Frank Zappa's mustache - Music is the Best

Esplorando Frank Zappa uomo, compositore, musicista, filosofo e genio della musica 

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  • Frank Zappa – Hot Rats Sessions, il trattamento speciale di Hot Rats

    Frank Zappa – Hot Rats Sessions, il trattamento speciale di Hot Rats

    “Bognor Regis”

    In occasione dei 50 anni dall’uscita, Hot Rats riceve un trattamento speciale che a nessuna delle opere precedenti è toccata: una moltiplicazione per sei con la pubblicazione di (forse) tutti i nastri delle session in un lussuoso e costoso box, “The Hot Rats Sessions” che comprendeva anche un libro illustrato e un gioco da tavola (Zappa Land). (Musica Jazz, gennaio 2020)

    Le sessioni di Hot Rats
    Hot Rats è un buon esempio di come Zappa usasse lo studio come strumento. Le canzoni sono stratificate con sovraincisioni e le uniche due costanti nei titoli di coda dell’album sono Zappa e Ian Underwood. Queste non erano canzoni collaudate e nemmeno qualcosa che Zappa avrebbe generalmente suonato in concerto durante tutta la sua carriera.
    Le canzoni iniziano come schizzi e prove, ma lentamente, nel corso di alcune riprese, si uniscono e tutto risulta più spontaneo di quanto si possa immaginare.
    Zappa ha prenotato tre serate ai TTG Studios di Los Angeles e ha portato con sé alcuni turnisti. La sessione si apre con una versione libera di “Peaches”.
    Una buona parte di questo disco mostra come è nata “Peaches”. È stata registrata in due sezioni da un trio formato da Underwood, Shuggie Otis e Ron Selico e si può sentire la canzone evolversi in più di una dozzina di riprese mentre Zappa dà suggerimenti ricordando un regista sul set di un film.
    “Arabesque” è un tema più vecchio su cui Zappa ha lavorato fin dai primi anni ’60.
    Underwood, Max Bennett al basso e il batterista John Guerin affrontano “It Must Be A Camel”. Ancora una volta, si sente Zappa dirigere la band tra una ripresa e l’altra. Da lì si passa a “Natasha”.
    La traccia successiva è una delle sorprese di questa sessione. “Bognor Regis” era uno di quei brani di Zappa che i superfan hanno cercato di rintracciare per anni. Un tempo era previsto come lato B, ma non è mai stato pubblicato neanche come bootleg. Qui è presentato per intero. Un blues guidato dal pianoforte di Underwood e dal violino bruciante di Harris, è una jam in studio con alcune gustose esecuzioni di Harris e Zappa, che si costruiscono l’uno con l’altro.
    Il disco due si chiude con un passaggio a “Willie the Pimp”. Spogliata, è una canzone piuttosto semplice costruita attorno a un riff ripetitivo e altalenante di violino e chitarra. La band gira intorno a questo tema per qualche minuto prima che Zappa intervenga con un assolo esplosivo. Zappa suona una grossa chitarra ritmica.
    Il terzo disco si apre con diverse riprese di “Transition”, un blues lento, che Zappa pubblicò come “Twenty Small Cigars”. “Lil Clanton Shuffle” è un altro blues costruito attorno al violino di Harris.
    La cover di “Directly From My Heart to You è un oscuro lato di Little Richard. Zappa ha richiamato alcuni dei Mothers per questo disco: il tastierista Don Preston, il bassista Roy Estrada e il batterista Jimmy Carl Black.
    “Another Waltz” è un interessante estratto delle sessions. Sembra una jam in studio – a volte ricorda “King Kong”.
    Il quarto disco include “Son of Mr Green Genes”, una versione accelerata di una vecchia canzone dei Mothers e “Big Legs”, una lunga jam in studio che Zappa avrebbe modificato e ribattezzato “The Gumbo Variations”.
    “Piano Music” del primo disco riappare qui con sovraincisioni di Zappa e Underwood.

    Quando Hot Rats uscì nell’ottobre del 1969, mostrò un nuovo lato della musica di Zappa. Non si trattava di prendere in giro le tendenze o di mescolare i generi in un frullatore. Mette in risalto le sue composizioni e la sua abilità sia nello scrivere canzoni memorabili che come guitar hero. I lunghi assoli di chitarra lo hanno visto emergere come qualcosa di più del semplice leader trasandato dei Mothers of Invention, mentre i musicisti di cui si circondava – dai turnisti ai pesi massimi come Jean-Luc Ponty – sottolineavano le sue ambizioni di musicista.
    Ma se paragonato al materiale contenuto in questa scatola, mostra anche Zappa come produttore. Si avvicinava alle canzoni come un pittore, lavorando prima sui contorni e poi usando le sovraincisioni per riempire gli spazi e aggiungere colore. Allo stesso tempo, il modo in cui girava il nastro e cercava di catturare momenti di spontaneità è quasi un approccio da regista: prendeva lunghe jam e passaggi strumentali e poi li montava e li riorganizzava strettamente in un pezzo. “Big Legs” è passato da 32 minuti larghi a 17 stretti; “Clanton” da oltre 12 minuti fino a circa cinque.
    In un certo senso, Zappa era più creativo alla fine degli anni ’60 di quanto lo sarebbe mai stato in seguito. Aveva molto da dimostrare con questo disco e, pur avendo a disposizione pochi giorni per realizzarlo, il mix di canzoni forti, musicalità rigorosa e attenta post produzione ha dato vita a uno dei suoi dischi migliori e più accessibili.
    (estratto da un lungo articolo pubblicato su Aquarium Drunkard, 7 febbraio 2023)

  • Frank Zappa – Hot Rats (seconda parte)

