Frank Zappa's mustache - Music is the Best

Tag: Frank Zappa

  • Frank Zappa e Johnny “Guitar” Watson

    Frank Zappa e Johnny “Guitar” Watson

    Frank Zappa – “I don’t even care” con Johnny Guitar Watson

    Hai citato spesso Johnny Guitar Watson come una delle tue prime influenze chitarristiche…
    “Lo ascoltavo sempre e ascoltavo Clarence ‘Gatemouth’ Brown”.
    Cosa hai imparato dai dischi di Johnny Guitar Watson? L’approccio pentatonico?
    “Ciò che stava facendo Watson non si limitava ad una scala pentatonica. Una delle cose che ammiravo di lui era il suo tono, quel tono secco, un po’ sgradevole, aggressivo e penetrante. Le cose che suonava spesso uscivano come esplosioni ritmiche sul ritmo costante dell’accompagnamento”.
    È qualcosa che hai cercato di incorporare nel tuo modo di suonare?
    “Sì. Mi sembrava fosse il modo corretto di affrontarlo perché era come parlare o cantare in sottofondo. C’era un’influenza vocale sul ritmo”. (Guitarist, giugno 1993)

    “Ciò che ho preso da Johnny ‘Guitar’ Watson ed altri chitarristi che mi hanno influenzato non è il loro suono, ma il loro atteggiamento. Stilisticamente, credo di essere più vicino a Guitar Slim più di chiunque altro. Ci sono un paio di assoli che ha suonato che pensavo fossero punti di riferimento, ma sono molto oscuri.
    Watson è il chitarrista minimalista per eccellenza. L’assolo di “Lonely Nights”, l’assolo di chitarra di una sola nota dice tutto. Ricordo che i chitarristi al liceo imparavano quell’assolo e si chiedevano: “Ma come può farlo suonare in quel modo?” Era davvero una nota. Se riesci a suonare quella nota contro quei cambi di accordo e ottenere lo stesso impatto emotivo che ha ottenuto lui suonando quella nota, allora hai capito qualcosa. Cosa c’è dietro quella nota? Qual è la modalità? Perché continua a suonare la tonica quando arriva l’accordo dominante? Devi imparare a farlo.
    Johnny “Guitar Watson” era un chitarrista dal suono estremamente malvagio all’epoca, ma il più oscuro che ho sentito è stato Guitar Slim (Eddie Jones)… pura oscenità. La cosa che mi è piaciuta dei due assoli che ho sentito quando avevo 16 anni e che mi ha davvero incuriosito – l’assolo su “Three Hours Past Midnight” e su “The Story Of My Life” – non era solo il tono dello strumento ma il modo assolutamente maniacale con cui emetteva queste note in una frase con poco o nessun riguardo per il resto del metro, pur essendo consapevole di dove fosse il ritmo. ” (Guitar World, aprile 1987)

    Johny Guitar Watson è il vocalist di tre brani di FZ:
    – In France
    – I don’t even care
    – Brown Moses

    “Il mio chitarrista preferito in origine era Johnny ‘Guitar’ Watson, non da un punto di vista tecnico ma di ascolto, per ciò che significavano le sue note nel contesto in cui venivano suonate” (Frank Zappa)

    Ho sentito dire che sei molto influenzato da Johnny “Guitar” Watson, vero?
    “Sì. In realtà è un mio amico. Ho avuto modo di conoscerlo da quando ha registrato uno dei nostri album circa dieci anni fa e, nell’ultimo anno, è stato nel mio studio e ha registrato molte altre cose con noi. Johnny canta nel brano “In France”, nel nostro nuovo album “Them or Us’”. (Express, marzo 1985)

    Sei sempre stato un grande fan del blues e dell’R&B, ma non trovo tracce di quel tipo di musica nelle tue composizioni.
    “Beh, se ti piace qualcosa non significa che devi imitarla”.
    Ma sembra che tu ne sia stato davvero assorbito.
    “Sì, lo capisco, so come funziona, ma è come per le persone negli anni ’50 a cui piaceva Chuck Berry e hanno dedicato la loro vita ad imparare a suonare i suoi assoli di chitarra. Non potevo suonare nessuno degli assoli di chitarra di Guitar Slim, di Johnny Guitar Watson o di Clarence Gatemouth Brown, anche se mi piacevano tutti. Penso di essere stato influenzato da loro nel senso che ho compreso il loro approccio melodico, ho capito cosa dovevo fare con quelle note in quella situazione”. (Musician, agosto 1979)

    “Per me non c’era differenza…quello che sentivo nel rhythm and blues trascendeva quello che esprimevano le note e il tema della performance. Sentivo la stessa cosa con Varèse. C’era qualcosa nella musica che era a parte, al di sopra e al di là dei punti reali scritti sulla pagina. Era l’atteggiamento. Per me, era come se la linea melodica di Octandre fosse nella stessa vena dell’assolo di chitarra di Johnny Guitar Watson in “Three Hours Past Midnight”. Entrambi avevano un atteggiamento aggressivo”. (M.I., novembre 1979)

    “Quando parlava dei chitarristi degli anni Cinquanta che gli piacevano così tanto, come Johnny Guitar Watson o Guitar Slim, diceva che potevano essere più sporchi con una sola nota di chitarra di chiunque altro con tutti i testi osceni che mettevano su un disco. Quello era il suo modello. Nei suoi assoli cercava di racchiudere tutto, dalle melodie più sublimi ai suoni più acidi, ed erano sempre un’avventura improvvisata che sapeva dove iniziava ma non dove sarebbe finita”. (intervista a Román García Albertos, autore del libro “Frank Zappa (1940-1993)

