
“L’ultimo movimento di ‘Sad Jane’ è in realtà una trascrizione di un assolo di chitarra del 1968 scritto da Ian Underwood”.
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“Frank Zappa era un instancabile innovatore e sperimentatore, sempre alla ricerca di modi per sfruttare le ultime innovazioni in strumenti musicali, amplificazione, unità di effetti e registrazione del suono. La sua vita lavorativa coincise con l’esplosione dello sviluppo della tecnologia musicale iniziata negli anni ’60 e proseguita per i tre decenni successivi. Di conseguenza, finì per utilizzare una gamma unica e affascinante di chitarre ed altre attrezzature musicali durante la sua carriera. Senza invenzioni come l’amplificatore Marshall, la Gibson SG, il pedale wah-wah e il Synclavier, le “sculture aeree” di FZ avrebbero avuto una forma e una consistenza significativamente diverse. Inoltre, molte delle sue chitarre e dei suoi strumenti musicali furono appositamente modificati e personalizzati (o “pizzicati”, come diceva lui), spesso utilizzati in modi per i quali non erano mai stati progettati.
(Mick Ekers – autore di Zappa’s Gear – Leigh-on-Sea, Essex, Inghilterra – 2013)
“Frank prendeva qualsiasi strumento immaginabile, lo strizzava, lo agitava e lo tirava come un pitbull con una bistecca! Frank studiava a fondo ogni parametro e, quando lo spremeva al massimo delle sue possibilità, chiamava l’azienda e spiegava loro cosa dovevano fare per migliorarlo”.
(Steve Vai, discorso di accettazione del TEC Les Paul Award – NAMM Show 2012)
Pound For a Brown (solo Live Baby Snakes)
Live con Frank Zappa, Adrian Belew e Terry Bozzio (1977)
Jam con Arthur Barrow (Live al Celebrity Theatre, Phoenix, 13 ottobre 1980 – bootleg)
“Frank non aveva mai sentito parlare di Electrocomp prima della mia audizione e poi ne ha presi tre per la band. Peter Wolf usava questo sintetizzatore ma anche Arthur Barrow e Bob Harris. Quando ho fatto la mia audizione, avevo con me il mio Rhodes, il mio Electrocomp e i pedali per basso Taurus. L’ho smontato e ho suonato qualcosa. Il mio suono distintivo era un suono di corno francese, un suono di ottoni, era il mio genere di firma e Frank è rimasto a bocca aperta. Non credo avesse mai sentito un sintetizzatore fare quel tipo di suono con quel tipo di espressione. Gli dissi: “Potrei impostare il suono dell’Electrocomp per te sull’E-mu: avresti cinque voci, una polifonia completa”. Frank era così entusiasta che disse “OK, fallo!” e mi assunse provvisoriamente quel giorno a casa sua dicendo: “Voglio che torni tra una settimana, ti darò questa musica, voglio che la suoni per me, poi entrerai nella band”. Quando tornai la seconda settimana, mostrai ai ragazzi che si occupavano dell’E-mu cosa avevo fatto. Frank disse loro: “Collegatelo in modo rigido” e così fecero. Se armeggiavi con le manopole (tranne per l’accordatura, quelle manopole dovevano essere libere), gli envelope erano preimpostati, legati sul retro… Alla prima prova tutto era impostato esattamente come volevo, il VCA e il VCF erano collegati parallelamente come l’Electrocomp e l’ho modificato un po’… Sull’Electrocomp c’è un’impostazione del filtro, un filtro che segue l’intonazione e ingrassa il suono; l’E-mu non aveva questa capacità. In altre parole, se suonavi due note insieme, si otteneva una leggera e calda distorsione che poi svaniva, un colore particolare, come l’imboccatura di uno strumento in ottone.
L’E-mu aveva un suono un po’ più pulito e un po’ privo di personalità rispetto all’Electrocomp, tuttavia il connubio tra i due era semplicemente splendido. Basta ascoltare gran parte del materiale di “Sheik Yerbouti”, in cui suonavo moltissime parti in parallelo, per capirlo.
Frank mi lasciava suonare le tracce simultaneamente sull’Electrocomp e sull’E-mu, in parallelo. Invece di fare una parte di E-mu e una parte di Electrocomp, facevo due parti in una sola ripresa”.