    Frank Zappa – Hot Rats (seconda parte)

    “The Gumbo Variations”

    Con Hot Rats Zappa prende le distanze dall’immagine di freak anarchico e iconoclasta degli esordi e nel contempo si affranca dalla sperimentazione orchestrale esaltata in Lumpy Gravy del 1968 dirigendosi verso nuovi territori.
    La svolta coincide con il momentaneo pensionamento dei Mothers Of Invention, qui presenti solo con il poliedrico tastierista/fiatista Ian Underwood. Pur se privato della voce – a parte Willie The Pimp, cantata con sublime sguaiatezza da Captain Beefheart – il dissacrante spirito zappiano non manca di esprimersi a partire dai tre minuti della esuberante Peaches En Regalia, sintesi mirabile di folk, country, polka, jazz, musical e quant’altro.
    Se Willie The Pimp si evolve in 9 minuti di debordanti assoli di chitarra, con intuizioni ribadite nelle complesse partiture di Son Of Mr. Green Genes e nella jam The Gumbo Variations (in compagnia del violino di Don “Sugarcane” Harris), le più tenui There Must Be A Camel (sempre con il violino di Jean Luc Ponty) e Little Umbrellas parlano un linguaggio più sofisticato, in cui i colori tenui hanno la meglio sui chiaroscuri.
    Tutti i brani sono comunque figli della stessa idea, quella di una musica contaminata che rende inadeguata l’etichetta di jazz-rock spesso tirata in ballo per definirla.
    (Mucchio Extra 2002, intervista pubblicata su Bizarre del 1969)

    Hot Rats era per molti versi un disco differente dai precedenti: essenzialmente strumentale, caratterizzato da una rigorosissima scelta dei musicisti. Ampio spazio veniva lasciato a Ian Underwood, unico superstite della vecchia band, attivo al piano, alle tastiere ed a tutti i fiati. Alla sezione ritmica apparivano addirittura tre batteristi in alternanza, più il basso di Max Bennett e l’aggiunta curiosa del ‘percussionista’ Zappa, tornato dopo molto tempo al suo primo strumento di gioventù. La sonorità complessiva venne poi caratterizzata dai violini di Sugarcane Harris e del 28enne francese Jean-Luc Ponty.
    (Mangiare Musica giugno 1994)

    C’è una buona ragione per cui non sentirai mai una cover band provare Hot Rats di Frank Zappa. È impossibile, ineseguibile, insondabile. Anche mettendo da parte il virtuosismo chitarristico sinistro dell’icona dell’art-rock, l’album del 1969 è un arazzo di sovraincisioni e manipolazione del nastro, una rete di sotterfugi sonori e manovre uniche con “strumenti” improvvisati che includono un pettine di plastica e una chiave inglese.
    Nemmeno lo stesso Zappa è riuscito a ricreare queste tracce sul palco.
    (Guitarist, dicembre 2019)

    “Hot Rats” fu un bell’esempio di musica orchestrale americana moderna, che dimostrò quanto sia avanzata la scrittura di Frank Zappa e quanto abili siano le Madri nell’interpretare le sue partiture.
    Le Madri hanno quell’equilibrio interiore e quella consapevolezza della dinamica tipici delle migliori orchestre jazz o sinfoniche.

    “Hot Rats” rappresenta l’”album per chitarra” di Zappa, un tecnico della chitarra in grado di tessere immagini perfette che richiedono tempismo e controllo precisi. “Hot Rats” (in particolare, il brano “Gumbo Variations”), lo dimostrano in pieno.

    Sull’album Hot Rats
    “Ne fummo profondamente impressionati perché era il primo lavoro di Zappa che poteva essere comparato ad altra musica rock. Quello che aveva fatto prima era stato così radicale e in anticipo su tutto il resto che spesso i suoi meriti non vennero riconosciuti come tali neanche nell’ambiente strettamente musicale” (Fred Frith).

  • Frank Zappa – Hot Rats (prima parte)

    Frank Zappa – Hot Rats (prima parte)

    “Willie the Pimp”

    “L’idea del titolo dell’album Hot Rats mi venne in mente perché in Europa avevo comprato un disco dove c’era The Shadow of Your Smile con il sax di Archie Shepp. Lui prendeva l’assolo che mi diede subito l’impressione di un esercito di topi surriscaldati che uscivano squittendo dal suo strumento. Il suono era quello. Quando uscì, credo fosse il disco più sovrainciso della storia. Forse solo Les Paul aveva fatto qualcosa di simile ai suoi tempi” (Frank Zappa).

    (Ipnotico nella sua assoluta precisione)
    In “Hot Rats”, per la prima volta, Zappa è ampiamente presente come solista ed ottiene un riconoscimento come musicista “distinto da un compositore”. Tuttavia, la base del suo stile è rimasta inalterata per gran parte della sua carriera e ha molto in comune con il modo in cui scrive.
    Ad esempio, una delle caratteristiche di un brano di Zappa è la sua divisione matematica del ritmo: note legate, terzine giustapposte a semicrome, frasi ripetute come un ritmo incrociato ecc. “Uncle Meat Variations” è uno degli esempi migliori.
    Questo tipo di chiarezza ritmica si nota anche nei suoi assoli. La raccolta è veloce e precisa, le sollecitazioni e le divisioni pulite; soprattutto il suo modo di suonare dipende dalla simmetria. Zappa usa le battute come frasi equilibrate, ponendo una domanda e poi rispondendo o basandosi su un’idea suonandola in modo leggermente diverso più volte di seguito.
    È uno stile stranamente formale, pieno di schemi ed elaborazioni, basato sul blues ma intervallato da scale, semplici melodie ripetute e dai suoi accordi preferiti di nona e undicesima. Sebbene non sia caldo o “sentito” in senso blues, può essere ipnotico nella sua assoluta precisione.
    I suoi assoli sono immagini sonore in cui gli elementi separati creano qualcosa di nuovo.
    L’uso seminale della ripetizione nella musica moderna ha avuto molti sbocchi nel rock. L’idea mantrica è ‘ripeti qualcosa abbastanza spesso e diventa interessante’. Zappa, in questo senso, risulta essere uno dei primi a usare una nota, un ritmo per sostenere altri eventi musicali; “King Kong” è un altro esempio successivo.
    (New Musical Express, 16 novembre 1974)