  • Frank Zappa e l’Occulto – prima parte

    Frank Zappa e l’Occulto – prima parte

    Invocation and Ritual Dance of the Young Pumpkin, The Grand Wazoo

    Testi raccolti dal gruppo Facebook What’s Zappa

    “Sono l’avvocato del diavolo. Noi abbiamo le nostre adoratrici che vengono chiamate groupies. Ragazze che offrono i loro corpi alle rockstar come si offrirebbe un sacrificio a un dio”. (Frank Zappa)

    “Ero convinto che lo sviluppo di Frank fosse entrato in un’altra orbita, che fosse finito in una zona crepuscolare… Si interessò anche a questioni strane come l’occulto e la magia. Disegnava mostri e creature aliene a matita e carboncino ed ha perfino scritto alcune storie su queste creature. Per anni, né io né lui abbiamo frequentato la chiesa. Mi chiedevo dove fossero diretti questi bizzarri interessi di Frank. Un giorno, mi disse che avrebbe cercato di trovare una copia di un libro chiamato “Il manuale del negromante”, un libro su ‘come fare’ magia nera ed incantesimi risalente al Medioevo. Riportava casi giudiziari di persone accusate di aver praticato la magia e conteneva anche istruzioni su come ideare ed utilizzare incantesimi. Frank diceva che la negromanzia era la forma più estrema di pratica magica e prevedeva l’evocazione di demoni. Voleva sperimentare se era davvero possibile evocare un demone ed impartirgli ordini. Non ha mai trovato una copia di quel manuale, ma non so quanto sia andato oltre negli anni seguenti. Una volta, in tono criptico, ha detto “Ho fatto un patto con il diavolo”. Forse, è per questo che ha avuto tanta sfortuna a Londra e a Montreux e a livello di salute” (“Frankie and Bobby: Growing Up Zappa” di Charles Robert Zappa, fratello minore di Frank).

    Diedi la colpa al libro di Aleister Crowley che avevano comprato da poco. Gail aveva cominciato ad usare parole come occulto, misticismo e alchemico. “La tensione tra maschio e femmina – affermava Crowley – è fondamentale per l’esistenza e per la magia sessuale”. Considerava la donna sottomessa all’uomo, un ruolo che Gail accettava con gioia, con il pieno consenso di Frank. Potevo vagamente capire l’interesse di Gail in Crowley, ma non quello di Frank, un uomo che trasudava razionalità. Eppure Frank conservò sempre una grande curiosità per l’occulto. Molti anni dopo, mi spiegò la sua posizione. Mi raccontò della più giovane delle sue figlie, Diva. “E’ molto particolare, penso che abbia poteri psichici…” (“Freak out! La mia vita con Frank Zappa” di Pauline Butcher)

    “Era molto bravo a valutare le persone, incredibilmente bravo con la psicologia, mi ha semplicemente fissato con questo sguardo incrollabile… quello sguardo… una specie di spirale… era la prima volta che incrociavo l’occhio di un mago. Era decisamente in grado di manipolare i livelli della realtà. Era davvero bravo in questo… Era davvero mistico…” (Nigey Lennon nel dialogo con Bob Dobbs del 1995)

    “Frank mi strinse la mano. Al contatto fisico percepii qualcosa… Era la sua energia, le sue vibrazioni, la sua incredibile presenza. Anni dopo, lessi in un’intervista su Playboy di come Marlon Brando dominasse lo spazio fisico dove si trovava, piuttosto che occuparlo come succede alle altre persone. Era così anche con Frank” (Massimo Bassoli, Prog Italia luglio 2017).

    E’ stata venduta all’asta una giacca di Frank Zappa con una spilla massonica (4 diamanti). Si tratta di una giacca Kenzo in tweed di lana dai toni autunnali: Zappa l’ha indossata all’11° edizione degli American Music Awards 1984 ed a New York in compagnia di sua moglie Gail.
    Interessante questo stralcio del testo di “The Grand Wazoo”:
    “Potresti pensare che il mio cappello sia divertente, ma io non lo sono, io sono il Gran Wazoo custode della pergamena mistica e del rotolo di pergamena della loggia. Sono un veterano. Ogni giorno, durante la pausa caffè al negozio di ferramenta, dico a Fred cosa aspettarsi perché facciamo scherzi durante… l’iniziazione. Sono il Grand Wazoo, dal negozio di ferramenta. Fottiti se non ti piace il mio cappello…”.
    Concentriamoci sul significato originario della massoneria nata in Inghilterra nel sec. XVIII e di ispirazione illuministica: lotta all’ignoranza, liberazione da ogni pregiudizio e fanatismo religioso, aspirazione alla fratellanza universale. Beh, il concetto non è lontano da ciò in cui credeva Frank.
    Occultismo, massoneria, è voglia di scavare, è ricerca della verità e ribellione ai dogmi imposti. Cogli la mela dall’Albero della Conoscenza…

  • Frank Zappa – Outrage at Valdez

    Frank Zappa – Outrage at Valdez

    Colonna sonora di Frank Zappa per il documentario della Cousteau Society sulla fuoriuscita di petrolio della nave cisterna Exxon Valdez in Alaska – 1990

    “Ho appena finito di registrare la musica per un nuovo documentario televisivo di J.-Y. Cousteau. Questo è un film ambientale sui pozzi petroliferi e sulla raffinazione del petrolio nella regione di Valdez, in Alaska”. (Frank Zappa, WM – World of Music n. 1/1990 – rivista russa)

    “Outrage at Valdez è un brano di The Yellow Shark che ho originariamente composto per un documentario della Cousteau Society: trattava del disastro della petroliera a Valdez/Alaska. Nel documentario della Cousteau Society sono stati utilizzati solo 90 secondi, mentre l’intero pezzo dura 7 minuti”. (Oor, 5 settembre 1992)

