Frank Zappa's mustache - Music is the Best

Tag: Frank Zappa

  • Frank Zappa e le Atrocità – prima parte

    Frank Zappa e le Atrocità – prima parte

    Frank Zappa – “The Return of the Son of Monster Magnet”

    Estratto trasmesso per la prima volta dal programma televisivo AVRO ‘Vjoew’ il 13 maggio 1968.
    Filmato girato al Garrick Theatre di New York da Ed Seeman

    GLI SPETTACOLI DEI MOTHERS OF INVENTION CHIAMATI “ ATROCITA’ ”
    Sul palco abbiamo fatto di tutto. Abbiamo celebrato matrimoni, abbiamo scelto persone dal pubblico per lasciare che facessero discorsi o cantassero/suonassero con i nostri strumenti.
    Usavamo trucchi e colpi di scena sorprendenti come un bambolotto con le gambe spiegate seguito da un salame che lo avrebbe speronato nel culo.
    Tutto è stato pianificato con cura: abbiamo suonato la musica giusta per questo genere di cose.
    La nostra grande attrazione era la morbida giraffa. Avevamo questa grande giraffa di peluche sul palco, con un tubo che correva fino a un punto tra le gambe posteriori. Ray Collins si avvicinava alla giraffa e la massaggiava con un burattino a forma di rana… poi la coda della giraffa si irrigidiva e le prime tre file del pubblico venivano spruzzate di panna montata che usciva dal tubo. Il tutto ovviamente con accompagnamento musicale. Era la caratteristica più popolare del nostro spettacolo. La gente lo richiederebbe tutto il tempo. Avevamo un venditore ambulante in piedi fuori dal teatro che trascinava le persone dalla strada in quella stanza puzzolente per un brivido e noi gli abbiamo dato un brivido.
    La musica è sempre un commento sulla società, e certamente le atrocità sul palco sono piuttosto lievi rispetto a quelle condotte per nostro conto dal nostro governo.
    In realtà, il modo in cui sono iniziate le atrocità è stato casuale. Qualcuno aveva regalato a uno dei ragazzi una bambola grande e una notte abbiamo scelto tra il pubblico alcuni Marines. Giusto per rompere la monotonia. Non avevamo ancora iniziato le atrocità. Abbiamo avuto l’idea di mostrare al pubblico com’erano veramente i Marines. Ho lanciato la bambola ai marines e ho detto: “Questo è un bambino gook … mostrateci come trattiamo i gook in Vietnam”. Hanno fatto a pezzi quella bambola.
    Da quella volta, abbiamo incluso oggetti di scena in tutti i nostri spettacoli. Li chiamo aiuti visivi”.

    “I live più singolari che i Mothers abbiano mai fatto furono quelli avvenuti al Garrick Theatre nel 1967 e non c’è nessuna registrazione. Non ho registrazioni del Garrick Theatre. Forse qualcuno potrebbe aver ripreso lo spettacolo ma Verve non l’ha fatto. Avevamo un accordo con Wally Heider che a quel tempo aveva un camion di registrazione a New York City; aveva tutta questa attrezzatura in un furgone e aveva bisogno di un posto dove parcheggiare il suo furgone. Volevo fare un patto con lui per dargli un posto auto per il furgone fuori da questo teatro che avevamo affittato. Tutto quello che doveva fare era accendere il nastro ogni notte e avremmo potuto avere le registrazioni. Verve non l’ha fatto”. (Goldmine, 27 gennaio 1989)

