Frank Zappa's mustache - Music is the Best

Frank Zappa, music quotes (part 1): the treasure hunt

Don’t Eat The Yellow Snow (Live In Chicago, 1978)

Mozart Piano Sonata in Bb

(la selezione dei brani è indicativa, si tratta di versioni diverse da quelle citate)

Una delle caratteristiche più evidenti della produzione musicale di Frank Zappa (1940-1993) consiste nel suo stile del tutto anomalo nel panorama del rock compreso tra gli anni Sessanta e Novanta, basato sull’accostamento di materiali, stili, modelli eterogenei che comprendono la musica colta soprattutto atonale e dodecafonica, il jazz, il rhythm & blues, il pop, il doo-wop, il surf rock, il beat, la psichedelia, ma anche sigle di programmi televisivi, inni nazionali e motivi tradizionali connessi attraverso un gioco di citazioni spesso orientato in direzione della parodia e della satira. La sua musica è una brillante conferma della celebre affermazione di Theodor Wiesengrund Adorno secondo cui l’industria culturale avrebbe liquidato i confini che distinguevano in passato la musica colta e la musica popolare.

L’esordio di Zappa, a metà degli anni Sessanta, coincide con un periodo segnato intensamente dal dialogo e dalle contaminazioni sperimentali fra le forme più diverse della musica, rock, pop, jazz, composizioni colte e d’avanguardia (un caso esemplare è quello di Stockhausen fino alla composizione di Stimmung nel 1968).

In questo clima The Mothers of Invention introducono un nuovo gusto dissacratorio, non solo nei confronti dei modelli musicali ma anche (nei testi) contro i valori e il falso perbenismo dell’american way of life. Contestare ogni regola significa allora smontarla e citarla per metterla alla berlina, riproponendola “secondo un nuovo codice”; è in questa chiave che va compreso il meticoloso montaggio musicale di Zappa, con la sua miriade di riferimenti a musiche altrui (più o meno estesi) che propone una sorta di caccia al tesoro agli ascoltatori, non sempre in grado di riconoscere l’origine dei rimandi perché le fonti sono spesso deformate o parodiate.

Non solo la musica entra in questo gioco provocatorio di satira e caricatura, che comprende anche la letteratura, il cinema e la pubblicità. Sono stati individuati echi di Geoffrey Chaucer in City of Tiny Lights (Sheik Yerbouti, Zappa Records, 1979) e di John Keats in Packard Goose (Joe’s Garage, Zappa Records,1979). Ma in diverse canzoni si trova anche il cinema, ad esempio nella parodia di The Wizard of Oz presente in Billy the mountain (Just Another Band from L. A., Rykodisc, 1972) o nella citazione di Nanook of the North di Robert J. Flaherty in Don’t Eat the Yellow Snow (Apostrophe (’), Rykodisc, 1974).

Quello di Zappa è un rock che cita, smonta, deforma, scherza con le forme e i contenuti, i modelli e le ideologie, gli stili e i generi. Questa strategia compositiva ha fatto sì che la musica di Zappa sia stata assimilata ai parametri estetici di alcuni movimenti artistici d’avanguardia del Novecento come Dada o la pop art. Questa sistematica commistione di linguaggi, questo gioco di specchi intertestuale, si possono certo definire postmoderni ma ancor più correttamente neobarocchi, caratterizzati dalla ricorsività e dall’autoreferenzialità, dalla mutevolezza e dagli effetti di sorpresa. Neobarocchi sono anche il gusto per l’eccesso, lo spezzettamento e l’enfatizzazione dei dettagli, la struttura stessa delle canzoni spesso in contraddizione con singoli frammenti che le compongono. In Zappa l’impiego della citazione non è plagio, anche perché i frammenti citati sono sempre manipolati e spesso capovolti, con variazioni e opposizioni calcolate sul filo della parodia. In questo processo Zappa nobilita spesso ciò che è prosaico (come in certe esecuzioni orchestrali di certe sue canzoni) ma altrettanto spesso abbassa ciò che è sofisticato (come la musica colta adottata per testi volutamente volgari), inquadrando il tutto in una prospettiva giocosa e provocatoria. Pensiamo a Teen-Age Prostitute (Ship Arriving Too Late to Save a Drawning Witch, Barking Pumpkin, 1982), costruita sul conflitto fra un testo a dir poco licenzioso e la sua esecuzione affidata a un soprano. Un effetto analogo è generato in Brown Shoes Don’t Make It (Absolutely Free, Verve, 1967) da una bizzarra fantasia sessuale nel testo abbinata ad una musica eterea eseguita da un quartetto d’archi. Qualcosa di simile, ma spostando il gioco sul piano della performance teatrale, troviamo in Mozart Ballet (You Can’t Do That On Stage Anymore Vol. 5, Rykodisc, 1992), dove il primo movimento della Sonata per pianoforte n. 13 eseguito alla Royal Albert Hall di Londra nel 1969 è accompagnato da un’azione grottesca sul palcoscenico: un balletto nel quale Dick Barber strangola una gallina di gomma riempita di birra e schiuma da barba, dichiarando il proprio amore per i polli.

(estratto dalla rivista semestrale online “Parole rubate”, Fascicolo n. 24 dicembre 2021)

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