    “La Fondazione Cousteau ha commissionato un’opera per illustrare un documentario sul disastro ecologico della Exxon Valdez, petroliera statunitense. Il 24 marzo 1989, una nave cisterna si è incagliata sulla costa dell’Alaska, vicino ad Anchorage, causando una terribile fuoriuscita di petrolio. Le indagini stanno ancora cercando di determinare la responsabilità del capitano, mentre i danni alla fauna e alla flora sono notevoli” (Frank Zappa).
    Frank espresse il suo disgusto e Jacques-Yves Cousteau pensò a lui per creare una musica adatta al dramma. L’opinione pubblica fu profondamente colpita da questa vicenda. Ha portato alla revisione legislativa del Codice del trasporto marittimo. La Exxon Valdez deviò dalla sua rotta per guadagnare tempo, anche se si sapeva che il capitano era ubriaco fradicio. Frank aveva un grande rispetto per il lavoro di sensibilizzazione svolto dalla Fondazione Cousteau. Per questo motivo accettò questo ordine urgente.

    L’incidente provocò un danno enorme sia a livello economico che a livello ambientale: furono contaminati 1900 chilometri di costa quasi vergine. A seguito dell’incidente, circa 20 specie di pesci hanno riportato danni a livello genetico, deformità fisiche e ridotti tassi riproduttivi e di crescita con gravi ripercussioni sulla pesca locale. In seguito a questo evento drammatico, nel 1990 è stato redatto l’Oil Pollution Act, un accordo tra varie nazioni che prevede di attuare misure di prevenzione per ridurre gli incidenti da petrolio. È stato anche istituito un fondo fiduciario, l’Oil Spill Liability Trust Fund, usufruibile da varie nazioni per supportare i costi della rimozione dell’inquinante in caso di incidente.

  • Frank Zappa e Steve Vai – terza parte

    Frank Zappa e Steve Vai – terza parte

    Sinister Footwear, Palladium, NYC, 31 ottobre 1981
    Estratti da interviste raccolti dal gruppo Facebook What’s Zappa

    Steve Vai aveva 18 anni quando ha iniziato a lavorare con Frank Zappa come suo trascrittore. Nel 1980, all’età di 20 anni, si è unito alla band itinerante di Zappa fino al 1983.
    Durante quei 3 anni, Steve è stato accreditato in sette album di Zappa.
    Lavorare nella band di Frank Zappa ha messo a dura prova Steve Vai a livello psicofisico: ha vissuto un totale esaurimento.
    La sua emotività è arrivata al culmine quando era in tour con Frank a Montreal nel 1980: ha avuto un esaurimento nervoso, ha sofferto di attacchi d’ansia per un anno e mezzo.
    Era panico, era sopraffatto dalla paura, non sapeva cosa fosse, non si drogava, aveva paura di impazzire.
    “Amo la musica, amo l’idea di suonare e tutto il resto, ma avevo l’impressione che se fossi diventato famoso sarei diventato pazzo” racconta Vai.
    Steve ha rivelato che le sue costanti lotte con la salute mentale “mi hanno spinto a trovare da solo le risposte” attraverso la spiritualità, che gli ha permesso di vincere i suoi demoni. (Faroutmagazine)

    “Prima che Frank morisse, stava mettendo insieme questo progetto che provvisoriamente sarebbe stato composto da me, dal batterista Terry Bozzio e dal bassista Scott Thunes insieme all’Ensemble Moderne. Stavamo per mettere insieme un programma di tutta la sua musica più complessa. Frank entusiasta disse: “Sai, posso suonare queste cose molto meglio di quanto avrei mai potuto fare prima”. Ho messo insieme tutti gli spartiti e li ho portati con me nel mio tour di Sex and Religion. Sfortunatamente, la sua salute è peggiorata molto rapidamente”. (Steve Vai, Guitar World, febbraio 1999)

    “Lavorando con Frank Zappa mi sono reso conto che se vuoi qualcosa, puoi semplicemente costruirlo. Oppure, se vuoi cambiare qualcosa, devi solo cambiarlo. Era un po’ sacrilego alterare le chitarre. Ad esempio, se avevi una Les Paul o una Stratocaster, non ci fai buchi. Ma Frank l’ha fatto. Quindi ho pensato, beh…”.
    “Certi aspetti delle chitarre convenzionali mi piacevano ma c’erano dei limiti. Mi piacevano le Stratocaster ma non ero pazzo del suono, e i pickup single coil non erano rock and roll per me. Non mi piaceva che avessero solo 21 tasti.”
    “Adoravo le Les Paul, ma non avevano le sbarre.”
    “Ho deciso di andare in un piccolo negozio di strumenti musicali e progettare una chitarra per me. Volevo 24 tasti su un corpo in stile Stratocaster”.
    “La configurazione del pickup era unica perché divideva le bobine in determinate posizioni. Aveva un tremolo fluttuante… Volevo essere in grado di tirare su il whammy bar. Mi sono reso conto che c’era solo del legno in mezzo, quindi l’ho tagliato. Quello è stato come il primo ponte galleggiante”.
    “La JEM era un’intera ricostruzione…”. (Steve Vai, Ultimate Guitar)

    “Ho ricevuto una cassetta da un ragazzo – credo che abbia diciotto anni – di nome Steve Vai. Suona la Stratocaster e andrà al Berklee [College of Music di Boston]. Mi ha inviato una cassetta ed è stato fantastico; questo ragazzo ha delle doti incredibili. Voleva suonare “Black Page Number One” (Zappa a New York) alla chitarra e mi ha chiesto la musica. Così gliel’ho inviata e lui mi ha mandato una cassetta di due versioni – una al metronomo 58 e un’altra al metronomo 84. Voglio dire, considera che è già un problema eseguirlo a 58. È un tempo lento del metronomo, ma è comunque veloce quando arrivi alle parti veloci. L’ha fatto andare così in fretta che si riusciva a malapena a distinguere quale fosse la melodia. Steve Vai mi ha inviato anche una cassetta con alcune composizioni originali molto belle..”. (Frank Zappa, M.I., novembre 1979)