    Sul palco del Garrick Theatre di New York sono successe cose molto strane; l’altra sera è salita sul palco una ragazza, alta circa 1,50 mt, aveva i capelli totalmente arruffati. Una ragazza di circa diciotto anni con occhiali scuri, sandali, con in mano due borse della spesa e un flauto… Sale sul palco, posa le borse della spesa, si infila il flauto in bocca ed ha un attacco epilettico davanti a spettatori assolutamente sbalorditi. Non l’abbiamo fermata, è stato davvero straordinario. È rimasta lì per circa mezz’ora: quando ha finito ci siamo augurati la buonanotte, se n’è andata e nessuno tra il pubblico sapeva cosa fare…
    La nostra musica è sempre un evento. Ogni spettacolo è diverso. Le canzoni rimangono relativamente le stesse, ma il loro ordine è costantemente sconvolto, si incastrano l’una nell’altra o si susseguono senza tempi morti. A volte suoniamo tre quarti d’ora consecutivi senza sosta. Spesso il pubblico rimane ipnotizzato e alla fine dei brani si dimentica di applaudire. . . Personalmente, ho preso parte ad un solo happening; era l’Ucla in California. Avevo portato alcune delle mie registrazioni private. (Rock & Folk, novembre-dicembre 1967)

    Una “oscenità” che Frank ama recitare ha un inizio insolito. La maggior parte dei membri della band ha suonato musica da ballo e, occasionalmente, i Mothers apriranno un concerto con una dolce interpretazione di “Moonlight Serenade”, la colonna sonora di Glenn Miller di 30 anni fa.
    Gli uomini tra il pubblico di solito reagiscono dicendo: “Accidenti, Mildred, questi ragazzi non sono poi così male. Con tutti quei brutti capelli, non penseresti mai che possano recitare in modo così carino”. A quel punto Frank fa un segnale ai ragazzi della band. La musica di ieri si interrompe su una mezza nota e tutte e nove le Madri iniziano a grugnire, grugnire, ragliare e ruttare. Un certo numero di persone presenti durante queste occasioni non si sono ancora riprese. (Teen Set, settembre 1968)

  • Frank Zappa – “City of Tiny Lights” cosa significa?

    Frank Zappa – “City of Tiny Lights” cosa significa?

    (con la straordinaria animazione mandata in onda nel programma tv “Old Grey Whistle Test” della BBC)

    “City of Tiny Lights” di Frank Zappa è una canzone vivace ed eccentrica che invita gli ascoltatori ad esplorare un mondo stravagante di proporzioni miniaturizzate. Sebbene in apparenza sia leggera, il testo e il contesto generale rivelano un messaggio profondo sulla condizione umana, sui valori della società e sulla ricerca della felicità.
    La canzone si apre con il verso ripetuto “City of tiny lites, don’t you wanna go”, che ci introduce immediatamente al tema centrale dell’esplorazione di questo paesaggio urbano in miniatura. Il concetto di città di piccole luci può essere interpretato come una metafora di un’utopia idealizzata. Zappa invita l’ascoltatore a considerare se vuole avventurarsi in questa città, simboleggiando il desiderio di esplorare un mondo migliore, più ideale.
    La menzione di minuscoli clacson e di minuscoli fulmini nella tempesta suggerisce che, anche in questo microcosmo, la vita ha la sua versione di caos e di conflitto.
    Tuttavia, Zappa introduce l’idea di piccole coperte, cuscini e lenzuola, che rappresentano il comfort e il calore in mezzo alla natura imprevedibile dell’esistenza. Il verso “Talkin’ bout them tiny cookies that the peoples eats” mette in evidenza gli aspetti mondani della vita, sottolineando che anche in questo mondo in miniatura le persone si dedicano ad attività ordinarie come mangiare.
    Zappa giustappone l’enormità della presenza fisica dell’ascoltatore alla piccolezza della città, suggerendo un senso di nostalgia e di fuga. Il verso successivo, “Every cloud is silver liney”, implica che anche in questo mondo ci sono barlumi di speranza e positività.
    Zappa invita gli ascoltatori a guardare oltre le loro circostanze e a trovare la bellezza, anche nei piccoli momenti. La ripetizione di “Tiny is as tiny do” rafforza l’idea che le azioni, indipendentemente dalla loro portata, possono avere un impatto significativo. Zappa suggerisce che non sono le dimensioni delle azioni, ma l’intenzione e il significato che vi sono dietro che contano davvero.
    Nella sezione di canto scat con l’assolo di chitarra, Zappa sottolinea ulteriormente l’idea di esplorazione e di rottura delle convenzioni. L’improvvisazione strumentale rappresenta la libertà di esprimersi in modo creativo e di allontanarsi dalle norme sociali. La canzone si conclude con la ripetizione del verso sui biscotti piccoli, sottolineando che anche se la città può essere piccola e apparentemente insignificante, la gente trova ancora gioia nei piaceri semplici. Nel complesso, “City of Tiny Lights [Conceptual Continuity]” è un’affascinante esplorazione dell’esperienza umana.
    (songtell)