    I musicisti in studio sono stati diretti da Johnny Otis (del Johnny Otis Show).
    Frank batteva i piedi e annuiva nella cabina di controllo attraverso ogni numero. Poi, quando le luci rosse si spegnevano, annunciava: ‘Non male’. Nella sua testa poteva sentire la versione perfetta dicendo a Ian Underwood: “Suona di fronte al muro e microfoneremo il suono mentre rimbalza dietro la tua spalla”. Ecco come hanno ottenuto quel suono davvero untuoso.
    Poi, Frank interrompeva di nuovo Ian nel bel mezzo di un assolo con una revisione di diverse righe di note. Frank non si prenderebbe la briga di scriverle, basta dire fuori di testa e Ian se le ricorda perfettamente. Beefheart insegue lo studio in attesa di cantare “Willie the Pimp” dichiarando Frank un genio.
    (IT, 28 gennaio 1970)

    Hot Rats era jazz alla portata di tutti e, allo stesso tempo, un rock per le masse che ti faceva sentire sofisticato, una spanna al di sopra degli altri dischi di successo di quell’anno (Led Zeppelin, Allman Brothers, Santana, Stooges e Mott The Hoople). Fu un successo negli USA: in Europa arrivò addirittura nella Top Ten. In più, cambiò del tutto l’immagine di Frank.
    (Classic Rock, luglio 2015)

  • Frank Zappa – Cruising With Ruben And The Jets, You Didn´t Try To Call Me, 1968

    Frank Zappa – Cruising With Ruben And The Jets, You Didn´t Try To Call Me, 1968

    L’album “Cruising With Ruben & The Jets” contiene il vero amore di Zappa, il rock & roll e il doo-wop degli anni Cinquanta.

    “C’è una ragione molto scientifica per l’esistenza di Ruben & The Jets. La relazione più stretta tra quell’album come evento artistico e un altro evento di un campo diverso a cui puoi paragonarlo sarebbe il punto della carriera di Stravinsky in cui decise che avrebbe scritto musica neoclassica. Ha iniziato a fare cose come Pulcinella: scriveva musica usando forme completamente fuori moda e disapprovate dall’establishment accademico. Devi ricordare che il popolo americano non ha molto da offrire in termini di gusto. Voglio dire, il gusto è qualcosa che viene inflitto al pubblico americano da altre forze esterne. Quindi, se qualcuno ti dice che qualcosa è bello, beh, penserai che sia bello e andrai a comprarlo. Fare un album come Cruising With Ruben & The Jets in quel momento storico, nel ’68, era molto fuori moda. Tutti hanno detto: “Oh, non posso ammetterlo; non è bello. Non è acid rock, non è fuzztone, non è psichedelico. Chi ha bisogno di questo?”. Non l’ho fatto solo per essere arbitrario: mi piace quel tipo di musica e volevo avere alcuni esempi di quello stile nel mio intero catalogo”.

    È difficile trovare musicisti che possano suonare in quello stile in modo convincente?
    “Sì, è molto difficile trovare cantanti che capiscano ancora quella tecnica. Il tipo di cose che Roy Estrada e Ray Collins stavano facendo – è un’arte perduta. Potrebbero esserci poche persone al mondo che sappiano fare quel tipo di roba in falsetto. Nessuno dei cantanti più giovani sa come farlo. Devi capire cosa significa far uscire quei suoni dalla tua gola. Non sono solo note basse”.
    (Pop & Rock, febbraio 1980 – edizione greca)

    “Le tracce di Ruben & The Jets sono molto più che semplici ricreazioni. Sono attenti conglomerati di cliché archetipici. Ad esempio, una canzone dell’album Ruben & The Jets ha simultaneamente citazioni da cori di sottofondo cantati da The Moonglows, il tema di apertura di The Rites of Spring; infatti la melodia è Fountain Of Love, è sulla dissolvenza in chiusura ma nessuno l’ha mai sentita come The Rites Of Spring perché ci sono tipo cinque diversi livelli di accompagnamento musicale in corso, senza contare la band. Ci sono tutte queste diverse parti vocali e sono tutti cliché scelti con cura per il valore della nostalgia e, poi, incorporati in questa canzone con le parole più imbecilli del mondo.
    Il lato scientifico di Ruben & The Jets è che si trattava di un esperimento di collage di cliché perché quella musica era solo piena di motivi stereotipati che la facevano suonare in quel modo. Non solo gli ha dato il suo suono caratteristico, ma gli ha dato il suo valore emotivo. Come se ci fosse una vera scienza nel suonare terzine Rock & Roll. Non tutti quelli che sanno suonare tre note contemporaneamente al pianoforte possono suonare terzine Rock & Roll e farle sembrare convincenti. Ci sono piccole cose strane lì dentro. Sono state fatte molte esplorazioni nel momento in cui stavamo mettendo insieme Ruben & The Jets”.
    (Frank Zappa, IT, 29 agosto 1969)

    Note all’interno della copertina dell’album di Ruben e The Jets:
    “Questo è un album di canzoni d’amore sdolcinate, semplicemente stupide. L’abbiamo fatto perché ci piace davvero questo tipo di musica (un gruppo di vecchi con vestiti rock and roll seduti che si aggirano per lo studio, borbottando dei bei tempi andati). Tra dieci anni sarai seduto con i tuoi amici da qualche parte a fare la stessa cosa”.