“Nessuno strumento poteva fare quello che faceva l’E-mu nel 1977… Durante i live era quasi come se l’E-mu guidasse la jam. Non sapevo mai quando sarebbe arrivato… Una volta, a casa mia, non smetteva di suonare neanche quando lo spegnevo. Ho dovuto staccarlo, alla fine. Era un sequencer analogico, tutto veniva fatto con i voltaggi… Il problema è che gli E-mu, dopo un paio d’anni in tour, iniziavano a diventare inadeguati, a sputare fuori diarrea digitale all’improvviso come sintetizzatori rotti, avevano una loro personalità. L’E-mu risultava molto sensibile con lo snake (che collega la tastiera al sintetizzatore)… Era lo snake a coinvolgere il sequencer; qualche strana attività che coinvolgeva il sequencer all’interno dello snake innescava l’avvio della riproduzione spontanea… Non era come l’Electrocomp; l’E-mu era pensato per essere uno strumento da studio, non per i tour… L’E-mu è in un museo a Parigi, il Musee de la Musique”.
“I ragazzi dell’E-mu hanno visto come ho impostato l’Electrocomp usando un inviluppo completo, in altre parole non ho usato un VCA in ambito sonoro, lo usavo come dispositivo di controllo, per controllare l’intonazione e quando hanno visto come lo stavo usando hanno detto “Non ci avevamo mai pensato”. Non hanno mai pensato che potesse essere usato come controllo piuttosto che come suono, quindi l’E-mu è stato impostato in un modo completamente nuovo… Ci sono molti cambiamenti di tono nell’E-mu: quando la nota arriva alla fine bisogna regolare a piacere la quantità di battito. L’E-mu si scordava spesso, dovevo accordarlo probabilmente ogni 45 minuti… Il motivo per cui l’E-mu è stato ritirato è perché ha avuto un crollo nervoso, non era più utilizzabile, dal nulla sputava fuori una follia analogica!
Abbiamo optato per il CS80 perché poteva fare tante altre cose che il Prophet e l’E-mu non avrebbero mai potuto fare. Era fantastico poter usare il controllo del pitch con un semplice pezzo di filo. Non aveva la finezza che cercavo, ma con quel connubio tra digitale e analogico c’erano cose che non si potevano nemmeno sperare di fare con l’E-mu. Era affidabile, non si rischiava un crollo nervoso sul palco”.
(estratto da un’intervista di Mick Ekers a Tommy Mars, Zappa’s Gear, 8 settembre 2011)
“Ho investito migliaia di dollari in sintetizzatori molto esotici e avanzati. Ho un’enorme configurazione E-mu” (Frank Zappa)
Video consigliato
Frank Zappa & Mothers of Invention – Improvisation 13 maggio 1973 (Live all’Università di Cincinnati)
con Frank Zappa, Jean Luc Ponty, George Duke, Tom Fowler, Ralph Humphrey, Ruth Underwood, Ian Underwood, Bruce Fowler, Sal Marquez
“Penso che fosse sottovalutato come chitarrista, semplicemente non credo che abbia mai ricevuto i riconoscimenti che meritava perché era molto interessante il suo modo di pensare alla musica, il modo in cui faceva gli assoli e il modo in cui costruiva le sue melodie… Erano come piccoli pacchetti di idee, poi messi insieme. Non voleva spartiti sul palco, doveva ricordare tutto, ma quando faceva un assolo lo faceva esattamente allo stesso modo, erano come pacchetti di idee ritmiche e poi passava all’idea successiva… Era molto matematico ma aveva anche un contenuto emotivo. Molto interessante, e non ho mai visto nessun altro, nella mia carriera, che pensasse alla musica e suonasse come lui. Lui la faceva funzionare, e riusciva ancora a suonare il blues con quella musica… Era design. C’erano rettangoli, quadrati, ottagoni e altre forme diverse e… Ho imparato così tanto solo stando in sua presenza. Voglio dire, era un genio”.
“Quello che succedeva sul palco era in realtà un’estensione di ciò che succedeva fuori dal palco, molte delle canzoni sono nate da cose che succedevano fuori dal palco. Frank era famoso per questo perché andava sempre in giro con un registratore. Con due microfoni attaccati con il nastro adesivo al registratore, registrava frasi che diceva Jeff Simmons o Howard Kaylan o Mark Volman o me. È così che è nata la battuta ” DownBeat”: portavo sempre in giro la rivista “Downbeat” nella mia borsa a tracolla. Frank ha avuto quest’idea e l’ha inserita nel film: “Voglio portarmi in giro Downbeat così sembro alla moda e so cosa sto facendo”. O qualsiasi cosa dicessi. Tutto era fondamentalmente vero, è stato glorificato e amplificato”.
