Frank Zappa's mustache - Music is the Best

Tag: Frank Zappa

  • Frank Zappa – But who was Fulcanelli? (Guitar CD, 1988)

    Frank Zappa – But who was Fulcanelli? (Guitar CD, 1988)

    David Ocker, copista e collaboratore di Frank Zappa, si stupì nel sentirgli pronunciare il nome dell’alchimista Fulcanelli alla domanda su quale personaggio storico avrebbe voluto incontrare (intervista online pubblicata sul newsgroup alt.fran.frank-zappa nel 1994). Segno che l’universo zappiano comprendeva anche una particolare attrazione per l’esoterismo.
    “But who was Fulcanelli?” (Ma chi era Fulcanelli?) è un brano completamente strumentale con un complesso ed imprevedibile assolo di chitarra nel tipico stile zappiano.
    Fulcanelli era lo pseudonimo di un famoso e misterioso alchimista, mai identificato con certezza, autore di importanti testi di riferimento per l’ermetismo che trattano del simbolismo presente nelle antiche costruzioni gotiche.
    Resta un mistero come dalle corde metalliche di una chitarra attraversata dall’elettricità possano venir fuori melodie così cariche di oro musicale. Puoi comprare la stessa chitarra con le stesse corde e la stessa corrente, ma il segreto dell’Oro, la Pietra Filosofale, resta sempre e soltanto nell’essenza dell’Artista.
    Il segreto di Fulcanelli può essere rivelato soltanto passando attraverso le quattro fasi alchemiche.
    Zappa, alchimista del rumore elettrico, trasmuta in oro l’assolo di St. Etienne.
    Nelle “Dimore Filosofali” Fulcanelli scrive che “Il mercurio comune è il risultato della Natura e Dio ha impedito all’uomo di penetrarne il mistero, mentre il Mercurio dei saggi è prodotto da un artista che, seguendo le leggi naturali, sa ciò che vuole ottenere”.
    Frank è cresciuto con il mercurio e una maschera antigas…

    Dai 5 ai 13 anni Frank era interessato alla chimica, soprattutto agli esplosivi. A 6 anni ha imparato a fare la polvere da sparo.
    Frank Zappa avrebbe dovuto trascorrere la sua infanzia in una tuta ignifuga. Suo padre Francis lavorava all’interno di una struttura militare (Edgewood Arsenal, nel Maryland) che produceva gas tossici durante la Seconda Guerra Mondiale. Chi partecipava al progetto doveva avere in casa maschere antigas da indossare nel caso in cui i serbatoi di gas si fossero rotti.
    Tra i giochi di Frank e dei fratelli, c’erano i becher e le maschere antigas. “Correvo con la maschera nel cortile pensando fosse un casco spaziale” ha ricordato Frank.
    Francis dava regolarmente a suo figlio attrezzature di laboratorio (tra cui bicchieri, fiaschi e capsule di Petri piene di mercurio). Frank li usava come giocattoli, visto che la sua famiglia non poteva permettersi di comprarglieli.
    L’unico giocattolo di Frank (la maschera antigas) alla fine l’ha sezionato con un apriscatole.
    Viveva nel mercurio: lo versava sul pavimento della sua camera da letto, lo faceva schizzare con un martello per divertimento.
    Crescendo, iniziò a soffrire di asma, frequenti mal d’orecchi e problemi ai seni paranasali. Probabilmente, l’esposizione a sostanze pericolose ha avuto un impatto negativo sulla sua salute.
    Secondo una tradizione italiana, i genitori di Frank tentarono di curarlo con sistemi dolorosi e di dubbia efficacia. Gli versavano olio d’oliva caldo nelle orecchie per contrastare il mal d’orecchi. Frank raccontò: “fa male come un figlio di puttana”. Per tentare di curare i suoi disturbi ai seni paranasali gli inserirono dei granuli di radio nelle cavità del seno con un lungo filo. A causa di questi tentativi per curarlo, ha sofferto per anni.
    L’inalazione di mercurio può causare problemi respiratori e una serie di altri problemi: tosse, mal di gola, respiro affannoso, bronchite corrosiva con brividi di febbre e dispnea che possono, a lungo andare, provocare edema polmonare o fibrosi.
    I primi sintomi che si manifestano sono effetti gastrointestinali acuti (nausea, vomito, diarrea, crampi addominali, disfunzioni renali), effetti cardiovascolari acuti (tachicardia, ipertensione).
    I vapori di mercurio provocano anche danni permanenti al cervello, precisamente al sistema nervoso centrale.
    Gli effetti sul funzionamento cerebrale possono essere tremori, disturbi visivi e di udito, problemi di memoria a breve termine, irritabilità, introversione, isolamento sociale.
    Il fatto che Frank non avesse amici era forse dovuto al suo carattere oppure all’effetto del mercurio?
    L’esposizione infantile al mercurio elementare è tossica e negli uomini aumenta esponenzialmente il rischio di sviluppare il cancro alla prostata in età adulta.

  • Frank Zappa – The Black Page #2 (Live, Palladium 1977) + filmato Black Page #2 dance contest

    Frank Zappa – The Black Page #2 (Live, Palladium 1977) + filmato Black Page #2 dance contest

    Frank Zappa – The Black Page #2, Live at the Palladium, New York City, 1977 (Fm Radio Broadcast) + filmato The Black Page #2 dance contest

    “The Black Page” di Frank Zappa è considerata la composizione più difficile per batteria e percussioni.
    Presenta ritmi più che complessi ed è rigida: segna esattamente quali pelli o piatti colpire non lasciando alcuna scelta al batterista.
    The Black Page include gruppi irregolari da brividi, spesso l’uno dopo l’altro (addirittura troviamo “undicimine” ovvero 11 note nella durata di un battito). Molti di questi gruppi irregolari si trovano all’interno di altri gruppi irregolari. Il termine inglese per definire questi gruppi è “nested tuplets”.
    La composizione prevede di dividere una battuta da quattro quarti in tre parti uguali, poi di prendere un terzo di battuta e di suddividerlo in cinque parti uguali.
    All’interno di questa composizione si trovano tutti i ritmi più difficili della musica occidentale: chi riesce a suonarla è un vero e proprio maestro del ritmo.
    Due maestri? Vinnie Colaiuta e Terry Bozzio.