    Ruben and the Jets?
    Una parodia affettuosa, sì, qualcosa che volevano fare, ma anche qui c’erano esperimenti nell’orchestrazione e nella registrazione stereo.
    (Stardock, gennaio 1970)

    “A Philadelphia, un deejay ha mandato in onda l’album dei Ruben & Jets e non l’ha collegato ai Mothers. Ha ricevuto tante lettere da ragazzi che dicevano che Ruben e i Jets erano la cosa migliore dai tempi di Danny e degli Juniors. Ho un intero sacco di posta che mi hanno spedito. Poi, hanno scoperto che erano i Mothers e a nessuno importava più.”
    (Melody Maker, 31 maggio 1969)

  • Frank Zappa – Uncle Meat, Ensemble Modern 1993

    Frank Zappa – Uncle Meat, Ensemble Modern 1993

    Uncle Meat, Frank Zappa The Yellow Shark, Ensemble Modern 1993
    FAIR USE for informational purposes

    “La vera identità di “Uncle Meat” è Sandy Herbits Hurvitz. Sandy ha molto talento, scrive grandi canzoni e le esegue ancora meglio. Nel periodo pasquale di quest’anno, è stata al nostro spettacolo al Garrick dopodiché è partita per sfogarsi a San Francisco. . . si è messa piume e fiori tra i capelli, campanelli al collo ed ha partecipato al tour dei Grateful Dead. . . insomma, la vacanza dell’adolescente americano medio…”.

    Come l’hai scoperta?
    “Un giorno, è arrivata al Garrick: si è sistemata, ha conosciuto i membri del gruppo e non ci ha più lasciato. Fu solo molto tempo dopo che scoprimmo, con nostro stupore, che sapeva cantare incredibilmente bene. Abbiamo quindi deciso di registrarla e sfruttare il suo talento con un pubblico giovane”.
    (Frank Zappa, Rock & Folk, novembre-dicembre 1967)

    “Uncle Meat documenta le Madri originali all’apice telepatico dei loro poteri musicali”.
    (Dangerous Minds)

    “Uncle meat” è il primo vero disco privo di un tema verbale continuo, con sequenze di immagini progressive. Non è un disco-messaggio bensì un film auricolare e istantaneo”.
    (Ciao 2001, 1° dicembre 1971)

    Uncle Meat è stato influenzato dal jazz?
    “Non credo ci siano influenze jazz in Uncle Meat. Se c’è qualche influenza in Uncle Meat è di Conlon Nancarrow. È un compositore che vive in Messico, ma è nato nel Kentucky. Scrive musica per pianista che è umanamente impossibile da eseguire. Scrive tutti questi bizzarri canoni e strane strutture – li colpisce con i rulli del pianoforte. Roba fantastica. Se non l’hai mai sentito, devi ascoltarlo – ti ucciderà. In parte suona come un ragtime totalmente bionico”. (Frank Zappa Pop & Rock, febbraio 1980 – Grecia)

    Zappa non si considera un appassionato di jazz. Tuttavia, non nasconde la sua simpatia per un certo gruppo di musicisti jazz come Eric Dolphy, Wes Montgomery, Chrles Mingus, George Russell e Albert Ayler.
    Il flirt jazz inizia già dai primi album, in particolare su “Uncle Meat” del 1968, dove Zappa cerca di penetrare il linguaggio del free jazz (riferimenti ad Aylrey e Dolphy); momenti simili si ritrovano anche in “Weasels Ripped My Flesh” uscito due anni dopo, contenente, tra gli altri, Eric Dolphy Memorial Barbecue – un meraviglioso tributo al grande strumentista. Echi liberi compaiono anche nell’album “200 Motels”, che però non rientra più nel filone “jazz” di Zappa. (Jazz Forum, dicembre 1993)

    Zappa pensa che Uncle Meat sia “il miglior album in termini di qualità complessiva”.
    (Down Beat, 30 ottobre 1969)

    “Non ho mai avuto un’educazione musicale formale, quindi presumo di andare ancora a scuola. A seconda di quanto tempo ho da dedicare ad un album, imparo man mano che realizzo. Per i primi tre o quattro album, stavo ancora scoprendo quali fossero le possibilità tecniche dello studio. All’epoca dell’album ‘Uncle Meat’ ho assorbito questa conoscenza”. (Frank Zappa, New Musical Express, 7 aprile 1973)

    “La gente mi chiede se l’album Uncle Meat sia reale. Gli americani sono così abituati a fare cazzate che non riescono a credere a niente. Pensano che siamo immaginari. È assurdo. Facciamo solo quello che vogliamo e tutti dicono oh, è strano”. (Frank Zappa)

    Uncle Meat è il quinto album in studio dei Mothers of Invention, pubblicato come doppio album nel 1969. E’ stato originariamente sviluppato come parte di No Commercial Potential, un progetto che ha generato altri tre album che condividono una connessione concettuale: We’re Only in It for the Money, Lumpy Gravy e Cruising with Ruben & the Jets.
    L’album è servito anche come colonna sonora di un film di fantascienza proposto che non sarebbe stato completato, sebbene un film direct-to-video contenente filmati di prova del progetto sia stato rilasciato da Frank Zappa nel 1987.
    La musica è diversa nello stile, attingendo dalla musica orchestrale, jazz, blues e rock. Uncle Meat è stato un successo commerciale al momento del rilascio ed è stato molto acclamato per le sue innovative tecniche di registrazione e montaggio,

    A che punto è Uncle Meat ?
    “Ancora in attesa di completamento al ricevimento di $ 30.000. Tuttavia, il doppio album omonimo offre la colonna sonora, costruita per dimostrare il talento di Gardner, Sherwood e Underwood: il soprano Nelcy Walker canta insieme per produrre un effetto Jeanette MacDonald-Nelson Eddy. Per inciso, Zappa è appassionato di fantascienza: la sceneggiatura del film è fantascienza ragionevolmente d’avanguardia”.
    (Frank Zappa Stardock, gennaio 1970)

  • Frank Zappa – San Ber’dino, 1977 – What means?