  • Frank Zappa, Drowning Witch: meaning, review

    Frank Zappa, Drowning Witch: meaning, review

    La canzone “Drowning Witch” di Frank Zappa racconta la storia di una strega che si trova in una situazione disperata.
    I testi presentano metaforicamente la sua lotta come una strega che affoga e non può essere salvata da una nave che arriva troppo tardi. La strega stava cercando una relazione con una presunta persona ricca della Marina Mercantile, ma diventa chiaro che questa relazione non ha funzionato.
    La canzone fa riferimento alle conseguenze dell’inquinamento e alle condizioni tossiche delle vie d’acqua americane. Il menzionare l’acqua verde e non pulita suggerisce che l’ambiente sia stato pesantemente contaminato. I serpenti d’acqua e i relitti arrugginiti simboleggiano la degradazione causata dall’inquinamento.
    Frank Zappa introduce anche il concetto di radiazioni, che possono avere effetti pericolosi sugli organismi viventi.
    I testi esprimono preoccupazione per la strega, avvertendo del potenziale per essere esposta alle radiazioni e mutare in modi drastici e imprevedibili. Queste immagini vengono utilizzate per criticare l’impatto dannoso delle azioni umane sull’ambiente e su come possano danneggiare sia la natura che gli individui.
    (Songtell)

  • Frank Zappa – Chi è Bobby Brown?

    Frank Zappa – Chi è Bobby Brown?

    “Bobby Brown” è un commento provocatorio e satirico sulle aspettative della società, sui ruoli di genere, sulla liberazione sessuale e sul sogno americano. Attraverso abili giochi di parole e testi espliciti, Zappa scava in profondità nelle contraddizioni e nelle ipocrisie della cultura americana, mettendo a nudo il ventre del conformismo e della superficialità. Esplora i temi della mascolinità, dell’oggettivazione sessuale.
    Il protagonista, Bobby Brown, è ritratto come un individuo arrogante ed egocentrico che si compiace della sua attrattiva e del suo status sociale. Si vanta della sua auto veloce, dei suoi denti scintillanti e della sua capacità di manipolare le ragazze, suggerendo persino la possibilità di uno stupro. Questa rappresentazione iniziale riflette il sogno americano e la ricerca del successo materiale a spese dell’empatia.
    Tuttavia, Zappa sminuisce rapidamente questa immagine spavalda introducendo elementi sovversivi che mettono in discussione l’immagine iper-maschile di Bobby Brown.
    L’ascesa del movimento femminile e l’incontro con una lesbica di nome Freddie sconvolgono il senso di diritto di Bobby. Freddie si confronta con lei sul consenso e mette in discussione il suo comportamento. Questo incontro mette in discussione la rigida concezione che Bobby ha del genere.
    Con un linguaggio crudo e sentimenti dispregiativi, il testo illustra il disagio e la mancanza di comprensione di Bobby nei confronti dei diritti delle donne. Si ritrae come vittima, sostenendo che Freddie lo ha evirato e che ora ha problemi di prestazioni sessuali.
    I tentativi di Bobby di conformarsi alle aspettative della società lo portano a cambiare aspetto e ad intraprendere una carriera nella pubblicità radiofonica. Nonostante i suoi sforzi, rimane insicuro del suo vero io. Entra nella scena BDSM con il suo partner, esplorando tabù sessuali e desideri non convenzionali. Zappa ritrae questa situazione come un’ulteriore espressione della lotta di Bobby con l’identità e del suo disperato bisogno di conferme.
    La canzone utilizza un umorismo cupo e immagini scioccanti per provocare una forte reazione da parte del pubblico, costringendolo a confrontarsi con verità scomode sulle aspettative della società e sull’identità personale.
    (songtell)

