
“Quando parlava dei chitarristi degli anni Cinquanta che gli piacevano così tanto, come Johnny Guitar Watson o Guitar Slim, diceva che potevano essere più sporchi con una sola nota di chitarra di chiunque altro con tutti i testi osceni che mettevano su un disco. Quello era il suo modello. Nei suoi assoli cercava di racchiudere tutto, dalle melodie più sublimi ai suoni più acidi, ed erano sempre un’avventura improvvisata che sapeva dove iniziava ma non dove sarebbe finita”.
“La sua mente era molto aperta e c’era spazio per tutto… C’è doo-wop e vecchio rock and roll, composizioni orchestrali atonali o molto armoniche, heavy metal, rock progressivo, reggae, new wave, country, jazz, musica da camera, folk tradizionale, blues, canzoni in stile Broadway… a volte con rispetto e altre volte come parodia. O tutto in una volta. O tutto nello stesso pezzo. Una delle sue grandezze e delle cose che mi hanno sempre interessato di più nel suo lavoro è la mancanza di limiti e la mancanza di pregiudizi. Tutto va bene. E se è per ridere, ancora meglio”.
“Suppongo che ci sia qualcosa di universale nelle sue composizioni. Sono così coinvolgenti che chiunque in qualsiasi parte del mondo può trovare qualcosa con cui identificarsi nel proprio lavoro. Faceva battute usando oscuri riferimenti locali, ma la sostanza del suo messaggio era compresa ovunque”.
(tratto da un’intervista a Román García Albertos, autore del libro “Frank Zappa 1940-1993”, La Opinion de Murcia, 11 febbraio 2023)