    Frank Zappa – San Ber’dino, 1977 – What means?

    Live at the Palladium, NYC, 1977

    Il brano “San Ber’dino” è stato oggetto di speculazioni e interpretazioni sin dalla sua uscita nel 1973. I testi, accompagnati dal suono rock eclettico di Zappa, raccontano la storia dell’esperienza di un uomo che vive a San Bernardino, in California.
    Le prime righe danno il tono alla canzone:
    “Venticinque anni fa, parlarono e uscirono dalle officine e dai campi. Alcuni hanno trovato il successo e altri hanno trovato l’inferno”.
    “Loro” si riferisce alle persone emigrate a San Bernardino venticinque anni prima, nel 1948. Molti di questi lavoratori migranti trovarono lavoro nelle officine e nei campi che circondavano la città. La riga successiva, “alcuni hanno trovato il successo e altri hanno trovato l’inferno”, riguarda le esperienze contrastanti di questi lavoratori. Mentre alcuni hanno trovato il successo e una vita migliore, altri si sono ritrovati in situazioni difficili.
    Il resto della canzone è una raccolta di aneddoti e osservazioni sulla vita a San Bernardino, inclusi riferimenti all’aria sporca, al fast food e all’uso di droghe. Il coro si concentra sull’idea che San Bernardino sia un luogo dove le persone vengono per sfuggire al proprio passato, un “paradiso dei poveri”, come dice Zappa.
    L’ultimo verso è particolarmente notevole per i suoi riferimenti ai legami della città con l’industria aerospaziale e con la Guerra Fredda:
    “Andavi in chiesa ogni domenica ma non potevi mai confessarti perché eri troppo occupato a fare affari con il governo. Una bella cittadina, oh sì! Se stai cercando una squadra, continua e usaci, puoi abusare di noi, non ci interessa nemmeno”.

    L’ispirazione dietro “San Ber’dino” è in gran parte attribuita all’esperienza personale di Zappa vissuta in California. Al momento in cui scrisse la canzone, Zappa viveva nella città di Laurel Canyon, appena fuori Los Angeles. Visitava spesso San Bernardino, sia per esibirsi che per stare con gli amici. In un’intervista con la rivista Rolling Stone, Zappa ha dichiarato che San Bernardino rappresentava un posto molto speciale per lui perché era abbastanza piccolo da essere accogliente e abbastanza grande da essere pericoloso”.
    Zappa era attratto dalla durezza della città e dalla sua storia di lavoratori migranti e di produzione. Era anche affascinato dai suoi legami con l’industria aerospaziale, che all’epoca era fortemente intrecciata con la Guerra Fredda. Nella stessa intervista a Rolling Stone, Zappa affermò che “San Bernardino aveva i Berretti Blu, che erano un’organizzazione per l’avvistamento di aerei civili. Era praticamente una copertura per i lavoratori della difesa aerea”.

    A livello superficiale, “San Ber’dino” è un commento alla cultura e allo stile di vita di San Bernardino negli anni ’70. Parla al passato e al presente della città toccando temi di migrazione, industria e questioni sociali.
    Tuttavia, come per molte canzoni di Zappa, c’è un significato più profondo dietro le osservazioni a livello superficiale. Alcuni hanno interpretato “San Ber’dino” come un commento al capitalismo americano e allo sfruttamento della classe operaia. La frase “potete abusare di noi, non ci interessa nemmeno” è stata interpretata come una dichiarazione sull’autocompiacimento delle masse di fronte allo sfruttamento capitalista.
    I riferimenti all’industria aerospaziale e alla Guerra Fredda sono stati visti anche come un commento al militarismo e all’imperialismo americano. Zappa, che era esplicito nella sua opposizione alla guerra e alla corruzione del governo, potrebbe aver utilizzato “San Ber’dino” come un modo per criticare il complesso militare-industriale e il ruolo che svolgeva nella società americana.

    Curiosità
    Frank Zappa era fortemente critico nei confronti della corruzione del governo e si opponeva alla guerra e al militarismo. Si è identificato come un indipendente e si è espresso sia contro il partito repubblicano sia contro quello democratico.

    Frank Zappa si è esibito a San Bernardino più volte nel corso della sua carriera.
    (oldtimemusic.com, 13 agosto 2023)

    La passione di Frank per la cinematografia portò un giornale locale, l’Ontario Daily Report, a ritenere che nel suo studio si girassero pellicole porno. Un sergente di Polizia in incognito chiese allora a Frank di procurargli una registrazione audio per 100 dollari, cosa che Frank realizzò mettendo insieme un nastro contenente mezz’ora di gemiti e sospiri della sua ragazza. Al momento della consegna del nastro Frank e Lorraine vennero arrestati. L’accusa di associazione per delinquere per la produzione di materiale pornografico cadde per entrambi, ma a Frank toccò scontare 10 giorni nel carcere di San Bernardino dei 6 mesi a lui attribuiti dalla giuria, mentre la ragazza implicata è stata liberata pagando la cauzione con i soldi provenienti dalle royalties maturate da “Memories Of El Monte”, una canzone scritta da Zappa e Collins per il gruppo The Penguins.