“L’amplificatore di Frank era troppo lontano da dove mi trovavo io, ma so che aveva un Marshall, tirava fuori un sacco di suono considerando che a me non sembrava poi così tanto. Ma so che in seguito metteva Captain Beefheart davanti al suo amplificatore perché gli piaceva vedere come avrebbe reagito. Ad un certo livello del volume, Frank suonava una nota e faceva fare a Don van Vliet qualcosa di divertente. Don era piazzato proprio davanti all’amplificatore, più in basso sul palco davanti all’amplificatore e con tutti i fogli intorno perché Don non riusciva mai a ricordare il testo. Tutti questi fogli erano sul pavimento e, quando Frank suonava questa nota, l’aria generata dall’amplificatore li faceva volare via, non erano fissati con il nastro adesivo! A quel punto, Don andava in giro cercando di raccogliere i fogli, il testo, e ogni volta che Frank suonava la nota, Don diceva “Accidenti!” e lui cominciava…”.
“Per le lunghe ore trascorse in studio a lavorare con Frank non sono stato pagato, ma sono stato sicuramente ripagato in un altro modo. Non sono stato pagato economicamente, ma ho ottenuto benefici che vanno ben oltre il semplice ricavato di qualche dollaro di residuo da un disco: la vedo così e non ho problemi con Frank”.
“Era quasi come se Frank sapesse di avere poco tempo e di avere molto da fare e molto da dire prima di andarsene. Era quasi come se, da qualche parte dentro di lui, sapesse di avere poco tempo e di non avere tempo per le frivolezze, in termini di musica. La sua era una dedizione seria: se non eri coinvolto nella realizzazione delle sue composizioni, allora non aveva tempo per te. Non so se fosse una questione personale, credo che sapesse semplicemente di non avere tempo”.
“Frank diceva sempre che bisogna trovare un modo per uscire da dietro le tastiere e arrivare davanti al palco. E alla fine un giorno, mentre leggevo la rivista Downbeat, ho visto questa cosa e ho pensato ‘Wow! Sembra una chitarra con una tastiera sopra’. Questo tizio si chiamava Wayne Yentis, suo padre viveva a Los Angeles, l’ho chiamato e gli ho chiesto “È vera?”. Lui ha risposto “Sì, vuoi vederla?” e io “Sì! Dove vivi?”. Sono andato a casa sua, l’ho guardata e ho detto “Guarda, è esattamente quello che sto cercando”. La storia è partita da lì, ma a quel punto avevo già lasciato Frank”.
(estratto da un’intervista a George Duke, Zappa’s Gear, 5 gennaio 2012)
Frank Zappa non ha iniziato con i bongo, ma piuttosto con un rullante preso a noleggio.
Quando i genitori di Frank (che all’epoca aveva 12 anni) non riuscivano a sostenere il pagamento dell’affitto, gli permettevano di battere colpi a mani nude sui mobili usandoli come una batteria. I musicisti lo chiamano ‘mantenere il tempo’.
(Guitar Player 1994)
Frank Zappa sceglieva solo i musicisti più dotati cercando strumentisti colti che sapessero leggere la musica ma anche capaci di improvvisare. Non era facile perché le due cose, sosteneva lui, sono spesso all’antitesi. (Suono, novembre 2012)
Il tipico vezzo zappiano consiste nello scrivere qualcosa di molto semplicistico per attaccarlo contro qualcosa di tecnicamente difficile e viceversa. (dal libro Frank Zappa Domani di Gianfranco Salvatore)
Nell’agosto del 1972, Zappa formò la Grand Wazoo Orchestra con alla batteria Jim Gordon. Gordon gli mostrò la tecnica chitarristica detta hammering, che consiste nel far vibrare le corde percussivamente, agendo col plettro direttamente sul manico dello strumento. (dal libro Frank Zappa Domani di Gianfranco Salvatore)
“Devi amare moltissimo il re minore (D minor) per suonare nella nostra band” (Ian Underwood, Sounds, 5 dicembre 1970)
Zappa ha spesso affrontato il suo lavoro come un unico grande progetto, a cui sono collegati i singoli album tra loro attraverso una continuità concettuale. C’è una verità fondamentale in questo per tre ragioni principali.
1) L’atteggiamento verso la sua musica non è mai cambiato. Poteva integrare tutti gli elementi di stile nella sua produzione, qualunque cosa gli sembrasse carino per qualsiasi motivo. Lo fece in modo “Absolutely free” nel 1967 e lo fece ancora con “Civilization Phaze III” nel 1993.
2) Non si è mai allontanato dai lavori precedenti, più avanti nella sua carriera. C’è un alto grado di coerenza nella sua produzione musicale e nel repertorio che ha suonato dal vivo.