    Zappa ha eseguito The Black Page per la prima volta il 28 dicembre 1976 a New York City.
    Questa versione si sente nell’album dal vivo Zappa a New York.
    Nel corso degli anni, ha armeggiato con diverse versioni della canzone, dando loro nomi diversi. L’originale, il più difficile, che ha soprannominato “The Black Page Drum Solo/Black Page #1”. Un altro l’ha intitolato “The Black Page, Part 2, The Easy Teen-age new York Version”: ha detto al pubblico che l’ha creato per coloro che non sarebbero stati in grado di padroneggiare la versione originale. Un altro si chiamava “The Black Page (versione new age)”, eseguito nel 1988 e pubblicato nel 1991 su Make a Jazz Noise Here .
    Nell’album dal vivo Zappa in New York, Zappa parla di “statistical density” (densità statistica) del brano.
    Con il suo linguaggio originale Zappa intendeva descrivere la complessità ritmica del brano, con uso estensivo di gruppi irregolari molto elaborati, il tutto però incluso in una cornice “regolare” di un metro in 4/4. (songfacts.com)

    Come hai avuto l’opportunità di suonare con Frank?
    Mentre ero alla Berklee, la cosa importante a scuola era: chi può suonare “The Black Page” di Zappa? Un paio di anni prima, quando avevo 15 anni, avevo avuto il numero di telefono di Frank da un mio amico e chiamavo Frank una volta all’anno – non volevo esagerare – ma non riuscivo mai a contattarlo. Un giorno l’ho chiamato da Berklee e lui ha risposto al telefono! Sapevo che stava cercando alcune delle partiture di Edgar Varése difficili da trovare. La biblioteca pubblica di Boston li aveva, quindi ho detto che li avrei fotocopiati e glieli avrei inviati. Ho inviato la mia trascrizione di “The Black Page” e le partiture di Varése, e lui mi ha rispedito una copia del suo grafico per “The Black Page”, oltre a questa enorme colonna sonora per un suo pezzo intitolato “Mo and Herb’s Vacation che alla fine si trasformò in “The Second Movement of the Theme from Sinister Footwear”. Non potevo crederci: ricevo un pacco pieno di tutta questa roba da Frank, inclusa una nota scritta a mano che diceva: “Mandami una registrazione di te che suoni ‘The Black Page’ il più velocemente possibile”. (Steve Vai, Guitar World, febbraio 1999)

    “The Black Page deriva dal fatto che la batteria è stata il primo strumento di Frank e dal suo amore per la musica di Edgar Varése. Ci sono alcuni intervalli melodici e tecniche di orchestrazione che Frank ha assorbito dall’ascolto di Varése, e questo è decisamente evidente in termini di uso delle percussioni. Il lavoro orchestrale di Frank è fortemente percussivo”. (Mike Keneally, Guitar World, febbraio 1999)

    Hai mai assistito ad un miracolo?
    “Ho sentito suonare correttamente dalla mia band una certa battuta di Black Pages una volta”.
    (Frank Zappa, Mix, settembre 1985)

    “Frank ha scritto Black Page perché, quando facevamo un concerto con un’orchestra di 40 elementi (The Abnuceal Orchestra), continuava a sentire musicisti in studio a Los Angeles parlare con timore delle prove mattutine in cui il ‘lato nero’ veniva messo davanti ai loro occhi. Ecco perché ha deciso di scrivere il suo ‘black side’. Me l’ha dato e sono stato in grado di interpretare subito alcune parti. Non mi ha forzato su questo, prima delle prove mi sono esercitato per 15 minuti ogni giorno e dopo circa 2 settimane ho suonato tutto. Ha detto “Fantastico!”, l’ha portato a casa, ha scritto la melodia e i cambi di accordi e l’ha riportato indietro. E abbiamo iniziato a suonarlo”. (Terry Bozzio intervistato da Andrew Greenaway, 17 settembre 1992)
    (Glissando, dicembre 2007, rivista polacca)

    La “Pagina Nera” allude alla trascrizione su pentagramma della composizione: l’obiettivo di Frank Zappa era quello di tendere ad una complessità tale da riempire di nero (senza, del resto, riuscirci) l’intero spazio della scrittura.

  • Frank Zappa, Let’s Move To Cleveland + Archie Shepp – What means?

    Frank Zappa, Let’s Move To Cleveland + Archie Shepp – What means?

    Frank Zappa, Let’s Move to Cleveland (The Best Band You Never Heard In Your Life, 1991) + Archie Shepp & Frank Zappa, Let’s move to Cleveland (You Can’t Do That on Stage Anymore, Vol. 4, 1984)

    Archie Shepp – tenor sax, Frank Zappa – guitar, Ike Willis – guitar, Ray White – guitar, Bobby Martin – keyboards, Alan Zavod – keyboards (solo), Scott Thunes – bass, Chad Wackerman- drums.