  • Frank Zappa e il Synclavier terza parte

    Frank Zappa e il Synclavier terza parte

    The Perfect Stranger

    Frank preferiva registrare le sue opere orchestrali su un Synclavier?
    È un po’ un mito. Non era la sua preferenza. Quando il Synclavier è uscito per la prima volta, è stato un mezzo conveniente per ascoltare ciò che aveva in mente, lo strumento definitivo per il compositore prima di consegnarlo a un’orchestra. Non doveva ascoltare i musicisti lamentarsi, ma solo l’idea originale per un dato pezzo. (Gail Zappa, Record Collector, maggio 2009)

    “Il computer riproduce con estrema precisione ciò che il compositore ha in mente, esattamente come l’ha immaginata”.
    “Uso i sintetizzatori per tre cose: generare suoni mai esistiti prima, eseguire musica che gli esseri umani avrebbero difficoltà a suonare e sbarazzarmi di parte della fatica della composizione. Nella composizione, puoi copiare frasi, il che è faticoso da fare manualmente. Quando devi fare ripetizioni, su un computer è una questione di pulsanti come usare un word processor”.
    “Il mio Synclavier utilizza campionamenti, registrazioni digitali di suoni reali e ti consente di manipolarli, quindi non c’è differenza tra lo strumento reale e la registrazione digitale. Per quanto riguarda la facilità con cui le persone possono notare la differenza, dipende dalla composizione. In un album che sto realizzando non ancora pubblicato, non sentiresti suonare strumenti veri, ma riconosceresti i suoni di strumenti reali che gli esseri umani avrebbero difficoltà a fare, schemi ritmici complessi che vengono suonati da interi ensemble di strumenti in armonia”. (Compute!, gennaio 1986)

    Una delle sue composizioni più famose, La pagina nera, fa largo uso di poliritmi. Questo può raggiungere una complessità formidabile. Ad esempio, in Get Whitey (sull’album The Yellow Shark) il ritmo di base è 9/4; può quindi essere suddiviso in 18 crome, o 36 semicrome, ecc. Ad un certo punto, la misura si divide in 23 crome (quindi è 23/8) e la melodia si riversa in sedicesimi principalmente puntati, il che aumenta la complessità ritmica della canzone. Non per niente Zappa ha usato il suo Synclavier, che poteva suonare qualsiasi cosa. Infatti, a questo livello, è come se la melodia suonasse a un tempo molto diverso dal ritmo. (frwiki.wiki)

    In un momento ‘poetico’, Frank disse: “Il computer non è in grado di trasmettervi il lato emozionale della questione. Può fornirvi la matematica ma non le sopracciglia”.
    Ok, l’ha detto, ma era un perfezionista ed un innovatore tanto che, a metà anni ’80, già parlava della possibilità di sostituire la distribuzione dei dischi con trasferimenti da digitale a digitale via telefono o via cavo TV e di royalty pagate ai compositori direttamente integrate nel software.
    Tornando ai computer, Zappa fu uno dei primi sperimentatori e compositori elettronici: il Synclavier e il computer, nei primi anni ’80, gli permettevano di eliminare l’errore umano delle orchestre.
    “Preferisco utilizzare le apparecchiature elettroniche al posto dei musicisti. Fanno meno errori” disse Frank, in un momento tutt’altro che ‘poetico’.

    Pierre Boulez ha diretto (in parte) Frank Zappa, l’album “The Perfect Stranger” pubblicato nel 1984.
    “The Perfect Stranger” è stato eseguito dall’Ensemble InterContemporain, Pierre-Laurent Aimard, il clarinettista Paul Meyer e Frank Zappa al Synclavier.