  • Frank Zappa – Uncle Meat, film completo, 1968

    Frank Zappa – Uncle Meat, film completo, 1968

    FAIR USE
    Scritto e diretto da Frank Zappa, distribuito nel 1987 in video. Le principali riprese non sono mai state completate, è in forma di documentario, mostra prove e filmati di sottofondo del 1968 ed interviste a persone coinvolte nel film. La produzione è incompiuta. Zappa, nel ruolo di se stesso, è il regista immaginario.

    “Uncle Meat è ancora nel mio seminterrato – 50 minuti di montaggio preliminare – non è stato ancora completamente girato. C’è già un po’ di musica e ho fatto delle animazioni, sono come delle miniature.

    “Mi piace unire tutti i progetti insieme con una sorta di filo di continuità perché è così che va la vita, sai, una cosa si trasforma in qualcos’altro. C’è una continuità in tutti gli album e ci sono elementi nel filmato di “Uncle Meat” nel seminterrato, che sono riferimenti diretti a ciò che è già in “200 Motels”. Quindi se “Uncle Meat” uscirà tra tre o quattro anni, quando finalmente avrò i soldi per finirlo, mi farai un flash delle cose lì dentro. Come bere la pozione e trasformarsi in un mostro”.

    “Ho iniziato nel 1958 a fare filmati amatoriali”.

    “Amo modificare. Mi piace montare il nastro e mi piace montare il film e quando sono a casa, se non ho un progetto immediato su cui lavorare, metto la pellicola da 16 mm su un rack e la taglio solo perché mi piace vedere le cose trasformarsi in altre cose. Lo stesso vale per il suono. Metti insieme le cose e poi senti la relazione quando passa – è come Natale ogni volta che senti passare un’altra di quelle modifiche”.

    “Uncle Meat”: una visione della follia
    “Uncle Meat” è un’esperienza, non un film; un concetto che nasce direttamente dalle tecniche compositive di Frank Zappa. Puoi intuitivamente afferrare Zappa ma non essere in grado di spiegarlo se non in altre immagini: la sua musica è fantasiosa, crea immagini di Los Angeles, polizia robotica alimentata da plastica e bambini perduti lapidati super-psichedelici in un mondo folle.
    Uncle Meat è una visione della follia interpretata attraverso la mente di Zappa e le Madri sono gli attori di una pazza farsa: sono i contrasti di un mondo folle, gli attori di uno psicodramma che non ha inizio né fine.
    I Mothers sembrano caduti nel mezzo di un dipinto di Bosch: si arrampicano attraverso molte scene diverse senza mai lasciare la tela. Il dialogo è dolorosamente casuale ma simbolico; rappresenta il caos in corso… Se siamo tutti pazzi e vediamo la follia di un governo impazzito forse è perché anche loro sono nel film.
    Le Madri sono solo un’estensione dei concetti artistici di Frank, un’estensione della “Grande Nota”.
    Parlando con Zappa si ha l’idea che tutto sia programmato prima ancora che si inizi a parlare; un’estensione dei suoi dischi, la mente che lavora nella sala di controllo monitora il mondo e Frank Zappa sta rapidamente diventando un mago delle arti dei media lavorando in uno show televisivo o ad un film, scrivendo musica, producendo dischi, facendo affari. Fuma molte Winston, beve molto caffè nero o demi-tasse (caffè espresso), lavora in sala di montaggio di notte a Los Angeles e saluta l’alba ancora curvo sulla macchina di montaggio sorridendo tra sé e sé con occhi orgogliosi.
    Se guardi Zappa a un concerto, puoi cogliere, da qualche parte dietro i baffi, i capelli neri arruffati e le scarpe con motivo cachemire, un bagliore folle. Sa dove sta andando il suo pubblico perché lui guida la processione. L’ostilità che evoca viene messa in scena, forse come un ostacolo alla sua musica, forse come un’aggiunta ad essa. Se ascolti Zappa, quella qualità viene fuori e sciocca come se fosse un’analisi di se stessi.
    Uncle Meat è solo un’estensione dei Mothers of Invention, che è un’estensione di Frank Zappa seduto nella sala di controllo a girare i quadranti, montare i nastri, aggiungere rumore esterno. Sta cercando di accendere il mondo: la sua specialità è la verità sarcastica musicalmente, culturalmente.
    “Sarà uno spettacolo bomba”. Solo tu salterai in aria, mentre lui ha già preso precauzioni nell’organizzare tutto, facendo accadere tutto.
    (Rock Magazine, 8 giugno 1970)

    “Ho un seminterrato che contiene un certo numero di scrivanie. Ho una scrivania con una macchina da scrivere elettrica, e ho una scrivania con attrezzatura per scrivere musica, e ho un’altra scrivania con attrezzatura per l’editing da 16 mm, e ho quattro registratori, uno professionale a 2 tracce, uno professionale a 4 tracce, un ¼ -tracciatrice e un Uher portatile. Vago semplicemente per il seminterrato da una scrivania all’altra facendo tutto ciò che devo fare su vari progetti.
    (Time Out, 17-23 dicembre 1971)

  • Frank Zappa, “the Lightning before the Thunder” – Roxana Flores interviews Bob Dobbs (thanks Bob)

    Frank Zappa, “the Lightning before the Thunder” – Roxana Flores interviews Bob Dobbs (thanks Bob)

    I’m going to start with talking about the lightning before the thunder. That’s how I define Frank Zappa. So, I grew up in Europe and when I came to New York City in the 50s, I really liked Doo-wop music, which I heard for the first time on the radio in the early 50s in New York. There was a lot of it, which I had never heard in Paris.