    Let’s Move to Cleveland è stata pubblicata nel 1988 come parte dell’album di Zappa intitolato “Broadway the Hard Way”.
    A prima vista, Let’s Move to Cleveland potrebbe sembrare una semplice canzone sul trasferimento nella città di Cleveland. Tuttavia, ad un esame più attento, diventa evidente che Zappa usa la canzone come mezzo per fare un commento sociale più ampio.
    I testi di Zappa, intrisi della sua tipica miscela di umorismo e sarcasmo, assumono una posizione critica nei confronti del clima politico e sociale dell’epoca. La canzone prende in giro vari aspetti della cultura americana, tra cui il consumismo, la corruzione politica e la manipolazione dei media. Scegliendo Cleveland come destinazione, Zappa attinge abilmente al simbolismo della città, spesso associato al declino dell’industria manifatturiera e all’economia in difficoltà insieme alle lotte della classe operaia.
    Let’s Move to Cleveland mette in mostra la miscela unica di stili musicali di Zappa, incorporando elementi di rock, jazz e avanguardia
    Seppure Let’s Move to Cleveland sia stata scritta alla fine degli anni ’80, i suoi temi e le sue critiche sottostanti risuonano ancora nella società odierna. Questioni come la corruzione politica, la manipolazione dei media e le lotte socioeconomiche continuano ad essere rilevanti, rendendo il messaggio della canzone attuale oggi come lo era decenni fa.
    (estratto dall’articolo pubblicato su oldtimemusic.com, 30 settembre 2023, Warren Barett)

    Frank Zappa su Archie Shepp
    “L’idea del titolo dell’album Hot Rats mi venne in mente perché in Europa avevo comprato un disco dove c’era The Shadow of Your Smile con il sax di Archie Shepp. Lui prendeva l’assolo che mi diede subito l’impressione di un esercito di topi surriscaldati che uscivano squittendo dal suo strumento. Il suono era quello. Quando uscì, credo fosse il disco più sovrainciso della storia. Forse solo Les Paul aveva fatto qualcosa di simile ai suoi tempi” (Frank Zappa, Musica Jazz, gennaio 2020)

    Nel 1967, Zappa aveva sviluppato un notevole interesse per Archie Shepp che, tra il ’67 e il ’66, aveva pubblicato Fire Music, On this night e Mama Too Tight, i suoi dischi più rivoluzionari.
    In un annuncio pubblicitario apparso sul Los Angeles Free Press del 3 febbraio 1967 si citava – facendo riferimento al repertorio dei Mothers – un brano intitolato Archie’s Time commentato così: “Cosa accadrebbe se Archie Shepp sapesse suonare il fagotto elettrico?”.
    Forse era questo il pezzo che Zappa al Garrick Theatre fece suonare ai Mothers mentre incitava i tre marines ad urlare “Kill! Kill!” nel microfono. “Una cosa alla Archie Shepp” come egli stesso raccontò, “una follia con accordi dissonanti e tutto il resto”.
    Questi Mothers del ’67, dunque, erano il primo gruppo della storia del rock ad ispirarsi solisticamente, con cognizione di causa, alle punte più avanzate delle avanguardie jazzistiche. Oltre al free jazz, un’altra risorsa per le improvvisazioni stava nel linguaggio modale affermato da John Coltrane, che sarebbe scomparso il 17 luglio di quell’anno.
    Nel bootleg garrickiano si sente che lo stesso Zappa – improvvisando lungamente su strutture polimodali a figure irregolari, con un bell’uso di scale mediorientali e di nervosi legati assieme a cellule interattive dal sapore minimalista e a segmenti cromatici ispirati alla scansione della lingua parlata – aveva già posto tutte le fondamenta del suo stile chitarristico.
    I Mothers del ’67 stavano costruendo in anticipo grammatica e sintassi del rock più avanzato degli anni Settanta come quello degli Henry Cow, per non parlare del jazz rock o di certi aspetti della scena musicale di Canterbury. Zappa sperimentò i ritmi dispari a livello compositivo. Certi ostinati in 5/8 e in 7/8 sperimentati al Garrick compariranno fin dalle prime registrazioni effettuate a conclusione dell’ingaggio del locale.
    (Tratto da libro “Frank Zappa Domani” di Gianfranco Salvatore)

    Frank Zappa ha ricordato la jam session con Archie Shepp al Festival di Amougies (Belgio) che si tenne dal 24 al 28 ottobre 1969.

    “Uno dei motivi per cui i Mothers non sono mai stati associati al jazz è questo: gran parte dei recensori non ha mai ascoltato jazz. Non indovinerebbero a meno che non venisse riportato sulla copertina di un album che siamo stati influenzati dal jazz. Se avessi dichiarato in uno dei primi album di essere stato influenzato da Eric Dolphy o Archie Shepp, negli ultimi cinque anni avrebbero scritto di influenze jazz piuttosto che influenze di Stravinsky…”. (Frank Zappa, Sounds, 7 novembre 1970)

  • Shut up and play Jimi – xenocronia Frank Zappa, Jimi Hendrix, Toru Takemitsu, Edgar Varèse

    Shut up and play Jimi – xenocronia Frank Zappa, Jimi Hendrix, Toru Takemitsu, Edgar Varèse

    xenocronia realizzata da Roxa con musiche di Frank Zappa, Jimi Hendrix, Toru Takemitsu, Edgar Varèse

    FAIR USE

    https://www.youtube.com/playlist?list=PLNIorVgbZlD1eJlE31TCypMf1eLhjcfBc

    Brani sovraincisi in questa xenocronia:

    Toru Takemitsu – Empire of Passion
    Frank Zappa performs ‘Purple Haze’ Jimi Hendrix
    Jimi Hendrix Play bass guitar
    The Jimi Hendrix Experience – Purple Haze – Live 1967
    Frank Zappa su Jimi Hendrix
    Frank Zappa – Tribute to Jimi Hendrix, Fox Theatre, Atlanta, GA, 18 settembre 1977
    Frank Zappa conducts Edgar Varèse – Ionisation (San Francisco, CA, 9 febbraio 1983)
    Frank Zappa – I Come From Nowhere 1982 (solo)

    “Conoscevo Jimi e penso che la cosa migliore che si potesse dire su Jimi fosse: non doveva usare droghe”. (Frank Zappa)

    “Alcune delle cose veramente buone che Hendrix ha fatto sono state le prime, quando era solo violento e brutale. Manic Depression era la mia canzone preferita di Jimi Hendrix. Più sperimentale diventava, meno interessante e più sottile risultava”. (Frank Zappa, Playboy aprile 1993)

    Fusione di elementi rock, psichedelia e blues, approccio urbano e rituale. Jimi Hendrix è stato uno dei ‘visionari’ della musica nera insieme a Sun Ra e George Clinton. Ha ispirato molti artisti, anche Miles Davis per Bitches Brew (1970). Qualcuno ha affermato che è stato un anticipatore dell’heavy metal. E’ stato un innovatore.

