
Il controverso rapporto all’insegna dell’odio-amore tra Frank Zappa e il jazz è cosa ben nota, tanto da essere entrato da tempo nella più ricorrente aneddotica musicale. E’ comunque vero che l’amore abbia più di una volta prevalso sul suo opposto, ricambiato anche da più di un jazzista. Qualche esempio: il sassofonista statunitense Ed Palermo con la sua orchestra, gli inglesi Colin Towns (con la tedesca NDR Big Band), John Etheridge con i suoi Zappatistas, i transalpini LeBocal con Glenn Ferris e Rita Marcotulli e, in Italia, Stefano Bollani, Riccardo Fassi, Glauco Venier, Roberto Gatto con i Quintorigo e la violinista Anais Drago. Moltissimi europei, dunque.
Forse, non è un caso che il primo jazzista ad essere attratto dall’orbita zappiana sia stato un francese: Jean-Luc Ponty. King Kong è l’album che cementa la collaborazione tra Ponty e Zappa: resta un punto di riferimento negli incontri ravvicinati tra mondo jazz e rock ma non solo, in un’ottica diversa da quella davisiana. Nel caso di Ponty e Zappa si potrebbe azzardare la definizione di westcoastiana e non solo in senso geografico, se non addirittura di bianca.
Il 15 dicembre 1970 al Palais Gaumont, Ponty raggiunge sul palcoscenico i Mothers of Invention in versione vaudeville band: 32 inarrestabili minuti di King Kong con Ponty, l’amico Duke e il leader a farla da padroni.
(Roberto Valentino, Musica Jazz, dicembre 2020)