
Un’idea precisa di Zappa se l’è fatta chi, un anno e mezzo fa, era alla U.C.L.A., l’università statale californiana, per l’incisione dal vivo di un album poi mai pubblicato con l’Abnucleas Emuukha Electric Symphony Orchestra.
Ci trovammo davanti una specie di piccolo Palazzo dello sport illuminato a giorno.
L’orchestra sul palco era una di quelle serie. Il maestro, per quanto bizzarro, pure. Perfino Zappa era serio mentre sedeva al centro della sala davanti pazzeschi macchinari per la registrazione di questo suo esperimento di musica contemporanea.
Un’ora è filata liscia così fra una cascata di suoni sconnessi con Zappa che si alternava alla direzione dell’orchestra con il maestro sempre più sudato. Il tutto, per quanto strano, risultata divertente. Alla fine Zappa, quando nessuno sapeva più che pensare e i commenti sussurrati erano cessati per lasciare il posto a una sensazione a metà fra lo stupore e la noia, ha voluto spiegare come aveva composto quella musica. La domanda che mi ponevo era come (al di là del valore discutibile dell’esperimento) avesse potuto scrivere su uno spartito quell’ammasso di suoni irreali.
Frank Zappa: “Il motivo per cui siamo qui lo sapete, vero? Era tempo che volevo cimentarmi in un lavoro che coinvolgesse una vera orchestra. La musica che avete ascoltato finora è stata composta di getto. Niente scervellamenti a tavolino per riempire gli spartiti. Qualcun altro ha pensato man mano a trascrivere una serie d’improvvisazioni culminate nell’esibizione di questa sera. Per essere più chiaro, eseguiremo adesso un pezzo improvvisandolo come abbiamo fatto durante la preparazione io e l’orchestra”.
A quel punto Zappa introdusse il pubblico alla parte più interessante, più assurda di tutta la serata. Cominciò rivolgendosi prima ad un pezzo poi all’altro, poi a tutti contemporaneamente dell’orchestra. Con la voce e con i gesti chiedeva, ad esempio, al trombone, di ripetere una certa tonalità. Quindi, mentre a gesti e parole faceva capire al trombone di continuare così, si rivolgeva al violino, poi man mano, imitando con la voce i suoni e con le mani i tempi, al clarino, alla batteria, all’arpa, le trombe, l’oboe, le viole, il piano, la chitarra e così via. A quel punto Zappa scatenato, quasi in stato di trance, conduceva i 27 pezzi dell’orchestra, fra un «poh, poh, tzih, tzih, dlen, dlang, tunf, plin, tock, peeh, zum, din, fiuù …» nell’esecuzione più sconvolgente della intera serata. La curiosità del pubblico era stata soddisfatta. Per quanto pazzo possa essere condurre un’orchestra in quel modo, Zappa lo trovava divertente, e cosi i presenti.
(Vincent Messina, Popster, settembre 1977)