    Del Casher ha inventato nel ’66 il pedale per chitarra elettrica Wah-Wah (chiamato anche cry baby perché emette un suono simile al pianto di un bambino). Frank Zappa è stato il primo ad utilizzarlo. Durante un concerto a New York fu visto da Hendrix che ne rimase talmente affascinato da volerlo utilizzare a tutti i costi nei suoi brani.

    Quando è entrato in scena il wah-wah?
    “Dopo il fuzztone, intorno al 1966 o 1967. Sono stato uno dei primi ad usarne uno, l’ho adorato. Nell’ultimo tour, però, non ho usato nessun wah-wah. Ho utilizzato tre DDL (delay digitali) per diverse funzioni: uno per darmi un leggero ritardo con un po’ di pitch shift in modo da creare un vibrato e addensare il suono, e gli altri due per passaggi che riproduciamo più e più volte, come per registrare loop”.
    (Frank Zappa, Down Beat, febbraio 1983)

    Hai mai fatto spettacoli con Jimi Hendrix?
    “Sì, si è seduto con noi al Garrick Theatre. In effetti, ha interpretato il mio hollowbody attraverso un Fender Twin e ne ha ricavato un feedback. Tutto quello che so è che stava lavorando al piano di sotto in questo posto. Al Cafe Au Go Go, lo abbiamo invitato a sedersi: lui è salito al piano di sopra e gli ho lasciato usare la mia chitarra. L’ho visto al Cafe Au Go Go quando ha suonato con noi e in un festival pop a Miami dove abbiamo lavorato con lui. È stato allora che ha bruciato la sua chitarra che ho ricevuto circa un anno e mezzo dopo da uno dei suoi roadie, un certo Howard Parker. Abbiamo anche suonato con lui in un piccolo club chiamato The Castaways o qualcosa del genere a Miami perché tutti i gruppi che suonavano al festival stavano nello stesso hotel. C’era un bar e lì abbiamo fatto una jam session. Sì, penso che fosse bravo. Mi è piaciuto suonare con lui”. (Frank Zappa, Record Review, giugno 1982)

    “Avevo visto Zappa al The Experience, un club di Los Angeles – ricorda Alice Cooper – Una sera ci fu una jam con Eric Clapton, Mike Bloomfield e Jimi Hendrix, tutti assieme. Alla fine, Frank salì sul palco e fece un’imitazione di ciascuno di loro. Poi la piantò e si mise a suonare i suoi riff e quelli stavano lì a guardarlo a bocca aperta perché questo tipo stava suonando roba che non avevano mai ascoltato prima. Neppure Hendrix. Frank diede a Jimi il suo primo pedale wah-wah e gli spiegò come funzionava”. (Classic Rock, luglio 2015)

    “Hendrix è una delle figure più rivoluzionarie della cultura pop odierna, musicalmente e sociologicamente. La musica di Hendrix è molto interessante. Il suono… è estremamente simbolico: grugniti orgasmici, urla da tortura, gemiti lascivi, disastri elettrici e innumerevoli altre curiosità uditive sono consegnati ai meccanismi sensoriali del pubblico ad un livello di decibel estremamente alto. In un ambiente di performance dal vivo, è impossibile limitarsi ad ascoltare ciò che fa il gruppo di Hendrix… ti mangia vivo”.
    (Frank Zappa, citato in un’intervista a Life Magazine, The Oracle Has It All Psyched Out, 1968, da Kevin Courrier, “Dangerous Kitchen: The Subversive World of Zappa”, ECW Press, 2002).

  • Frank Zappa, Zoot Allures – What means?

    Frank Zappa, Zoot Allures – What means?

    Versione The Best Band You Never Heard In Your Life, 1991

    E’ opinione comune che ‘zoot allures’, termine di origine francese, si traduca in ‘accidenti’.
    Se, però, andate a cercare il significato della parola francese ‘zoot’ scoprirete che questo termine si riferisce ad un costume, zazou, degli anni ’40 del secolo scorso.
    Zoot Allures è l’ottavo album da solista di Frank Zappa, pubblicato nel 1976.

    Il titolo “Zoot Allures”, melodico e leggermente malinconico, si riferisce agli esperimenti jazz-rock di Larry Coryel.
    Zoot Allures è stato pubblicato alla fine del 1976: a Frank piace giocare con le parole e questo titolo lo dimostra.
    Riguardo all’origine del titolo, le opinioni sono divise.
    L’origine è probabilmente francese, come confermato da Zappa (sull’album “Titties&Beer – Zoot Allures in Paris, Zappa disse: “E ora dal nostro album Zoot Allures con un titolo quasi francese”).
    In francese ‘zut alores’ significa qualcosa come “inferno”.
    La seconda interpretazione è legata al guardaroba. In “Wonderful Wino” si parla di abiti zoot indossati all’epoca da molti musicisti. Forse, entrambe le spiegazioni sono corrette. (Jazz Rytm i Piosenka, giugno 1977)

    Nel brano “Wino Man”, viene menzionato uno zoot suit.
    “Durante la seconda guerra mondiale, indossare questo tipo di abito (zoot) venne associato alla delinquenza generale e alla ribellione contro la legge e l’autorità governativa. Ciò che realmente significava per la cultura in generale era una sottocultura crescente di giovani messicani-americani e neri, che erano soggetti a molte discriminazioni sociali e razziali a Los Angeles e nella California del Sud. Il simbolo esteriore della sottocultura, lo stesso costume da zoot, rendeva i membri di questa scena, autodefinita “pachuco”, riconoscibili e facilmente diffamabili”.
    (web.archive.org)

    Ho notato un grande cambiamento nel suono di “Zoot Allures” rispetto agli album precedenti.
    “Sì, il disco suona in modo diverso perché ho suonato la maggior parte degli strumenti”.