    IL TUO SUONO E’ NELLA TESTA, NON NEGLI AMPLIFICATORI
    “Dopo il primo spettacolo con Frank, l’ho incontrato al mattino nel ristorante dell’hotel mentre faceva colazione e gli ho chiesto: ‘Allora, come sono andato?’. Lui mi ha risposto: ‘Sai, Steve, penso che tu sia davvero un bravo musicista, ma il tuo tono suona come un panino al prosciutto elettrico. Frank raramente entrava nei dettagli ma esprimeva concetti inequivocabili. Mi ha detto ‘Il suono non è negli amplificatori, è nella tua testa.’ All’inizio, non capivo cosa intendesse dire, pensavo che quella frase avesse un significato esoterico ma più tardi ho capito. Sì, il suono è nella testa e in nessun altro posto. Nella testa suonerà come ti aspetti che suoni. E’ un po’ difficile da spiegare… Una volta captato il tuo suono nella testa, potrai manipolarlo a tuo piacimento”.
    (Steve Vai)

    “Frank aveva la straordinaria capacità di dire cose che avevano il perfetto equilibrio tra franchezza, verità, cinismo e commedia, il tutto in una frase concisa”. (Steve Vai, Guitar World, febbraio 1999)

  • Frank Zappa e Steve Vai – seconda parte

    Frank Zappa e Steve Vai – seconda parte

    Black Napkins – Palladium New York, 1981
    Estratti da interviste raccolti dal gruppo Facebook What’s Zappa

    “Per spiegare la sua musica alla band, Frank usava ogni metodo immaginabile: usava grafici, nastri e a volte se ne stava semplicemente lì e creava, il che era sempre il metodo più divertente. Frank era un compositore con una conoscenza totale e completa della nota scritta, quindi gli schemi potevano essere molto dettagliati e specifici. A volte usava la chitarra come strumento per comporre, ma di solito, quando lo faceva, aveva la band intorno a sé e usava la chitarra per mostrare alle persone quali note o accordi suonare sui loro strumenti”.
    “Frank usava la chitarra come strumento di arrangiamento ma, quando componeva la sua musica orchestrale, di solito si sedeva al pianoforte e suonava. In una delle prime conversazioni che abbia mai avuto con lui, gli ho chiesto come ha imparato ciò che sapeva sulla musica. Mi ha detto di comprare un libro chiamato Music Notation di Garnder. ‘Leggi e studialo’. Disse anche che avrei dovuto imparare a suonare il piano se volevo diventare un compositore. Al piano Frank era più un compositore che un esecutore, come lo sono praticamente tutti i compositori. Non suonava davvero il piano, di per sé, lo usava come strumento compositivo. L’ho visto comporre brani orchestrali mentre era seduto in un aeroporto o mentre volava su un aereo. Si sedeva con carta da musica bianca e scriveva musica tutto il tempo. Nel 1981, durante il tour americano, ogni minuto dietro le quinte in cui vedevi Frank, scriveva musica su carta. Era davvero molto riservato riguardo alle sue composizioni. Non che stesse cercando di nascondere qualcosa, ma per qualcuno chiedere di guardare qualcosa era come chiedere: “Posso leggere il tuo diario?”. Una volta sono venuto da lui e gli ho chiesto cosa stesse facendo, e lui ha detto: “Niente”. Mi sono seduto e sono rimasto zitto, poi mi ha detto: “Vieni qui. Queste sono ‘densità’ ” e mi ha mostrato queste enormi e strane strutture di accordi, accordi di otto e dieci note senza note ripetute. Non aveva mai parlato prima di come creasse musica o delle tecniche che usava. Iniziò a spiegarmi cosa stava facendo. Per quanto riguarda la dissonanza e la scala temperata, se inizi ad impilare grandi gruppi di note non correlate, puoi ottenere alcuni accordi dal suono orribile o alcune perversioni di accordi esotiche e dissonanti. Mi ha mostrato alcune delle diverse scale che stava utilizzando e le melodie: disse che, una volta tornato a casa, avrebbe digitato questi accordi nel Synclavier. Per un secondo, mi ha permesso di sbirciare nel suo mondo”.
    “Frank non era un lettore a prima vista. Essere un compositore, un lettore di musica o un lettore a prima vista sono abilità completamente diverse. Frank sapeva esattamente come sarebbe stata suonata la sua musica mentre la scriveva. Le sue capacità compositive erano estremamente evolute”.
    (Steve Vai, Guitar World, febbraio 1999)

    “Frank scriveva musica per me da suonare che non aveva niente a che fare con la chitarra” ha detto Steve Vai riferendosi ai suoi anni come “chitarrista stunt” di Zappa.
    Saltando da collage sonori di ispirazione classica ad estese improvvisazioni jazz-fusion, questa era una band che viveva senza regole, guidata da un compositore e musicista che suonava senza limiti.
    (Total Guitar, winter 2013)

    “One Size Fits All è stato un altro cambio di paradigma per me. Inca Roads era semplicemente il pezzo di paradiso più favoloso che avessi mai sentito, aveva tutto ciò che stavo cercando nella musica.
    L’assolo di chitarra è uno dei più grandi assoli di chitarra mai suonati. Suonare con Frank era molto più di una fantasia per me. Quando avevo 16 anni mi sono imbattuto per caso nel suo numero di telefono e ho iniziato a chiamarlo … avevo 18 anni quando finalmente mi ha risposto al telefono. Per mia fortuna era di buon umore. Ha un catalogo così vasto ed è pieno di musica geniale: ogni volta che ha pubblicato un nuovo disco, è entrato a far parte del mio DNA musicale”. (Steve Vai, Planet Rock, ottobre 2019)

    “Steve Vai è un vero mago della Stratocaster e suona tutti quei rumori armonici, alcuni non sono mai intonati” (Frank Zappa, Record Review, giugno 1982).