    Zappa, affascinato e influenzato da compositori classici come Igor Stravinsky, Varese, Boulez e John Cage, oltre a far eseguire alle sue band arrangiamenti di brani di Bartok, Ravel, Tchaikovsky e Stravinsky, sottolinea che in questi giorni scrive principalmente composizioni orchestrali sul suo Synclavier 9600, la tastiera digitale high-tech e il computer di campionamento collegato al suo studio di casa, l’Utility Muffin Research Kitchen.
    È qui che è stata concepita l’ultima gemma di Zappa di un album delle sue opere orchestrali dissonanti, stravaganti e inquietanti, The Yellow Shark. (Pulse! agosto 1993)

    “Sogno strumenti che obbediscano al mio pensiero e, contribuendo con il loro mondo di suoni mai immaginati prima, si pieghino alle esigenze del mio ritmo interiore”. (Edgar Varèse)

    “Sono sicuro che verrà un tempo in cui il compositore, dopo aver realizzato la sua partitura, la inserirà automaticamente in una macchina, che ne trasmetterà fedelmente il contenuto all’ascoltatore”
    (Edgard Varesè, New York Times, 06 Dicembre 1936)
    Quarantacinque anni dopo, Frank scopre il Synclavier e realizza la profezia del suo mentore.
    “Il compositore può presentare la propria idea nella forma più pura, permettendo al pubblico di ascoltare la Musica piuttosto che i problemi di ego di un gruppo di musicisti a cui non frega un cazzo della composizione”
    (Frank Zappa, Zappa L’Autobiografia, 1989)

    Pochi giorni prima di “partire per il suo ultimo tour”, come diceva la sua famiglia, Frank chiedeva di portare il suo letto d’ospedale sotto il suo Synclavier, così avrebbe potuto fare un po’ più di lavoro.
    (musicfestnews.com, articolo di Scott Hopkins, 29 luglio 2022)

  • Frank Zappa e il Synclavier – seconda parte

    Frank Zappa e il Synclavier – seconda parte

    G-spot Tornado

    “Con il Synclavier puoi mescolare percussioni orchestrali con rumori industriali come trapani, martelli, seghe, serbatoi sottovuoto e cose del genere, tutto nella stessa patch. Puoi combinarli e farci cose meravigliose. Nell’album Jazz from Hell si può sentire un rumore che è un campione chiamato TANK.REL. È il rilascio di un serbatoio sottovuoto in un’officina di falegnameria. Nell’album sono state usate altre cose come le pistole sparachiodi. Questo campione fa parte della nostra configurazione di percussioni industriali.
    Il mio desiderio principale nell’utilizzare i sintetizzatori è quello di fornire trame di tipo orchestrale, o effetti orchestrali che trasmettono un messaggio musicale nel mezzo di un contesto rock and roll. Una delle cose musicali più sfuggenti che puoi provare a ottenere nel mondo reale è un equilibrio acustico tra una band rock and roll che fa esplodere il cervello e qualsiasi cosa che assomigli ad un’orchestra sinfonica. Semplicemente non accadrà, può succedere solo per magia. I sintetizzatori aiutano a creare quella magia.
    Con la registrazione multitraccia puoi effettivamente registrare strumenti sinfonici in una data e la chitarra con tono fuzz in un’altra data. Utilizzando questi strumenti, sto solo cercando di portare al pubblico una replica di ciò che sento nella mia testa. Con l’avanzare della tecnologia, è sempre più facile farlo”.
    “Una delle cose più intriganti del Synclavier è ciò che ti consente di fare con il ritmo. È sempre stata una delle cose che preferisco indagare. È possibile ottenere esecuzioni accurate delle più ridicole combinazioni ritmiche. Puoi chiedere ad un musicista di fare cose difficili ma le possibilità di farle eseguire accuratamente sono molto basse”. (Keyboard, febbraio 1987)