    Continuerai a farlo o è solo qualcosa che volevi provare?
    “Volevo solo provarlo…”.

    L’avevi già fatto prima?
    “Non così… In precedenza, avevo suonato le tastiere, il sintetizzatore, il basso e la chitarra, ma ho sempre lasciato la batteria a qualcun altro. In pratica, tutte le tracce sono esattamente come volevo. È difficile spiegare ad altri musicisti in una determinata situazione che una nota dirà più di cento note in certi punti… In genere, i musicisti perdono di vista il fatto che un compositore l’ultima cosa al mondo che vuole fare è che tutti suonino il più possibile nello stesso momento. Per me è l’equivalente di prendere un pezzo di carta bianca e dipingere tutto di nero. Ottieni la massima densità ma non va da nessuna parte”.
    (Musician’s Guide, agosto 1977)

    Frank Zappa è stato un artista molto produttivo, ma va sottolineato che “Zoot Allures” del 1976 è stato il suo 22° album. Il disco vede Zappa dare il benvenuto a Captain Beefheart. Don Vliet ha aggiunto l’armonica ai brani “Mr Pinky” e “Finding Her Fine Man”. Come sempre con Zappa, c’è un piccolo paradosso da trattare. La copertina dell’album ritrae i partner di Zappa Patrick O’Hearn e Eddie Jobson, anche se qui non suonano; Zoot Allures ha anche un titolo tipicamente zappiano, che parodia l’esclamazione millenaria di “Zut Alors!” ma si riferisce intenzionalmente ai costumi Zoot del dopoguerra.
    (cultora.it di Daniele Dell’Orco, 20 ottobre 2022)

    “Zoot Allures” mostra un lato più addomesticato di Zappa rispetto a quanto visto prima. Molti saranno tentati di evidenziarlo come un calo del suo oltraggioso quoziente, ma è semplicemente una fase musicale più diretta che sta raggiungendo un pubblico che Zappa si è sempre meritato, il mainstream. “Zoot” è più dolce e più accessibile anche se Zappa si tuffa nella melma culturale da cui prende le sue crocchette più gustose.
    (Sounds, 18 dicembre 1976)

    L’album Zoot Allures, prodotto parzialmente da Zappa (anche se accreditato come “La Marr Bruister”), includeva anche la title track, che in seguito apparve sul Joe’s Garage del 1979.
    Sulle note di copertina di Sheik Yerbouti del 1979, Zappa nota che “Friendly Little Finger” (da Zoot Allures) è stato creato usando la xenocronia.
    Il sound dell’album è influenzato dalla musica heavy metal, in particolare quella della canzone “Ms. Pinky.
    Tutte le tracce sono state scritte da Frank Zappa, eccetto Wonderful Wino, scritta da Zappa e Jeff Simmons.

    “Zoot Allures”, in America, non è andato bene come altri album ma ha avuto un sacco di airplay”. (Frank Zappa, Sounds, 28 gennaio 1978)

    Dopo il tour del 1975, gran parte dei membri della band decise di andare avanti per la propria strada e, così, Frank smise di usare il nome Mothers of Invention e continuò come Zappa a partire dall’album “Zoot Allures”.

  • Frank Zappa – Approximate, live 1972

    Frank Zappa – Approximate, live 1972

    Waka/Wazoo 1972

    Slide Guitar: Tony Duran
    Keyboards: Ian Underwood
    Trumpet: Sal Marquez
    Bass: Dave Parlato
    Drums: Jim Gordon
    Trumpet: Malcolm McNab
    Trombone: Tom Malone
    Trombone: Glenn Ferris
    Trombone: Ken Shroyer
    Trombone: Bruce Fowler
    Woodwinds: Earle Dumler
    Woodwinds: Mike Altschul
    Woodwinds: Jay Migliori
    Bassoon: JoAnn Caldwell
    Woodwinds: Ray Reed
    Woodwinds: Charles Owens
    Cello: Jerry Kessler
    Percussion: Ruth Underwood
    Percussion: Tom Raney

    “Si chiama “Approximate – annuncia Frank Zappa nel suo modo più pedagogico – perché mentre il ritmo è specificato, le note non lo sono. Sarà eseguito in tre sezioni. Il primo con gli strumenti, il secondo con la voce umana e il terzo con il piede umano”. (New Musical Express, 5 ottobre 1974)

    “In questa selezione, ogni musicista ha la possibilità di scegliere la tonalità in cui suonare. Ci sono solo poche battute in tutto il brano in cui viene indicata l’intonazione – e sono indicate come contrasto. Il resto dello spartito è pieno di terzine e ottave, collegate da piccole x, che per la loro posizione indicano il registro approssimativo dello strumento a cui si riferiscono. I musicisti devono attenersi agli schemi ritmici che organizzano i periodi tra due gruppi di x. Questo brano può essere eseguito da un numero qualsiasi di musicisti, da quattro in su. Il modello generale indica un’unica parte replicata per tutti gli strumenti in DO e FA (incluse le percussioni), che si intreccia con un’altra singola parte duplicata per tutti gli strumenti in Sib o Mib. Il basso e la batteria hanno voci separate, che combinano i ritmi delle altre due parti”. (1972)

  • Frank Zappa & MOI – We’re Only in It for the Money, Who Needs the Peace Corps?, 1968 uncensored

    Frank Zappa & MOI – We’re Only in It for the Money, Who Needs the Peace Corps?, 1968 uncensored