    Il suono aggressivo, appariscente, ringhiante, fallico dei gruppi heavy metal degli anni Settanta e Ottanta non faceva per Zappa che, tra l’altro, detestava l’idea di impressionare il suo pubblico con la velocità. L’unico della sua band a cui concesse questa possibilità fu Steve Vai. (neuguitars.com, 4 dicembre 2017)

    (continua nella terza parte)

  • Frank Zappa e Steve Vai – prima parte

    Frank Zappa e Steve Vai – prima parte

    Stevie’s spanking – Roma – 1982
    Estratti da interviste raccolti dal gruppo Facebook What’s Zappa

    “Le mie conclusioni sulla genialità di Frank le ho tratte dall’osservazione delle sue attività. Non ho mai visto una persona così dedita all’esecuzione delle sue idee. L’autodisciplina non è uno sforzo consapevole per Frank. C’è solo lavoro e per lui non è difficile, è divertente. Ha preteso molto dai membri della sua band, ma solo un quinto di quello che chiedeva a se stesso. Per me è sempre stata evidente una forte integrità in tutto ciò che faceva ed è anche molto divertente. Sono le caratteristiche che mi hanno ispirato ma non sono queste le caratteristiche legate necessariamente alla genialità.
    Innovatività e originalità sono il risultato di una concentrazione incrollabile. Questo tipo di concentrazione è un dono, ma può anche essere sviluppato.
    Guardare Zappa mentre lavora è stimolante. La sua mente è completamente concentrata su ciò che sta facendo, senza distrazioni (dalle conversazioni alla lettura di un giornale o alla creazione di un fantastico pezzo orchestrale). Ogni evento per lui è come una meditazione. Ho imparato che il potere della concentrazione altamente sviluppato è ciò che costituisce il genio”.
    (Steve Vai, Guitar For The Practicing Musician, maggio 1986)

    Come hai avuto l’opportunità di suonare con Frank?
    Mentre ero alla Berklee, la cosa importante a scuola era: chi può suonare “The Black Page” di Zappa? Un paio di anni prima, quando avevo 15 anni, avevo avuto il numero di telefono di Frank da un mio amico e chiamavo Frank una volta all’anno – non volevo esagerare – ma non riuscivo mai a contattarlo. Un giorno l’ho chiamato da Berklee e lui ha risposto al telefono! Sapevo che stava cercando alcune delle partiture di Edgar Varése difficili da trovare. La biblioteca pubblica di Boston li aveva, quindi ho detto che li avrei fotocopiati e glieli avrei inviati. Gli ho anche detto che suonavo la chitarra e lui ha detto di mandargli una cassetta. Il pensiero di mandargli una cassetta sembrava folle, perché sentivo che non avrei mai avuto la possibilità di suonare con lui, sembrava completamente fuori dalla mia portata. Ma gli ho mandato una cassetta e gli è piaciuta molto! Ho anche inviato la mia trascrizione di “The Black Page” e le partiture di Varése, e lui mi ha rispedito una copia del suo grafico per “The Black Page”, oltre a questa enorme colonna sonora per un suo pezzo intitolato “Mo and Herb’s Vacation che alla fine si trasformò in “The Second Movement of the Theme from Sinister Footwear”. Non potevo crederci: ricevo un pacco pieno di tutta questa roba da Frank, inclusa una nota scritta a mano che diceva: “Mandami una registrazione di te che suoni ‘The Black Page’ il più velocemente possibile”.
    (Steve Vai, Guitar World, febbraio 1999)

    “Amo Frank e mi manca ogni giorno” (Steve Vai).

    “Steve Vai ha molti grandi attributi, ma suonare la chitarra ritmica non è uno di questi. È davvero un virtuoso. La sua principale funzione nella band è suonare le battute scritte in modo duro, roba davvero complicata che è al di là delle mie capacità. È fantastico, ma non mi sento molto a mio agio con lui quanto esegue il ritmo perché, nonostante le sue migliori intenzioni, a volte tira fuori cose che potrebbero portarmi nella direzione sbagliata. Ma è un grande chitarrista” (Frank Zappa, Down Beat, febbraio 1983)

    Steve Vai usa il modello del linguaggio parlato come fonte per i suoi fraseggi. ‘Andy’ ha quella dinamica.
    “La gente non parla con un ritmo regolare. Nelle conversazioni ci sono pause, inflessioni, diversi tipi di accelerazioni e ritardi, quindi perché non si potrebbe suonare allo stesso modo? Se fai un assolo, in un certo senso ‘parli’ al pubblico, giusto? Dovresti, a meno che tu non sia uno dei Milli Vanilli”.
    (Steve Vai, Chitarre n. 73, aprile 1992)

    Steve Vai ha dovuto imparare canzoni nel sonno a causa del programma estenuante di Frank Zappa: “È stato un ottimo allenamento, ma mi ha sconvolto psicologicamente”
    Ha spiegato una tecnica che ha sviluppato per imparare nuove parti di chitarra nel sonno in modo da poterle avere pronte in qualsiasi momento.

    (continua nella seconda parte)

  • Frank Zappa – Le sue teorie sul Tempo

    Frank Zappa – Le sue teorie sul Tempo

    Frank Zappa – Watermelon In Easter Hay

    Parliamo delle tue idee sul tempo.
    “Penso che tutto succeda continuamente: noi pensiamo al tempo in modo lineare perché siamo condizionati a farlo. Questo perché l’idea umana delle cose è che hanno un inizio e una fine. Non credo sia necessariamente vero. Penso al tempo come a una costante, una costante sferica in cui tutto sta accadendo tutto il tempo: è sempre successo e sempre accadrà”.

