Help I’m rock (Freak Out! 1966)
In copertina un disegno di Jim Mahfood
Una delle caratteristiche principali dell’intera opera zappiana è forse quella che risulta meno appariscente a chi non si sia profondamente introdotto nella logica illogicità del Grande Progetto-Oggetto: così come Frank Zappa è riuscito a stravolgere la banale comune sequenza del pentagramma rock introducendovi tempi, interventi e colorazioni così personali da non risultare presenti altrove, allo stesso tempo ha scelto di manipolare il linguaggio e i contenuti dei suoi testi a tal punto da creare una propria, talvolta difficilmente interpretabile, lingua.
Se l’ironia e la dissacrazione sono le reali chiavi di lettura dell’opera omnia compositiva, il sarcasmo e la corrosività dei contenuti sono le originali, uniche, caratteristiche dei suoi testi. Il linguaggio zappiano sboccato e sfrontato, ironicissimo e irriguardoso è un meraviglioso esempio di come si possono creare gustosissimi neologismi mescolando slang nero a dialetti italiani, raffinati francesismi alle peggiori trivialità anglosassoni. Il tutto non solo senza divenire minimamente volgare o dozzinale, ma risultando addirittura l’unico complemento metrico alla scansione musicale zappiana.
(Giancarlo Trombetti, Sonora n. 4 – 1994)
E’ possibile definire lo stile di Zappa?
“Esiste uno Zappa realista e uno surrealista, che si esprimeva in due forme: verbale e grafica. Zappa aveva introiettato fin da piccolo un atteggiamento tra il dada e il surreale nei confronti dell’espressione verbale, manipolabile fino a livelli allucinatori. In ogni concerto decideva the secret word (la parola segreta della serata). Quella parola costituiva un tormentone negli intercalari e negli interventi parlati della band, finiva per modificare anche i testi delle canzoni. La sua attenzione per il potere della parola era nata quando da bambino aveva trovato, in un vecchio libro, la teoria egizia della trasmigrazione dell’anima e della vita ultraterrena. Il Faraone, fin da piccolo, doveva imparare le parole-chiave che designavano ognuno dei luoghi che l’anima avrebbe dovuto attraversare dopo il trapasso: guai a sbagliare il nome! Ciò suscitò in lui la convinzione che la realtà fosse condizionata dalle parole e che ogni paradosso fosse affidato alla manipolazione del linguaggio.
Un’altra forma della sua creatività musicale era invece di carattere grafico e risaliva all’età di circa 14 anni, quando le sue conoscenze musicali andavano poco oltre la lettura di spartiti per percussioni non intonate. Si mise a comporre musica scritta perché era affascinato dalla resa grafica delle note sul pentagramma e si era convinto che conoscendo le regole combinatorie e il significato delle note sul pentagramma si fosse automaticamente compositori. Fin da ragazzino applicò metodi complessi come le tecniche seriali e microtonali. Cambiò radicalmente idea sulle sue opere giovanili quando ebbe modo di ascoltarle, e allora si rese conto che la verità musicale è una verità pratica, che il momento in cui un’opera è finita è quello in cui si giudica soddisfacente la sua resa sonora. A decidere, insomma, è l’orecchio. Fu, da questa prospettiva, un totale empirista, che però aveva un sesto senso per le relazioni formali di tutti i tipi. Uno strutturatore nato, un ‘compositore’ per tutti i media”.
(Gianfranco Salvatore, musicologo, biografo di Frank Zappa – Mangiare Musica giugno 1994)
L’opera di Zappa era concepita come hoover, un’aspirapolvere che risucchia tutti i relitti e i detriti della “civiltà” prodotta in serie assemblando da tutto questo una gigantesca “scultura spazzatura” (come disse Zappa a Gary Steel nel 1990).
Frank Zappa ha distrutto l’idea di ascolto della musica come ‘educazione’ sostituendola con ascolto di musica come ‘esperienza’.
(tratto da “Frank Zappa’s Legacy: Just Another Hoover?” by Ben Watson, articolo pubblicato su Circuit v14 n3 2004)
Frank Zappa ha scelto lo stile che meglio gli ha permesso di raggiungere i suoi obiettivi. La sua musica è volutamente dissonante, i suoni sconvolgenti, quasi insopportabili, i ritmi esasperanti (in certe composizioni si alternano misure di 8/8, 9/8, 4/4, 4/8, 5/8 e 6/8!). Utilizza anche collage, nastri inversi, voci fuori campo e altre ricerche sonore. A volte il canto assume un certo aspetto teatrale sul palco.
Tutto questo ha un solo obiettivo: impedire all’ascoltatore di lasciarsi cullare da belle armonie, farlo uscire a tutti i costi dal suo torpore, renderlo consapevole dell’assurdità del mondo.
Zappa è un logico e gli piacciono le persone come lui. Tuttavia, nulla è più divertente per lui dell’illogico e del bizzarro.
Ci ha parlato della decristallizzazione della società in cui vivevamo; la sua soluzione sta nel fascino magico di parole come “Muffin” e “Pumpkin”. Sarebbero, secondo Zappa, la chiave della saggezza. Infatti, il simbolismo è evidente nei testi di Zappa che ricordano, ad esempio, quelli di Artaud.
(Extra, febbraio 1971)