    “We’re Only in It for the Money”: la satira di Frank Zappa
    FAIR USE

    Con l’album “We’re Only In It For The Money” (pubblicato a marzo 1968) Frank Zappa fa una satira sul tradizionale stile di vita americano e sulla società degli Stati Uniti negli anni ‘60.
    La copertina (dove appare anche Jimi Hendrix) fa una parodia di “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band” dei Beatles sostituendo i fiori con le verdure.
    E’ il terzo album dei Mothers of Invention: venne ripubblicato dalla Rykodisc nel 1986 con nuove registrazioni per le percussioni. Le parti censurate sulla prima versione furono riammesse.
    Nel 2003, la rivista Rolling Stones ha inserito l’album alla posizione n. 296 nella lista dei migliori 500 dischi di sempre. Q magazine l’ha inserito nella lista dei Migliori Album psichedelici di tutti i tempi.
    L’album attacca lo stile di vita hippy. I testi delle canzoni parlano degli effetti della droga sui giovani, del perché la società induca i giovani alla droga per rimbecillirli e tenerli buoni e “sedati” in una beata incoscienza. Denuncia il fatto che il consumismo ha distrutto principi e valori della famiglia americana: la stessa protesta dei movimenti studenteschi diventa parte del sistema che vorrebbe rovesciare.
    Il disco non è costituito da vere e proprie canzoni ma, piuttosto, da brevi sketch sonori simili a jingle pubblicitari, seppure sofisticati dal punto di vista compositivo.
    Zappa improvvisò parecchie linee di dialogo parlando a ruota libera: contribuirono alle sessioni di registrazione altre persone tra cui Eric Clapton, Rod Stewart e Tim Buckley.
    L’album contiene brevi canzoni interrotte da segmenti parlati e brani di altra musica senza una logica apparente: in realtà, il tutto era stato attentamente studiato.
    Zappa spese 4.000 dollari (circa 28.000 dollari attuali) per realizzare la copertina il cui design originale è stato ideato da Cal Schenkel. E’ l’evidente parodia della copertina di Sgt, Pepper’s Lonely Heart Club Band dei Beatles, presi in giro con l’accusa di far parte della controcultura (flower power) “solo per i soldi”.
    Frank telefonò a Paul McCartney per chiedergli il permesso di parodiare la copertina: Paul rispose che per lui non c’erano problemi ma doveva rivolgersi all’ufficio gestioni manageriali dei Beatles presso la EMI.
    Zappa (lo raccontò anni dopo) ebbe la sensazione che McCartney non era entusiasta dell’idea e che avesse cercato di osteggiare il progetto ritardando l’uscita dell’album di qualche mese.
    La casa discografica di Zappa temeva problemi legali relativi al copyright della cover del Sgt. Pepper: decise che la foto venisse inserita all’interno del disco. Come copertina vera e propria fu utilizzata una foto dei membri della band su sfondo giallo.
    Nella versione originale del disco alcune parti di canzoni sono state modificate o cancellate in quanto ritenute offensive. Le parti censurate variano a seconda dell’edizione che si possiede. La Verve Records è la responsabile della serie di tagli.
    Fra le tracce censurate, ricordiamo:
    “Adoro quando la Polizia mi prende a calci in culo” (Who Needs the Peace Corps?);
    “Non venirmi dentro” (Harry You’re a Beast);
    “Non la darò più via per farti pubblicità” (Absolutely Free).
    La versione del 1986 reintrodusse queste parti censurate (Rykodisc Records).

    Tracce dell’album
    2. Are You Hung Up?
    3. Who Needs the Peace Corps?
    3. Concentration Moon
    4. Mom and Dad
    5. Telephone Conversation
    6. Bow Tie Daddy
    7. Harry, You’re a Beast
    8. What’s the Ugliest Part of Your Body?
    9. Absolutely Free
    10. Flower Punk
    11. Hot Poop
    12. Nasal Retentive Calliope Music
    13. Let’s Make the Water Turn Black
    14. The Idiot Bastard Son
    15. Lonely Little Girl
    16. Take Your Clothes Off When You Dance
    17. What’s the Ugliest Part of Your Body? (Reprise)
    18. Mother People
    19. The Chrome Plated Megaphone of Destiny

    “Who Needs The Peace Corps” racconta la voglia di abbandonare la società e diventare un “hippy” a San Francisco. Zappa ironizza sull’idea di una vita hippy fasulla, con il narratore che canta di voler comprare perline e una band di pelle, di prendere le piattole e di entrare in un gruppo rock and roll.
    In sostanza, la canzone è una celebrazione della libertà e dello stile di vita alternativo del movimento hippy, con il narratore che proclama “amerò tutti!”. Il cantante non si vergogna delle sue scelte anticonvenzionali, abbraccia l’idea che “ogni città deve avere un posto dove poter incontrare i falsi hippy”.

    Hai messo quella copertina per deridere i Beatles?
    Beh, non pensavo che la loro copertina ce l’avrebbe fatta. La nostra è superiore artisticamente.

    Però, non c’erano piante di marijuana sulla copertina.
    No, ma sulla loro non avevano angurie, quindi li abbiamo battuti con il simbolismo.
    (Ann Arbor Argus, 19 giugno 1969)

  • Frank Zappa – Hot Rats Sessions, il trattamento speciale di Hot Rats

    Frank Zappa – Hot Rats Sessions, il trattamento speciale di Hot Rats

    “Bognor Regis”

    In occasione dei 50 anni dall’uscita, Hot Rats riceve un trattamento speciale che a nessuna delle opere precedenti è toccata: una moltiplicazione per sei con la pubblicazione di (forse) tutti i nastri delle session in un lussuoso e costoso box, “The Hot Rats Sessions” che comprendeva anche un libro illustrato e un gioco da tavola (Zappa Land). (Musica Jazz, gennaio 2020)