3) Tornava spesso su temi già utilizzati in precedenza, per lo più sotto forma di varianti dal vivo. A questo si riferiva con la sua espressione “le briciole del biscotto sono l’apostrofo” su “Apostrophe (‘)”. Uncle Meat, in tal senso, può essere considerato un album centrale, forse l’album che ha più briciole che finiscono su altri album. (FRANK ZAPPA’S MUSICAL LANGUAGE 4TH EDITION, july 2012 – A study of the music of Frank Zappa by Kasper Sloots)
Alcuni analisti affermano che Frank Zappa è in grado, su ciascuna delle sue tante chitarre, di passare indifferentemente da una scala temperata a una scala blues e ad una modale e di percorrerle in sequenza nel corso dello stesso assolo. (Il Mucchio Selvaggio novembre 1984)
Zappa è tra i personaggi che più hanno fatto per superare l’elemento fondamentale del rock: l’immediatezza. Ha costruito un rock strettamente gerarchico, cerebrale, che mentre insegue vette espressive tratte dalla tradizione classica occidentale non viene meno agli imperativi irrinunciabili del rock: piacere, fruibilità estesa, movimento. Le sue opere si sono via via ramificate con arrangiamenti sempre più ricchi e complessi. Al primitivo rock chitarristico si sono aggiunti dapprima i fiati, fino alle dimensioni di una big band, poi l’elettronica, infine le orchestre: quella, di 40 elementi, di Orchestral Favourites e quella, di ben 102, della London Symphony Orchestra. Zappa è, insomma, il maggior creatore di metalinguaggi in campo rock and roll; vale a dire, è il maggiore tra quanti si servono di linguaggi e stili accreditati del rock per condurre un discorso critico. Un discorso di secondo grado, che combatte la banalità con i suoi stessi strumenti. (Il Mucchio Selvaggio novembre 1984)
“La cosa divertente del modo in cui suono è che non mi alleno mai. Ogni volta che un tour finisce e metto via la mia chitarra, di solito non la tocco fino alle prove della prossima stagione. Ogni volta che la prendo in mano è come imparare a suonare di nuovo, non ho calli, mi fa male, non riesco a piegare la corda, la chitarra sembra troppo pesante quando la indosso. È come se qualcuno mi porgesse un pezzo di legno e dovessi esibirmi di nuovo dopo essere stato fermo per nove mesi prima del nuovo tour. Non ho suonato quasi per niente, un paio di volte in studio e basta. Mi sembra di aver perso tutta la mia tecnica, devo adattarmi ad un nuovo batterista. Ma, all’improvviso, scopro che non ho alcun problema a suonare: mi ritrovo sul palco ed esplodo. Suono bene fin dall’inizio del tour e certe sere sono in grado di suonare in modo straordinario anche per i miei standard o per la mia estetica”. (FZ, Guitar World, marzo 1982)
La chitarra di Frank Zappa sapeva essere morbida e aggressiva, graffiante e delicata, grintosa e suadente, capace di alternare toni da ballad a pesanti distorsioni, ma sempre rivelando la personalità unica del musicista che la impugnava. (neuguitars, 4 dicembre 2017)
Lo spirito satirico degli esperimenti xenocronici di Zappa ha origine in ciò che Amiri Baraka descrive come la decisione di Coltrane di “assassinare la canzone popolare” ed “eliminare le deboli forme occidentali”. (dal libro “Frank Zappa, Captain Beefheart and the Secret History of Maximalism” di Michel Delville e Andrew Norris, 2005, Salt Publishing)
Annuncio pubblicitario di “Jean’s West” con Frank Zappa
“Jean’s West” era un marchio di moda di Benetton lanciato nel 1972.
Negli anni ’70, un’altra pubblicità di “Jean’s West” ritraeva Jimi Hendrix.
(Gong, ottobre 1975)
Nel numero 3-1977 della rivista finlandese Suosikki è stato pubblicato un servizio che ritrae Zappa truccato.
Live al Carnegie Hall 1971 (Once Upon A Time, Sofa 1, Magic Pig, Stick It Out, Divan Ends Here) + assolo di chitarra tratto da Sofa (dall’album Zappa In New York)
In copertina: artwork di Salvador Luna (Lunatico)
Cos’è “Divan”?
È una suite di canzoni e parole recitate che racconta una storia. Pensate a “L’Histoire Du Soldat” di Igor Stravinsky. Stravinsky insisteva sul fatto che ogni performance dovesse fare riferimento al luogo in cui veniva messa in scena. Zappa fece spesso lo stesso per quanto riguarda la storia e i pezzi basati sulla recitazione durante il tour del 1971.