    “Il Synclavier mi dà una grande flessibilità nel mio lavoro poiché posso applicare, in una frazione di secondo, vari timbri a una composizione. Cos’è la musica se non un po’ di spazio-tempo decorato, illuminato?”.
    “L’idea generale parte spesso da varie teorie musicali. Mi chiedo allora cosa succederebbe se facessi questa o quella manipolazione, quali sono i limiti fisici di ciò che un ascoltatore può comprendere in termini di ritmi, di “dati universali”, pur percependo il tutto come una composizione musicale”. (Guitare & Claviers n. 73, aprile 1987)

    “Zappa aveva imparato che la conoscenza degli aspetti matematici della musica non è niente di astrattamente neo-pitagorico, ma una sorta di fucina da cui si possono ottenere risultati profondi a patto di essere aggiornati sulle tecnologie esistenti e di avere la possibilità di sperimentare. Fu tra i primi ad utilizzare le tecnologie musicali elettroniche. Riguardo al Synclavier, la ditta che lo produceva accusò il musicista di sottoporre la ‘creatura’ a stress perché Frank pretendeva di usarlo in maniera impropria forzandone i circuiti per ottenere più di quanto il Synclavier potesse dare, pur essendo a tutt’oggi lo strumento digitale più complesso, almeno tra quelli che si producono in serie. Per usare un paradosso, ci si potrebbe chiedere quanto Zappa abbia influito sulle tecnologie, non viceversa. Come Ellington o Stockhausen, Zappa creava musica in base alle sonorità che aveva a disposizione, umane o tecnologiche che fossero. La ragione per cui molti suoi lavori recenti sono rimasti incompiuti sta nel fatto che lui ‘fabbricava’ i suoi suoni e così, ogni volta che riprendeva dalla memoria del Synclavier le composizioni in gestazione, non riusciva a portarle avanti perché il suo istinto gli suggeriva di modificarne radicalmente i timbri e ciò gli portava via moltissimo tempo”.
    (Gianfranco Salvatore, musicologo, biografo di Frank Zappa – Mangiare Musica giugno 1994)

    Zappa fu il primo ad adottare i ritmi irrazionali, a formulare concetti come quello di ‘armonia percussiva’ o di ‘dissonanza ritmica’ (sue personali teorizzazioni), a perseguire soluzioni ritmiche realizzabili solo attraverso sofisticatissime apparecchiature digitali come il Synclavier.
    (dal libro Frank Zappa Domani di Gianfranco Salvatore)

    “I musicisti, in genere, sono incredibilmente pigri. La disciplina che devi mantenere per farli arrivare in tempo, per spostarsi da una città all’altra… è un po’ come guidare un esercito. Lavorare con musicisti dal vivo tende a togliere parte del divertimento dalla vita, non me ne frega niente… Le cose che posso fare con il synclavier sono sbalorditive. Ti dà davvero la possibilità di eliminare gli esseri umani come interpreti musicali”.
    (The Portable Curmudgeon Redux, 1992)

    “Quando compongo, la mia idea principale spesso parte da varie teorie musicali e mi chiedo cosa succede se faccio questo o quello, quali sono i limiti fisici di ciò che un ascoltatore può comprendere in termini di ritmo. Quanto è grande l’”universo dei dati” che le persone possono assorbire e percepire ancora come una composizione musicale? Questa è la direzione in cui sto andando con il Synclavier”. (Sound On Sound, febbraio 1987)