    Le sessioni di Hot Rats
    Hot Rats è un buon esempio di come Zappa usasse lo studio come strumento. Le canzoni sono stratificate con sovraincisioni e le uniche due costanti nei titoli di coda dell’album sono Zappa e Ian Underwood. Queste non erano canzoni collaudate e nemmeno qualcosa che Zappa avrebbe generalmente suonato in concerto durante tutta la sua carriera.
    Le canzoni iniziano come schizzi e prove, ma lentamente, nel corso di alcune riprese, si uniscono e tutto risulta più spontaneo di quanto si possa immaginare.
    Zappa ha prenotato tre serate ai TTG Studios di Los Angeles e ha portato con sé alcuni turnisti. La sessione si apre con una versione libera di “Peaches”.
    Una buona parte di questo disco mostra come è nata “Peaches”. È stata registrata in due sezioni da un trio formato da Underwood, Shuggie Otis e Ron Selico e si può sentire la canzone evolversi in più di una dozzina di riprese mentre Zappa dà suggerimenti ricordando un regista sul set di un film.
    “Arabesque” è un tema più vecchio su cui Zappa ha lavorato fin dai primi anni ’60.
    Underwood, Max Bennett al basso e il batterista John Guerin affrontano “It Must Be A Camel”. Ancora una volta, si sente Zappa dirigere la band tra una ripresa e l’altra. Da lì si passa a “Natasha”.
    La traccia successiva è una delle sorprese di questa sessione. “Bognor Regis” era uno di quei brani di Zappa che i superfan hanno cercato di rintracciare per anni. Un tempo era previsto come lato B, ma non è mai stato pubblicato neanche come bootleg. Qui è presentato per intero. Un blues guidato dal pianoforte di Underwood e dal violino bruciante di Harris, è una jam in studio con alcune gustose esecuzioni di Harris e Zappa, che si costruiscono l’uno con l’altro.
    Il disco due si chiude con un passaggio a “Willie the Pimp”. Spogliata, è una canzone piuttosto semplice costruita attorno a un riff ripetitivo e altalenante di violino e chitarra. La band gira intorno a questo tema per qualche minuto prima che Zappa intervenga con un assolo esplosivo. Zappa suona una grossa chitarra ritmica.
    Il terzo disco si apre con diverse riprese di “Transition”, un blues lento, che Zappa pubblicò come “Twenty Small Cigars”. “Lil Clanton Shuffle” è un altro blues costruito attorno al violino di Harris.
    La cover di “Directly From My Heart to You è un oscuro lato di Little Richard. Zappa ha richiamato alcuni dei Mothers per questo disco: il tastierista Don Preston, il bassista Roy Estrada e il batterista Jimmy Carl Black.
    “Another Waltz” è un interessante estratto delle sessions. Sembra una jam in studio – a volte ricorda “King Kong”.
    Il quarto disco include “Son of Mr Green Genes”, una versione accelerata di una vecchia canzone dei Mothers e “Big Legs”, una lunga jam in studio che Zappa avrebbe modificato e ribattezzato “The Gumbo Variations”.
    “Piano Music” del primo disco riappare qui con sovraincisioni di Zappa e Underwood.

    Quando Hot Rats uscì nell’ottobre del 1969, mostrò un nuovo lato della musica di Zappa. Non si trattava di prendere in giro le tendenze o di mescolare i generi in un frullatore. Mette in risalto le sue composizioni e la sua abilità sia nello scrivere canzoni memorabili che come guitar hero. I lunghi assoli di chitarra lo hanno visto emergere come qualcosa di più del semplice leader trasandato dei Mothers of Invention, mentre i musicisti di cui si circondava – dai turnisti ai pesi massimi come Jean-Luc Ponty – sottolineavano le sue ambizioni di musicista.
    Ma se paragonato al materiale contenuto in questa scatola, mostra anche Zappa come produttore. Si avvicinava alle canzoni come un pittore, lavorando prima sui contorni e poi usando le sovraincisioni per riempire gli spazi e aggiungere colore. Allo stesso tempo, il modo in cui girava il nastro e cercava di catturare momenti di spontaneità è quasi un approccio da regista: prendeva lunghe jam e passaggi strumentali e poi li montava e li riorganizzava strettamente in un pezzo. “Big Legs” è passato da 32 minuti larghi a 17 stretti; “Clanton” da oltre 12 minuti fino a circa cinque.
    In un certo senso, Zappa era più creativo alla fine degli anni ’60 di quanto lo sarebbe mai stato in seguito. Aveva molto da dimostrare con questo disco e, pur avendo a disposizione pochi giorni per realizzarlo, il mix di canzoni forti, musicalità rigorosa e attenta post produzione ha dato vita a uno dei suoi dischi migliori e più accessibili.
    (estratto da un lungo articolo pubblicato su Aquarium Drunkard, 7 febbraio 2023)

  • Frank Zappa – Hot Rats (seconda parte)

    Frank Zappa – Hot Rats (seconda parte)

    “The Gumbo Variations”

    Con Hot Rats Zappa prende le distanze dall’immagine di freak anarchico e iconoclasta degli esordi e nel contempo si affranca dalla sperimentazione orchestrale esaltata in Lumpy Gravy del 1968 dirigendosi verso nuovi territori.
    La svolta coincide con il momentaneo pensionamento dei Mothers Of Invention, qui presenti solo con il poliedrico tastierista/fiatista Ian Underwood. Pur se privato della voce – a parte Willie The Pimp, cantata con sublime sguaiatezza da Captain Beefheart – il dissacrante spirito zappiano non manca di esprimersi a partire dai tre minuti della esuberante Peaches En Regalia, sintesi mirabile di folk, country, polka, jazz, musical e quant’altro.
    Se Willie The Pimp si evolve in 9 minuti di debordanti assoli di chitarra, con intuizioni ribadite nelle complesse partiture di Son Of Mr. Green Genes e nella jam The Gumbo Variations (in compagnia del violino di Don “Sugarcane” Harris), le più tenui There Must Be A Camel (sempre con il violino di Jean Luc Ponty) e Little Umbrellas parlano un linguaggio più sofisticato, in cui i colori tenui hanno la meglio sui chiaroscuri.
    Tutti i brani sono comunque figli della stessa idea, quella di una musica contaminata che rende inadeguata l’etichetta di jazz-rock spesso tirata in ballo per definirla.
    (Mucchio Extra 2002, intervista pubblicata su Bizarre del 1969)