    Quindi questa tazza di caffè…
    “… è sempre stata piena e vuota. Tutto è sempre”.

    Perché questa tazza vuota ha senso per me?
    “Non lo so”.

    Capisci cosa intendo, però?
    “È una domanda Zen?”

    Nel senso che dico: “L’ho già fatto, la tazza che ho bevuto non sembra più piena”.
    “Beh, è perché non è piena in questa particolare versione”.

    Le nostre percezioni?
    “Abbiamo a che fare con il tempo in modo quasi pratico. Abbiamo ideato il nostro universo personale e il nostro stile di vita che è governato dal tempo suddiviso in questo modo, progrediamo da una tacca all’altra, giorno dopo giorno, e tu impari a rispettare le tue scadenze in questo modo. Funziona così solo per comodità umana. Questa, per me, non è una buona spiegazione di come funzionano davvero le cose. Questa è solo la versione della percezione umana su come funziona. Mi sembra altrettanto fattibile che tutto accada continuamente e se credi che la tua tazza di caffè sia piena o meno è irrilevante. Non puoi definire qualcosa con precisione finché non capisci ‘quando’ lo è”.

    Quando in termini di tempo.
    “Sì, quando è cosa. Senza la perfetta comprensione del quando non hai niente da affrontare, vedi? Perché analizzi quella tazza di caffè un po’ prima, ed è piena. In pochi minuti la berrai e non esisterà più. Lo stato della coppa viene determinato da quando lo percepisci”.

    Il che significa che il futuro è già accaduto.
    “Sì. Il motivo per cui credo fortemente in questo è che può spiegare perché le persone possono avere premonizioni, perché invece di guardare avanti si guardano solo intorno. Non devi guardare avanti per vedere il futuro. Puoi guardare laggiù”.

    Cosa limita le nostre percezioni di altre cose o di altri tempi o del futuro?
    “Penso che escogiti i tuoi limiti per tua comodità personale. Ci sono alcune persone che desiderano avere dei limiti e si inventeranno tutte le scatole che vogliono. Come gli uomini che hanno inventato l’armatura. Volevano proteggersi dalle fionde e dalle frecce del destino. Le persone fanno la stessa cosa psichicamente e psicologicamente: costruiscono la propria armatura e scelgono la loro esistenza. Che lo facciano consapevolmente o a causa di un governo o di un sistema educativo non importa: qualcuno sta aiutando a plasmare questa scatola immaginaria in cui vivi, ma non deve esserci per forza”.

    Allora quali sono i limiti al nostro riuscire a capire qual è lo scopo di ogni nostra vita?
    “Perché devi? L’importante è affrontare il quando, il quando aprirà un sacco di merda per te.

    E’ l’idea che il tempo sia un vortice di Moebius…
    “No, la forma dell’universo è un vortice di Moebius, credo. Il tempo è una costante sferica. Ora immagina un vortice di Moebius all’interno di una costante sferica e avrai la mia cosmologia. Ma il ‘quando’ è molto importante”.
    (Best of Guitar Player, 1994)

    “La musica non dura, non ha nulla a che fare con il tempo” scriveva Sergiu Celibidache.
    Frank Zappa era convinto che il tempo fosse ‘un concetto sferico’, una costante sferica, in modo che, per così dire, tutto avvenga in una volta. Gnostici, buddisti e William Blake sono d’accordo, credendo che si possano varcare le porte dell’eternità in un istante e che il tempo sia una delle illusioni del mondo. William Burroughs e Sun Ra pensavano che, per sopravvivere, dobbiamo evolverci “fuori dal tempo, nello spazio”.

    “Sono creativo 36 ore al giorno. I 12 extra sono nel mio programma da un altro pianeta”.
    (Eyeopener, 22 novembre 1973)

    “Le persone hanno un’idea sbagliata del tempo. Il tempo non è niente di più e niente di meno che una serie di frazioni dell’eternità. Nel migliore dei casi, si tratta di divisioni irrazionali, stupide divisioni meccaniche di un continuum. Ora, le persone presumono che abbia una direzione, che vada da qui a lì, e talvolta – se proprio ci devono pensare – pensano al tempo come ad una linea, una striscia o un continuum che progredisce in una certa direzione. Ma non funziona affatto in questo modo. Il tempo è sferico. E’ una sfera di moebius e si muove verso l’interno e verso l’esterno allo stesso tempo”. (Bugle American, 17 dicembre 1975)

  • Frank Zappa e Jimmy Carl Black – intervista seconda parte

    Frank Zappa e Jimmy Carl Black – intervista seconda parte

    Frank Zappa – Lonesome Cowboy Burt (dal film “200 Motels” – 1971)

    Intervista a Jimmy Carl Black (l’indiano del gruppo) di Gianfranco Salvatore (Percussioni, gennaio 1994) Seconda parte

    Tutti riconoscevano la creatività di Frank?
    Era ed è un uomo molto creativo, tutti sapevamo quanto e per questo lo rispettavamo, anche quando si arrabbiava da matti.

    Gli arrangiamenti dei brani cambiavano di frequente?
    Continuamente. Io e Roy Estrada non leggevamo la musica, a noi li spiegava a voce. Prima ancora che Zappa facesse qualcosa io capivo quel che avrebbe fatto. Tutti lo capivamo in maniera molto telepatica.