  • Frank Zappa e il Synclavier – prima parte

    Frank Zappa e il Synclavier – prima parte

    Frank Zappa – Civilization Phaze III Minus Talking

    “Se hai una macchina che ti permetterà di riprodurre direttamente le tue idee non devi nemmeno scrivere musica. Non mi preoccupo più di carta e matita, suono e modifico la materia prima finché non ottengo la composizione nel modo in cui mi piace nella macchina. Faccio molto di più e ora posso scrivere per suoni strumentali e combinazioni che non esistono in natura e che un essere umano non potrebbe suonare. Ora nulla è impossibile finché hai abbastanza memoria RAM”.
    “C’è una cosa che un Synclavier ti insegnerà: la cosa più importante nella musica è il timbro. Puoi prendere la melodia più banale o una raccolta di note: se ha un timbro interessante sarà molto più ascoltabile. Ogni periodo ha dei piccoli timbri ad esso associati. Puoi ascoltare una registrazione di musica rinascimentale e sapere subito che si tratta di suono e timbri rinascimentali. Con quegli stessi timbri, Purple Haze suonerebbe come musica rinascimentale”.
    (intervista di Steve Vai a Frank Zappa presso lo studio di Frank, l’Utility Muffin Research Kitchen pubblicata su Guitar For The Practicing Musician, maggio 1986).

    “Con il Synclavier puoi letteralmente sederti e suonare ogni parte di un’orchestra, risincronizzare, modificare e persino riorchestrare ogni parte. Mi dà la possibilità di essere non solo il compositore ma anche il direttore d’orchestra, perché posso orchestrare le dinamiche nel pezzo. Se riesci a pensare in questo modo globale, puoi davvero avere il controllo completo sulla tua composizione”.
    Il Synclavier utilizza un nuovo metodo di sintesi musicale chiamato timbri parziali. È dotato di ventiquattro armoniche regolabili separatamente, un generatore di inviluppo del volume a sei stadi, vibrato e portamento completamente regolabili, regolazione separata dei volumi della tastiera, controllo separato della tastiera nel posizionamento stereo, potente capacità di campionamento e capacità di editing praticamente illimitate. Digitando diversi valori puoi modificare il tuo materiale, quindi basta premere un pulsante e lo riproduce. Non è così facile da usare, ma non è così impossibile. Non ho mai letto davvero il manuale di Synclavier. Ho imparato premendo i pulsanti”. (Stereo Review, giugno 1987)

    “Le mie composizioni hanno una frammentazione molto complicata, ma il Synclavier le suona con estrema precisione… e non deve massaggiare l’ego di insegnanti bravi a disprezzare. Naturalmente, la macchina manca di espressività umana. I musicisti possono fare cose che sono impossibili per il computer e viceversa. Tuttavia, apprezzo il fatto che il Synclavier non abbia richieste lavorative, problemi di stomaco o dilemmi sentimentali”. (El Europeo, maggio 1990 – rivista spagnola)

    “Se non avessi mai fatto rock and roll, non avrei potuto permettermi un Synclavier. Ma non ho deciso di fare rock and roll solo per poter passare i miei anni al tramonto a friggere nella mia stanza con una sorgente di radiazioni”. (Best of Guitar Player, 1994)

    Civilization Phase III è un’opera-pantomima con attività fisica coreografata (manifestata come danza o altre forme di comunicazione sociofisica inspiegabile).
    La continuità della trama deriva da una rotazione seriale di parole, frasi e concetti scelti casualmente, inclusi (ma non limitati a) motori, maiali, pony, acqua oscura, nazionalismo, fumo, musica, birra e varie forme di isolamento personale. Tutte le voci e la musica sono preregistrate e, per quanto possibile, tutti i cambiamenti scenici e di illuminazione sono automatizzati con i loro segnali memorizzati come codice digitale su una traccia incorporata nel master audio.

    “Decisi di stipare un paio di U-87 nel pianoforte, coprirlo con un drappo pesante, piazzarci sopra un salvagente e invitare chiunque a metterci dentro la testa ed a vaneggiare incoerentemente circa gli argomenti che avrei suggerito loro…”.
    I vaneggiamenti furono trasformati in una trama riguardante maiali, pony e altri personaggi che vivono all’interno di un pianoforte. Nel 1991 Zappa aggiunse dialoghi addizionali. Le partiture musicali furono composte e registrate soltanto per mezzo del Synclavier.
    “Civilization Phase III” è un doppio album, l’ultimo album completato da Frank Zappa prima della sua morte, nel 1993. Frank la definisce “opera-pantomina”. Il progetto nacque nel 1967 come esperimento di registrazione vocale.