    Hot Rats era per molti versi un disco differente dai precedenti: essenzialmente strumentale, caratterizzato da una rigorosissima scelta dei musicisti. Ampio spazio veniva lasciato a Ian Underwood, unico superstite della vecchia band, attivo al piano, alle tastiere ed a tutti i fiati. Alla sezione ritmica apparivano addirittura tre batteristi in alternanza, più il basso di Max Bennett e l’aggiunta curiosa del ‘percussionista’ Zappa, tornato dopo molto tempo al suo primo strumento di gioventù. La sonorità complessiva venne poi caratterizzata dai violini di Sugarcane Harris e del 28enne francese Jean-Luc Ponty.
    (Mangiare Musica giugno 1994)

    C’è una buona ragione per cui non sentirai mai una cover band provare Hot Rats di Frank Zappa. È impossibile, ineseguibile, insondabile. Anche mettendo da parte il virtuosismo chitarristico sinistro dell’icona dell’art-rock, l’album del 1969 è un arazzo di sovraincisioni e manipolazione del nastro, una rete di sotterfugi sonori e manovre uniche con “strumenti” improvvisati che includono un pettine di plastica e una chiave inglese.
    Nemmeno lo stesso Zappa è riuscito a ricreare queste tracce sul palco.
    (Guitarist, dicembre 2019)

    “Hot Rats” fu un bell’esempio di musica orchestrale americana moderna, che dimostrò quanto sia avanzata la scrittura di Frank Zappa e quanto abili siano le Madri nell’interpretare le sue partiture.
    Le Madri hanno quell’equilibrio interiore e quella consapevolezza della dinamica tipici delle migliori orchestre jazz o sinfoniche.

    “Hot Rats” rappresenta l’”album per chitarra” di Zappa, un tecnico della chitarra in grado di tessere immagini perfette che richiedono tempismo e controllo precisi. “Hot Rats” (in particolare, il brano “Gumbo Variations”), lo dimostrano in pieno.

    Sull’album Hot Rats
    “Ne fummo profondamente impressionati perché era il primo lavoro di Zappa che poteva essere comparato ad altra musica rock. Quello che aveva fatto prima era stato così radicale e in anticipo su tutto il resto che spesso i suoi meriti non vennero riconosciuti come tali neanche nell’ambiente strettamente musicale” (Fred Frith).

  • Frank Zappa – Hot Rats (prima parte)

    Frank Zappa – Hot Rats (prima parte)

    “Willie the Pimp”

    “L’idea del titolo dell’album Hot Rats mi venne in mente perché in Europa avevo comprato un disco dove c’era The Shadow of Your Smile con il sax di Archie Shepp. Lui prendeva l’assolo che mi diede subito l’impressione di un esercito di topi surriscaldati che uscivano squittendo dal suo strumento. Il suono era quello. Quando uscì, credo fosse il disco più sovrainciso della storia. Forse solo Les Paul aveva fatto qualcosa di simile ai suoi tempi” (Frank Zappa).

    (Ipnotico nella sua assoluta precisione)
    In “Hot Rats”, per la prima volta, Zappa è ampiamente presente come solista ed ottiene un riconoscimento come musicista “distinto da un compositore”. Tuttavia, la base del suo stile è rimasta inalterata per gran parte della sua carriera e ha molto in comune con il modo in cui scrive.
    Ad esempio, una delle caratteristiche di un brano di Zappa è la sua divisione matematica del ritmo: note legate, terzine giustapposte a semicrome, frasi ripetute come un ritmo incrociato ecc. “Uncle Meat Variations” è uno degli esempi migliori.
    Questo tipo di chiarezza ritmica si nota anche nei suoi assoli. La raccolta è veloce e precisa, le sollecitazioni e le divisioni pulite; soprattutto il suo modo di suonare dipende dalla simmetria. Zappa usa le battute come frasi equilibrate, ponendo una domanda e poi rispondendo o basandosi su un’idea suonandola in modo leggermente diverso più volte di seguito.
    È uno stile stranamente formale, pieno di schemi ed elaborazioni, basato sul blues ma intervallato da scale, semplici melodie ripetute e dai suoi accordi preferiti di nona e undicesima. Sebbene non sia caldo o “sentito” in senso blues, può essere ipnotico nella sua assoluta precisione.
    I suoi assoli sono immagini sonore in cui gli elementi separati creano qualcosa di nuovo.
    L’uso seminale della ripetizione nella musica moderna ha avuto molti sbocchi nel rock. L’idea mantrica è ‘ripeti qualcosa abbastanza spesso e diventa interessante’. Zappa, in questo senso, risulta essere uno dei primi a usare una nota, un ritmo per sostenere altri eventi musicali; “King Kong” è un altro esempio successivo.
    (New Musical Express, 16 novembre 1974)

    I musicisti in studio sono stati diretti da Johnny Otis (del Johnny Otis Show).
    Frank batteva i piedi e annuiva nella cabina di controllo attraverso ogni numero. Poi, quando le luci rosse si spegnevano, annunciava: ‘Non male’. Nella sua testa poteva sentire la versione perfetta dicendo a Ian Underwood: “Suona di fronte al muro e microfoneremo il suono mentre rimbalza dietro la tua spalla”. Ecco come hanno ottenuto quel suono davvero untuoso.
    Poi, Frank interrompeva di nuovo Ian nel bel mezzo di un assolo con una revisione di diverse righe di note. Frank non si prenderebbe la briga di scriverle, basta dire fuori di testa e Ian se le ricorda perfettamente. Beefheart insegue lo studio in attesa di cantare “Willie the Pimp” dichiarando Frank un genio.
    (IT, 28 gennaio 1970)

    Hot Rats era jazz alla portata di tutti e, allo stesso tempo, un rock per le masse che ti faceva sentire sofisticato, una spanna al di sopra degli altri dischi di successo di quell’anno (Led Zeppelin, Allman Brothers, Santana, Stooges e Mott The Hoople). Fu un successo negli USA: in Europa arrivò addirittura nella Top Ten. In più, cambiò del tutto l’immagine di Frank.
    (Classic Rock, luglio 2015)