
Non è che sotto sotto hai pubblicato Guitar per ricordare ai giovani come andrebbe suonato lo strumento? Qualcosa del tipo “la chitarra secondo Frank Zappa”?
“Mi sono sempre rifiutato di usare effetti vari, apparecchiature sofisticate, guitar synth e anche il solo Midi perché non credo che il “suonare bene” una Fender o una Gibson necessiti degli ultimi ritrovati della scienza applicata alla musica. È questione di mente, di polso e di cuore. Invece, purtroppo, sembra che oggi i ragazzi desiderino solo assomigliare al grande di turno, ad esempio Van Halen o Malmsteen, perseguendo l’unico scopo di superarli in destrezza, in velocità di esecuzione. Per quattro anni mi sono rifiutato d’imbracciare una Fender perché ero convinto di aver dato il meglio di me, ma mi sbagliavo. Così sono ritornato sui miei passi e mi sono imbarcato in un’altra tournée. Eccoli qui i calli ai polpastrelli: erano spariti”.
A parte chi ti influenzò agli inizi come ad esempio Johnny Guitar Watson, ci sarà qualcuno che non ti dispiace, attualmente?
“Nutro molto rispetto per Allan Holdsworth e, in misura leggermente minore, per Billy Gibbons. Il suo stile è originale e tecnicamente buono”.
So che sei anche un estimatore di Hendrix.
“È stato grande, grandissimo. La prima volta che lo vidi, mi pare a New York, sfasciò la chitarra contro il soffitto del locale lasciandola appesa in pezzi. Si girò senza dire una parola e se ne andò”.
(Frank Zappa: l’imprevedibilità dello strumento by Paolo Battigelli, Guitar Club, ottobre 1988)