La storia di “Divan” racconta di Dio che individua un divano fluttuante nello spazio. Crea un pavimento in quercia dopodiché comunica al divano, attraverso la canzone e i testi in tedesco, di essere il cielo, l’acqua e molte altre cose. Mentre nella Bibbia si accontentava di descriversi come l’Alfa e l’Omega, in questo caso Dio si paragona alla gomma da masticare e alla sporcizia segreta del sottoscala.
Ad un certo punto, decide di divertirsi. Chiama la sua ragazza Wendell e il suo assistente Squat The Magic Pig (che eiacula fuoco) e li filma mentre fanno sesso, avvertendoli di non macchiare il divano con le loro secrezioni genitali.
Quando “Divan” arriva alla parte bestiale della storia, un pezzo heavy metal con bassi potenti, noto come “Stick It Out”, viene cantato dalla ragazza di Dio e inevitabilmente fa crollare il locale. La prima metà della canzone è una sorta di elogio funebre di Dio sul divano, prima di essere cantata in tedesco, ma per descrivere esattamente cosa sta succedendo il testo è in inglese, dove tutto è pornograficamente chiaro.
Nell’ottobre del 1992 Frank Zappa pubblicò un album intitolato “Playground Psychotics”. Si trattava in parte di un concerto dal vivo e in parte di un documentario basato sulle registrazioni che la band di Zappa (e in un’occasione anche il cantante Mark Volman) aveva effettuato con il registratore portatile Uher da sette pollici al secondo. La musica dal vivo contenuta nell’album, che comprendeva un totale di ben 57 tracce, proveniva da tre concerti del 1971: il leggendario Fillmore East di Bill Graham (5 giugno, New York), il Pauley Pavilion (7 agosto, Los Angeles) e il Rainbow Theatre (10 dicembre, Londra), che culminarono con un ricovero in ospedale di Zappa.
L’aggressione ai danni di Zappa al Rainbow Theatre e l’incendio scoppiato in un casinò di Montreux furono alla base di una superstizione diffusa in alcuni ambienti secondo cui “zio Frank” stava subendo l’ira di Dio Onnipotente. Qual è la causa di questa superstizione? La risposta sta in un pezzo da concerto: comprende narrazione, recitazione e canto, che alcuni chiamano “The Sofa Routine” e altri “Divan”.
Di seguito, ecco cosa scrisse Frank Zappa scrisse a riguardo in Playground Psychotics:
“Questa registrazione del Pauley Pavilion è tutto ciò che rimane di un brano più ampio che includeva “Sofa” e altro materiale”.
Quando il brano “Stick It Out” finisce, la musica di Zappa assume un tono più allucinogeno, riflettendo la stanchezza dopo tre minuti di depravata copulazione celestiale. Volman e Kaylan cantano di lastre di fuoco e tetti in cartongesso, con Zappa che traduce il loro tedesco in inglese. Ancora in preda all’eccitazione sessuale, Dio ordina alla sua ragazza di compiere gesti misteriosi verso l’orifizio riproduttivo di Squat.
Nel 1975 Frank Zappa pubblicò “One Size Fits All”, che include Inca Roads. Il tema spaziale di questo brano si rifletteva nella copertina disegnata da Cal Schenkel, comprensiva di una parodia di una mappa stellare insieme a un grande divano marrone fluttuante e la mano di Dio. L’album presenta due volte l’elogio funebre di Dio al divano: prima come brano strumentale, poi come versione vocale originale cantata da George Duke, Napoleon Murphy Brock e Frank Zappa.
Nel libro “Them or Us”, dopo il suo funerale, lo zio Willie seduto su un grande divano marrone insieme al suo pupazzo racconta la storia di “Divan”. Dopo che Dio, la sua ragazza e il maiale hanno raggiunto l’orgasmo, l’Onnipotente spegne la sua grande luce immergendo ogni cosa nella più completa oscurità… La storia di “Billy the Mountain” è raccontata da Zio Willie, la fidanzata di Dio e Squat il Maiale Magico.
Zappa ripropose “Divan” in modi diversi.
Durante le prove per il tour “Broadway The Hard Way” tra il 1987 e il 1988, la band provò un gran numero di canzoni: tra queste, c’era “Divan”. Zappa non si pentì affatto di aver creato un brano che era una parodia non solo di Wagner, ma anche di quei miti greco-romani in cui gli dei fornicavano con uomini e donne mortali, ma anche con cigni e tori. Il fatto che non sia mai stato eseguito sul palco dopo 17 anni fu probabilmente dovuto all’abbandono di Volman e Kaylan, più che ad una paura radicata. (estratto dall’articolo “Blasphemy and Upholstery” di Clinton Morgan pubblicato il 24 ottobre 2009 sul sito abctales.com)