    I didn’t have any awareness of American music over there where I grew up, and the music environment was puny compared to what I experienced in New York. So, I got seduced by Doo-wop and then I followed all the other Pop music as Rock ‘n’ Roll came in. I liked it, and through my father, I also had a bit of acquaintance with Stravinsky and the modern composers that were just becoming known in the 50s.

    In 1958, I was in the Mojave Desert on assignment to find out what the UFO flap was all about. There was a lot of talk about UFOs in the 50s around the Mojave Desert area in California. I was sent there by my Intelligence boss in Paris to find out what was actually occuring. And one night, I went to a Bo Diddley show in a club in that area somewhere. I saw two young people talking and they kind of stood out, just like normal, short-haired kids, but they were saying some strange words.

    I heard one of them say, “Fast and bulbous”. I would never forget the phrase, “Fast and bulbous”. And I think I heard, “Tight and tapered”, after that. So, I went over and just sort of hovered near them to see what else they were talking about. And I eventually introduced myself. Well, it turned out to be Frank Zappa and Don Vliet. So, I talked to them and they were in their last year in high school.

    I don’t think Don talked about being in school, but I didn’t really notice much, just that they were intelligent kids to talk to and I don’t remember much of what we said. Then I saw Zappa around that area one more time. But the thing that really struck me was I, meanwhile, met Art Laboe, the owner of Original Sound Records. And he was a big deal as a DJ and music producer in Los Angeles. And he told me about a guy in the Cucamonga area who had a studio that was incredible for its advanced equipment. And the guy’s name was Paul Buff.

    Later I saw Frank on the streets of Lancaster in 1962 because I still went back there occasionally, looking for the UFO thing and seeing what would come out of that, whether it was real or not.

    But at that time I told Zappa – I knew he was interested in music in some way – but he was working in advertising or something. And I told him he ought to go meet this guy, Paul Buff – where to go, and he said, “I’m going over right away, tonight”. And that was that.

    Now, that’s in the spring of ’62, and later I went over to – because I had met Paul Buff through Art Laboe – his studio, and surprisingly, Frank was there in the studio.

    I thought that Frank had taken my advice, gone over there, and became friends with Paul.

    Now what is significant about that is, years later, I figured out he knew of Paul Buff before I had mentioned him to Frank. So, in retrospect, Frank had actually known who I was talking about. He had just said when I mentioned Paul’s name, “Oh, that’s interesting, I’ll go over there”. And that, to me, became symptomatic of the way he was.

    He kept a lot to himself, and of course, he didn’t know who I was, really, yet. He wasn’t going to tell me what he knew, or whatever . That was the thing I remember about that – he “lied to me”. He didn’t indicate that he already knew the guy. So that’s my beginning with Zappa, in a way. Then I managed to get to the studio in ’64, ’65, before Frank lost the studio when he got raided by the cops in March ’65.

    I subsequently was over there a couple of times when Don Vliet was there – and Motorhead. There were other people, I didn’t know who they were, but I got to hear them have fun making music in the studio. By that time, I knew that Zappa had some kind of charisma. I mean, the guy was totally antisocial and not really showing up in society that I could see, other than he had a job. But he didn’t have a job at the time in ’65, I don’t think. He just was obsessed with working in the studio.

    So I got to experience the studio in Cucamonga. Then he got kicked out of the studio, spent 10 days in jail, and then went into L.A.. And the next thing I knew there were some riots in the street – on Sunset Strip in ’66. And I was in L.A. occasionally, and I saw some of these protests. I bumped into Frank around that time, and he told me he was going to New York City. So that would be the end of ’66.

    So he ends up at the Garrick Theater in New York from April ’67 until September ’67, performing every night. I went to some of these performances – at least twice – and they were wild, fun, and unconventional… really interesting.

    Frank went back to L.A. in the spring of ’68 and moved into the legendary Log Cabin. I visited him there and then Woodrow Wilson Drive starting about a year later for the next 20 years…
    (Bob Dobbs)

  • Frank Zappa – Opus 5 for Piano Taperecorder, 1963

    Frank Zappa – Opus 5 for Piano Taperecorder, 1963

    Mount St Mary’s College, LA

    “A 22 anni Frank Zappa scrisse la prima partitura per large ensemble: s’intitola Opus 5, è una verbosa emulazione di certi lavori di musica colta. Per quanto tediosa e stilisticamente trascurabile, quella pagina introduce al Grande Mito Zappiano: la musica per orchestra” (Riccardo Bertoncelli).

    Opus 5” è la prima musica orchestrale d’avanguardia del giovane Frank Zappa (1963). Frank la presentava come “improvvisazione libera”: i segnali delle dita suggerivano agli artisti quale dei frammenti dovevano suonare in un certo momento.
    “La prima volta che ho suonato musica ‘seria’ è stato al Mount St. Mary’s College nel 1962. Ho speso $ 300 e ho messo insieme un’orchestra del college organizzando questo piccolo concerto. Al concerto era presente meno di un centinaio di persone: è stato registrato e trasmesso da KPFK. Quando mi sono diplomato al liceo nel ’58, non avevo ancora scritto nessuna canzone rock and roll, anche se avevo una piccola band rock and roll nell’ultimo anno. Non ho scritto roba rock and roll fino all’età di vent’anni. Tutta la musica che stavo scrivendo era musica da camera o orchestrale, che non avevo mai suonato prima di questo concerto al Mount St. Mary’s College”. (Frank Zappa)
    Il 19 maggio 1963 le composizioni sono state suonate dalla Pomona Valley Symphony Orchestra. Il concerto è stato registrato dall’ingegnere del suono, geografo, antropologo e documentarista cileno Carlos Hagen, impegnato in una produzione radiofonica per la stazione FM sotterranea in forma libera KPFK. Il programma includeva il brano “Opus 5”, opere aleatorie che richiedevano un po’ di improvvisazione, un pezzo per orchestra e musica elettronica registrata con immagini di accompagnamento sotto forma di film sperimentali in 8 mm di Frank Zappa (musica visiva). Zappa dirigeva, suonava la cetra e introduceva i brani.

