FZ & MOI – Blues Improvisation (Live a Vancouver 1975)
In copertina un disegno di Jim Mahfood
Non si può parlare di semplice improvvisazione nel caso dei Mothers. Frank Zappa dirigeva una serie di variazioni improvvisate controllando forma e stili. Lui la chiamava conducted improvisation (improvvisazione eterodiretta) cioè diretta da un altro, dall’esterno. Una contraddizione in termini in ambito jazz. Zappa ne era pienamente consapevole. Improvvisare una composizione usando i musicisti come semplici strumenti dirigendo dall’esterno le loro invenzioni estemporanee. Muoveva le dita nell’aria e la musica semplicemente avveniva con il suo codice gestuale e gli impulsi energetici del Maestro.
(Il teatro musicale dei Mothers of Invention, Gianfranco Salvatore)
Un musicista deve saper leggere gli spartiti per far parte della tua band?
“Aiuta sempre. Le due caratteristiche principali che deve avere un musicista per far parte della mia band é la velocità e la capacità di memorizzare. I nostri spettacoli durano 2 ore, 2 ore e mezza senza sosta e sono organizzati, a parte gli assoli che sono improvvisati. La sequenza degli eventi è pianificata in modo tale che lo spettacolo sia serrato e il pubblico non debba sedersi ad aspettare che succeda qualcosa. Quindi, richiede molta capacità di memorizzazione, memorizzazione rapida. Non puoi impiegare un anno ad insegnare a qualcuno uno spettacolo. Negli ultimi due tour, io e la mia band abbiamo passato tre mesi (5 giorni alla settimana, 6 ore al giorno) a memorizzare e mettere a punto lo spettacolo. Le prove sono un investimento molto costoso: 13.250 dollari a settimana. Proviamo con l’attrezzatura completa, la troupe completa e un palcoscenico”.
C’è stato un tempo in cui dovevi adattare le tue composizioni alle capacità dei tuoi musicisti.
“Lo faccio ancora”.
Ci sono momenti in cui vorresti scrivere musica complessa ma non puoi convincere nessuno a suonarla in tour?
“Succede tutti i giorni. Il tipo di musicisti di cui ho bisogno non esiste. Ho bisogno di qualcuno che capisca i poliritmi, che suoni qualsiasi stile musicale, capisca la messa in scena, il rhythm and blues e come funzionano molte diverse tecniche di composizione. Quando assegno una parte ad un musicista, dovrebbe sapere come funziona nel mix con tutte le altre parti”.
(FZ, Down Beat, 18 maggio 1978)
Il disprezzo di Zappa per le distinzioni accettate tra arte “autentica” e “non autentica”, alta e bassa, così come altre gerarchie estetiche e generiche, è solo un aspetto del suo impegno per la via affermativa della musica contemporanea, che lo accosta ad altri artisti eccentrici come Charles Ives – tra i primi ad integrare elementi di musica “bassa” (inni gospel, jazz, fanfara) e musica classica/orchestrale – e il maestro di Zappa, Edgar Varèse, con cui condivide non solo l’interesse per il bruitismo (o rumorismo, l’arte dei rumori basata su musica e percussioni) ma anche un debole per gigantesche strutture compositive che superano lo standard della performance tradizionale (Varèse ha utilizzato 400 altoparlanti per eseguire il suo “Poème électronique” all’Esposizione Mondiale di Bruxelles del 1958).
(dal libro “Frank Zappa, Captain Beefheart and the Secret History of Maximalism” di Michel Delville e Andrew Norris, 2005, Salt Publishing)
Un tratto in comune tra Zappa e Varèse è la convinzione espressa da quest’ultimo che la musica debba sempre essere “sintesi d’intelligenza e volontà” conservando un’idea forte di composizione. Zappa è, in realtà, molto più vicino a un compositore come Ives che, all’inizio del secolo, mirava a suggerire l’effetto spaziale di bande che si avvicinano, s’incrociano e si allontanano con l’uso contemporaneo di melodie diverse con ritmi e tempi diversi.
Zappa ha detto: “Questa tecnica è stata adottata fin da ‘Absolutely Free’. Nella nostra versione da poveri, il gruppo si divide in tre parti e suona “The Star-Spangled Banner”, “God Bless America’ e ‘America The Beautiful’ tutte allo stesso tempo, ricreando una versione amatoriale della collisione multipla di Ives.
(Ciao 2001, 3 luglio 1990)
Zappa ha più volte sottolineato il suo apprezzamento per il dada e, in verità, del dada Frank ha mutuato procedimenti formali (collage, assemblage, gioco di parole, parodia) e modi di pensare (anarchismo, antiautoritarismo, valore eversivo del sesso, esortazione a non farsi infinocchiare dall’establishment, satira rivolta contro il filisteismo, il romanticume, l’intellettualismo, ecc.).
Tra i musicisti ‘colti’ cui Frank ha guardato e da cui ha attinto, Erik Satie ha un posto di rilievo, non a caso vicino al dada. Satie, come Zappa, riempie la sua musica di citazioni ironiche di musiche popolari (in Satie sono quelle del circo e del luna-park, delle bande, delle danze di moda) usando in modo stilizzato modi del cabaret: l’uso del rumore, in Zappa come in Satie, è dissacratorio e ironico.
(Ciao 2001, 3 luglio 1990)