erano determinati dallo stile musicale, ma dalla percezione di quello stile da parte del pubblico. “È stupido – disse – ogni volta che senti qualcuno improvvisare [nella mia musica] dare per scontato che sia jazz”.
Sapeva che il business della musica riguardava tanto l’organizzazione delle aspettative del pubblico quanto la vendita di album. Quindi, se eri un fan del rock e sentivi l’improvvisazione e non la associavi immediatamente al jazz, questo portava più persone alla sua musica.
Di sicuro una grossa fetta della musica di Zappa contiene molta improvvisazione, ma non è tutta improvvisazione jazz, neanche lontanamente. Eppure la sua musica è incredibilmente ricca per gli appassionati di jazz di larghe vedute, che si tratti di improvvisazione jazz o non jazz. Zappa ha ammesso in un’intervista che anche quando si occupava di parodia lavorava su armonia e melodia in un modo che anni dopo avrebbe considerato musicalmente valido. Una delle sue canzoni più intelligenti, “America Drinks and Goes Home”, è la sua protesta contro la banalizzazione del jazz. Una parodia di una lounge band che suona jazz annacquato.
Il jazz si inserì nella visione musicale di Zappa, spesso in modo sottile. “Twenty Small Cigars” è una composizione considerata da molti il suo capolavoro jazz, ma la sua prima registrazione ufficiale fu al clavicembalo in Chunga’s Revenge. L’album Overnite Sensation poteva essere insolente e provocatorio, ma era anche una sintesi di testi e arrangiamenti complessi con assoli jazz.
Zappa arrivò al jazz attraverso il blues, il suo primo amore. Il genere di jazz che gli piaceva era reso chiaro già nel 1966 sulla copertina interna del suo album di debutto Freak Out with the Mothers of Invention. In una lunghissima lista di influenze citate c’erano Clarence ‘Gatemouth’ Brown, Cecil Taylor, Roland Kirk, Charles Mingus, Eric Dolphy e Bill Evans. Il genere di musicista jazz che lo attirava si allontanava dai cliché del jazz convenzionale. “Persone come Eric Dolphy, Thelonious Monk, Charles Mingus e Archie Shepp sono molto importanti nella storia della musica, e non solo del jazz” affermò una volta. E quando gli aspiranti chitarristi gli chiedevano chi ascoltare, consigliava Wes Montgomery o diceva ai tastieristi emergenti di dare un’occhiata a Cecil Taylor. Entrambi erano musicisti che avevano approcci molto individuali ai loro strumenti.
Di sicuro, Frank Zappa era critico nei confronti del jazz ma le sue critiche erano solitamente dirette al fan sconsiderato che aderisce allo stile senza comprenderne i valori profondi o l’atteggiamento settario di coloro che si consideravano membri di un’élite musicale esclusiva. Eppure era ispirato dal jazz. “I gruppi di Zappa, forse gli unici tra le rock band dell’epoca, potevano eguagliare molti grandi gruppi jazz in termini di ampiezza e profondità di abilità musicale” (“The History of Jazz” di Ted Gioia).
La curiosità musicale di Zappa lo portò a Edgard Varese e agli studi classici. Iniziò a scrivere per la band del liceo, incluso un pezzo chiamato “Visual Music for Jazz Ensemble and 16mm Projector” quando aveva 17 anni.
(estratto dall’articolo “L’eredità jazz di Frank Zappa” pubblicato su Jazzwise – dicembre 2003 – prima parte)