    A proposito di questa ‘telepatia’: alcuni tra i momenti più impegnativi delle vostre performance, anche dal punto di vista ritmico, erano quelli in cui Zappa dirigeva le improvvisazioni collettive attraverso un suo codice di segnali. Te li ricordi?
    Beh, ha usato così tanti segnali per così tanti anni… Ma ricordo che era come una segnaletica da ‘baseball coach’, quello che dà i segni per quando bisogna fare la seconda base e tutto il resto. Frank era come il coach, l’allenatore, e usava segnali per farci fare certe cose in certi momenti. Nel bel mezzo di una canzone dava un segnale, noi eseguivamo l’ordine e poi tornavamo alla canzone.

    Usava proprio i segnali convenzionali del baseball?
    Sì, in effetti li usa ancora. Se tornassi sul palco con Frank Zappa li ricorderei immediatamente, come se si trattasse di andare in bicicletta o di nuotare. Quando suonavamo durante tutto lo show i miei occhi non lasciavano mai Frank Zappa, nemmeno per guardare una ragazza tra il pubblico: nessuno osava perché non sapevi mai quando lui stava per dare un segnale per cambiare quello che stavamo suonando in qualcos’altro.
    Ogni show, ogni serata era diversa: ad un segno di Frank cambiava tutto, la gente non credeva ai propri occhi e i nostri spettacoli erano pieni di musicisti tra il pubblico.

    Una volta, per descrivere l’eclettismo e le possibilità strumentali dei Mothers of Invention, Frank Zappa disse: “non si sa mai chi suona la batteria”. Cosa voleva dire?
    Non lo so ma so che non è vero. Bunk Gardner suonava talvolta il tamburino e Don Preston il campanaccio, nient’altro. In realtà, anche Ray Collins o Motorhead a volte suonavano un tamburello e Don Preston aveva un suo gong. Ma io e Art Tripp eravamo gli unici a suonare la batteria, a parte Frank che a volte si avvicinava alla mia batteria e la suonava. Lui pensava di saperla suonare… Shut up and play your guitar, Frank…

    Eppure, recentemente, nel volume 5 di You can’t do that on stage anymore Zappa ha pubblicato un estratto da un vostro concerto nell’aprile 1969 alla Colgate University di New York dove, in un episodio intitolato FZ/JCB Duet Zappa e Art Tripp improvvisavano a turno alla batteria accompagnati da te. Accadeva spesso che Zappa suonasse la batteria dal vivo?
    No, solo una volta ogni tanto.

    Comunque, Zappa ha ammesso che intorno ai 18 anni passò dalla batteria alla chitarra perché non aveva abbastanza coordinazione tra mani e piedi.
    Esatto, era questo il suo problema.

    Parliamo di Art Tripp. Ti ricordi quando entrò nel gruppo in sostituzione di Billy Mundi?
    Non fu una sostituzione. Billy Mundi uscì dal gruppo e Art Tripp ci entrò. Penso che il primo concerto con lui fu alla Colgate University di Attica, NY, quello del dicembre ’67. Suonava soprattutto la batteria, aveva un set molto bizzarro che io non avrei mai potuto suonare. Era un trap set in tutto e per tutto: ne avevamo due sul palco, il suo e il mio.

    Perché Art Tripp odia tanto Frank Zappa?
    Non penso che lo odi.

    Ha detto di lui cose terribili. Dopo lo scioglimento dei Mothers ha dichiarato che Zappa è un arrangiatore e non un vero compositore, che ha copiato dai compositori classici, che ha rubato idee a tutti…
    Ti dirò quel che è giusto. Art Tripp non può mai aver detto che Frank non abbia scritto delle buone parti per lui perché per Art è sempre stato come una sfida eseguire la musica che Frank ha scritto per lui perché leggeva a prima vista. Però, sai, il gruppo fu molto ferito quando Frank lo sciolse; questa è la ragione di certe dichiarazioni molto amare. Anche Bunk Gardner e a volte Don Preston hanno detto brutte cose di Frank perché erano ancora amareggiati per il modo in cui lui sciolse il gruppo, non per il fatto di averlo sciolto. Non ci fu nessun preavviso, fummo tagliati fuori da un momento all’altro dopo essere stati assieme per sei anni. Anch’io ne fui amareggiato perché ero stato con Frank fin dall’inizio, ma l’ho superato, non è durato a lungo. Mi son detto che lui doveva aver avuto una ragione per fare quello che aveva fatto e che io dovevo andare avanti con la mia vita. Non l’ho mai odiato per quello che ha fatto.

  • Frank Zappa e Jimmy Carl Black – intervista prima parte

    Frank Zappa e Jimmy Carl Black – intervista prima parte

    Intervista a Jimmy Carl Black (l’indiano del gruppo) di Gianfranco Salvatore (Percussioni, gennaio 1994)
    Prima parte

    Nella sua autobiografia Zappa ha scritto che tu gli piacevi perché gli ricordavi il batterista dei vecchi dischi di Jimmy Reed.
    Giusto. E’ da lì che ho imparato a suonare. Compravo i dischi di Jimmy Reed, accendevo il giradischi, mi sedevo e imparavo quei beat dai dischi. Non so come si chiamava il batterista ma so chi era il bassista di Jimmy Reed, Willie Dixon.

    Negli anni ’60 Zappa ha mai chiesto a voi membri originari dei Mothers of Invention di ascoltare i dischi di Varése?
    Sì e li ascoltavo, è da lì che ho imparato. Ho ascoltato anche Stravinskij ed altre cose perché amo veramente la musica classica. Frank ci spingeva a conoscerla ed amarla. Una volta a New York (nel 1977) Frank comprò biglietti a tutto il gruppo per un concerto al Lincoln Center della suite dell’Uccello di fuoco di Stravinskij. Fu addirittura minaccioso: ci disse che, se quella settimana volevamo essere pagati, dovevamo andare a vedere quel concerto. Fummo obbligati. Era la prima volta che vedevo un balletto classico e mi piacque molto. Fu un’esperienza nuova, una grande esperienza per tutta la band. In seguito, cominciammo a fare le nostre versioni di quel tipo di roba sul palco, ma erano versioni trasformate, divertenti.