  • Frank Zappa e la Psicoacustica

    Frank Zappa e la Psicoacustica

    Frank Zappa / MOI – Charles Ives_Jam, The Rockpile, Toronto, ON, Canada, 24 maggio 1969 (la scelta della jam è personale, nulla di specifico).

    Sebbene non siano stati condotti molti studi sull’argomento, ho cercato di indagare gli effetti della musica sulle persone…
    “Si tratta di psicoacustica. In questo campo, osservano gli effetti dei suoni sulla mente”.

    Molti osservatori ritengono che la musica sia un formidabile mezzo spirituale, anche se non necessariamente religioso.
    “Difatti, la musica arricchisce lo spirito ed ha un effetto davvero positivo sulle persone. Penso sia l’effetto più vicino possibile al paradiso”.

    Quindi, la musica è una sorta di esperienza trascendente. Ma è qualcosa che altera le persone in modo permanente o lo fa solo per la durata del pezzo?
    “Penso che gli effetti siano permanenti: se ascolti un brano anche una sola volta, quel brano ti cambierà. Devi ascoltarlo davvero e deve trattarsi del ‘tuo’ genere, un genere che ti dia il ritmo, in grado di cambiarti. Anche se ti cambia di un solo atomo, avviene comunque un cambiamento. Se ti appassioni e continuerai ad ascoltare, cambierai completamente. C’è una differenza tra i musicisti e le persone ‘normali’. Forse, sanno qualcosa che le altre persone non sanno, ovvero che la musica è meravigliosa. Questo non li rende necessariamente migliori, ma dà loro accesso ad alcune informazioni che le altre persone non possono penetrare. Conosci o hai mai visto persone che odiano la musica?”.

    Pochissimi.
    “E’ il tipo di gente che va al governo. Pensaci. Ecco dove vanno. La musica per loro è carta da parati del loro stile di vita”. (Frank Zappa, Sweet Potato, novembre 1979)

    “Il concetto armonico di Varèse non assomiglia a quello di nessun altro. Crea sostanze piuttosto che accordi. Usa concetti chimici. Il tipo di tensione che le sue armonie creano è simile a combinazioni isotopiche, alcune stabili, altre instabili – altamente volatili e in procinto di esplodere. Si finisce nel campo della psicoacustica, davvero. Prendi l’intervallo del terzo, per esempio. Quando lo senti, trasmette un messaggio al tuo cervello e produce risposte emotive incontrollabili, alcune delle quali sono prevedibili e altre ancora non comprese. Varèse ha avuto l’audacia di sperimentare questo. Il vero contrasto e il tweezing (progressioni armoniche naturali) sono stati fatti solo da Varèse e Webern”.
    (Frank Zappa, Capitol, 1° aprile 1984)

    “Il vero effetto della musica sulle persone è un nuovo campo della scienza chiamato psicoacustica: il modo in cui l’organismo si occupa delle molecole d’aria oscillanti. Le nostre orecchie decodificano le molecole d’aria che si dimenano e questo ci fornisce l’informazione di un particolare suono musicale. Il nostro cervello dice: “Questa è musica, questa è una struttura” e ce ne occupiamo in base a determinati strumenti che abbiamo acquisito”.
    (Frank Zappa, New Perspectives Quarterly Winter, 1988)

    “La mia musica è come una di quelle torture a base di privazione del sonno: quando non dormi per un lungo periodo di tempo, dopo un po’ cominci a vedere e a sentire cose che non esistono veramente, ma che sono comunque molto interessanti. Lo stesso può accadere nello spazio di una composizione, cercando di conoscere in anticipo le reazioni psicologiche a ciò che si scriverà ed incorporandole alla composizione stessa: tu sai quello che gli ascoltatori si aspettano di ascoltare e, proprio negando ciò che si aspettano, puoi riuscire a procurargli delle sensazioni che normalmente non avrebbero…”. (Frank Zappa)

    “Ci deve essere abbastanza spazio quando suoni. Questo fa funzionare la musica. Non funziona su carta e nel vuoto ma nell’aria. Lo senti perché le molecole d’aria stanno facendo accadere qualcosa nei tuoi timpani. È così che lo senti, a prescindere che provenga da un giradischi o da un impianto audio o in una sala da concerto. Quindi, senza quelle piccole molecole non hai niente. Ciò di cui parliamo, quando si esegue la musica, è di aria scolpita. I modelli si formano nelle onde radio; tutte le diverse frequenze di tutti gli strumenti che suonano creano schemi e il tuo orecchio li sta rilevando. Al di là della musica, a livello puramente scientifico, queste frequenze provocano alcune reazioni psicologiche e fisiologiche nell’ascoltatore. Una certa frequenza fermerà il tuo cuore, qualcos’altro ti farà cagare, altro ancora ti farà venire il mal di testa o ti farà sanguinare il naso, qualcos’altro stimolerà emozioni. La mia teoria è che non si percepisce la musica o il suono soltanto attraverso le orecchie, ma attraverso tutto il corpo (nella gola, nello stomaco, nelle braccia, nei piedi). Quando usi un certo tipo di amplificazione in una grande sala da concerto, stai facendo qualcosa alle persone oltre ad intrattenerle. Stai influenzando i loro corpi e dovresti esserne consapevole mentre suoni ad alto volume”. (Down Beat, febbraio 1983)