    Hai mai visto Zappa ballare?
    Sì che l’ho visto. L’ho visto danzare nei locali. Era un buffo ballerino, non sapeva ballare molto bene. Era talmente buffo che sembrava uno scherzo, infatti ballava solo per scherzare.

    I Mothers of Invention erano ritmicamente all’avanguardia. Quando Zappa vi illustrava i nuovi brani, come organizzava il ritmo, i cambiamenti di tempo, i poliritmi?
    Mi spiegava come suonarli, me li insegnava e io poi li suonavo a modo mio. In ogni caso, è stato lui a mostrarmi come suonare in 5/8, 7/8, 9/8, 15/8… Mi mostrava questi ritmi alla batteria, suonati in maniera molto semplice. Con Art Tripp (il batterista-percussionista classico aggiunto ai Mothers alla fine del 1967) era diverso perché lui leggeva la musica avendo suonato in orchestre sinfoniche prima dei Mothers, e Frank doveva semplicemente scrivergli quello che voleva.

    I Mothers furono uno dei primissimi gruppi a suonare con due batterie. Ma pochi sanno che, prima ancora di Billy Mundi e di Art Tripp, si pensava di aggiungere a te, come batterista, un certo Denny Bruce.
    Sì, Denny Bruce doveva essere il secondo batterista, ma non so bene quel che accadde con lui. Frank voleva provare con due batterie già prima della registrazione di Freak Out, il nostro primo album. Denny Bruce fu contattato nel periodo in cui provavamo per il disco (nel 1966). Sai, Frank aveva sempre idee per nuove sperimentazioni, come appunto avere due batterie, ma a volte non portava a compimento queste idee. L’idea delle due batterie Frank l’ha avuta per molto tempo, prima dell’ingresso effettivo di un secondo batterista che avvenne nel secondo album Absolutely Free.

    Quando entrò nel gruppo Billy Mundi, l’originale secondo batterista ufficiale dei Mothers?
    Forse ad agosto-settembre del 1966. Credo un paio di settimane prima dell’ingresso di Don Preston e Bunk Gardner nei Mothers.

    Una delle vostre specialità, soprattutto dal vivo, era suonare alcuni pezzi dove c’erano melodie, ritmi, addirittura brani interi sovrapposti.
    Era una cosa su cui ci esercitavamo a lungo, abbiamo imparato a farlo. Provavamo molto, otto ore al giorno. Queste prove erano molto intense. A volte, Frank non c’era e Ian Underwood faceva da direttore musicale: l’ha fatto dal ’67 al ’69. Frank gli dava le nuove musiche scritte e se non andavamo alle prove Frank non ci pagava. Se ne mancavamo una dovevamo procurarci un certificato medico.

    C’erano momenti in cui Frank si arrabbiava molto?
    Sempre. Se qualcuno faceva un errore, gli errori non erano ammessi. Poteva farli solo lui (sulla chitarra), nessun altro. Una volta sono stato perfino licenziato.
    (continua nella seconda parte)

  • Frank Zappa, Be in my video – Smell the glove

    Frank Zappa, Be in my video – Smell the glove

    Frank Zappa – Be in my video (“Them or us” – 1984)

    Cosa significa per te “annusare il guanto”? E’ una frase che hai usato in un paio di canzoni…
    “Immagino che abbia qualcosa a che fare con un proctologo”. (risate)
    Durante il tour dell’84 avevi i guanti da forno e annusare il guanto…
    “Ricorda, c’erano così tanti intrattenitori che indossavano un guanto in quel periodo…”.
    Soprattutto Michael.
    “Sì. Ci presentavamo ai concerti con un guanto addosso, lo indossavano anche persone tra il pubblico, sai, “Ooo! Guarda quanto sono figo perché anche io posso indossare un guanto!”. Era solo un altro esempio di americani che volevano seguire le tendenze. Ora lo vedi, ora no. Quindi, fintanto che indosseranno il guanto, suggerisco che lo annusino. (risata)
    (Society Pages 7, settembre 1991)

    La frase ‘smell the glove’ viene usata in due brani
    – Be in my video (“Them or us” – 1984)
    – Jesus think you are jerk (Broadway the Hard Way, 1988)

    Musicalmente, Frank Zappa ha ricevuto critiche e consensi per la sua sperimentazione con tempi in chiave, armonia e contrappunto, fusioni stilistiche e la sua strumentazione.
    Sebbene fosse considerato un eroe di culto, Zappa aveva accumulato un enorme seguito in tutto il mondo con oltre cinquanta album e milleduecento titoli.
    Sulla musicalità e sul puro carico di lavoro sarei abbastanza pronto a paragonarlo a Mozart, Beethoven, Bach ecc. come l’equivalente del rock moderno.
    Quando gli è stato detto in un’intervista che avrebbe potuto facilmente raggiungere i primi dieci successi e vendere milioni di dischi, la risposta di Frank è stata semplicemente: “Sì, ma chi vuole affrontare la vita con un naso minuscolo e un guanto addosso?”.
    Sapeva che il suo lavoro era brillante. Sapeva che non c’era musica che non potesse scrivere, arrangiare e suonare (deve aver coperto quasi tutti gli stili).
    Attraverso le sue numerose cause legali “industriali” e la sua forza di volontà aveva il controllo completo sul lavoro che presentava al mondo artistico e commerciale.
    Essendo un cinico musicale di prim’ordine, uno snob i cui testi, commenti e musica non mostravano pietà nei confronti di nessun gruppo che lo assecondasse o lo infastidisse, con Zappa nessuno era esente da critiche.
    (Sun Zoom Spark, gennaio 1994)