    Civilization Phase III è un’opera per il computer Synclavier che utilizza praticamente ogni suono che Zappa abbia mai impiegato in un continuum denso. La musica è inesorabilmente astratta, probabilmente la più ambiziosa che abbia intrapreso finora. (Ben Watson, The Wire, febbraio 1994)

  • Frank Zappa e la Grande Nota

    Frank Zappa e la Grande Nota

    Frank Zappa – 1991, durante le prove e le registrazioni di “The Yellow Shark” nel suo studio privato di Los Angeles

    “La Grande Nota è l’elemento più vicino alla mia idea di Dio. Tutto, a quanto pare, è costruito dalle vibrazioni.
    La luce è una vibrazione, il suono è una vibrazione e forse, quando li scomponi, gli atomi stessi non sono altro che la vibrazione di questa Grande Nota. Avendo a che fare con le vibrazioni, potresti entrare in sintonia con una specie di Forza Universale, a dirla in modo banale e sdolcinato. E’ così che la vedo”. (Frank Zappa)

    Alla base del lavoro di Zappa ci sono due concetti essenziali: la Grande Nota e la Continuità Concettuale.
    La musica è una sola grande nota e tutto quello che c’è è unito da una continuità che abbraccia tutto.
    Non si può parlare di Zappa senza conoscere il concetto di continuità. L’Uno e il Tutto. E’ una visione olistica musicale, quella di Frank Zappa.

    “La mia opera comprende ogni possibile mezzo di comunicazione visuale: la consapevolezza di chi vi partecipa (pubblico incluso), tutte le mancanze percettive, Dio la Grande Nota (materia prima dell’architettura universale), e altro ancora. La nostra è un’arte speciale, in uno spazio negato ai sognatori”.
    (Frank Zappa, amante del sinfonismo caotico di Charles Ives)

    “Nell’album Lumpy Gravy degli Abnuceals Emuukha Electric Symphony Orchestra c’è una sezione sul lato 2 in cui diversi personaggi non meglio identificati discutono delle origini dell’universo. Uno dei personaggi spiega il concetto di Big Note (Grande Nota): tutto nell’universo è composto fondamentalmente da vibrazioni – la luce è una vibrazione, il suono è una vibrazione – e tutte queste vibrazioni potrebbero semplicemente essere armoniche di qualche incomprensibile tono cosmico fondamentale”.
    “Quanto è importante il suono? Cosa è più importante: il timbro (trama-colore) di un suono, la successione degli intervalli che compongono la melodia, il supporto armonico (accordi) che dicono al tuo orecchio ‘cosa significa la melodia’, il volume del suono, la distanza tra la sorgente e l’orecchio, la densità del suono, il numero di suoni al secondo o frazione di esso… e così via? Guarda i bambini a scuola mentre battono i piedi o battono le mani. Le persone cercano, inconsciamente, di entrare in sintonia con l’ambiente. In vari modi, anche le persone più indifferenti tentano di “sintonizzarsi” con il loro Dio”. (Gig, febbraio 1977)

    “Tutto nell’universo è fatto di un elemento, che è una nota, una sola nota. Gli atomi sono in realtà vibrazioni, sono estensioni della GRANDE NOTA, Tutto è una nota“. (Frank Zappa dall’album Lumpy Gravy, 2011)

    Sentire il tutto era uno dei doni che rendevano unico Frank Zappa.
    Quando ha fatto suonare la London Symphony Orchestra, FZ ha messo un microfono sotto la sedia di ogni strumentista e, con tecnologia digitale, li ha registrati praticamente uno per uno. Poi, li ha messi assieme in modo che si sentisse una sola nota. Una meganota, fatta dalla somma delle note che ogni strumento stava suonando. Il tutto è più della somma delle parti. Da quella integrazione, viene fuori la bellezza. Andatela a cercare. (Ferdinando Boero, Rolling Stone dicembre 2013)

    G-spot Tornado è stato l’ultimo brano eseguito da Zappa nel concerto di “The Yellow Shark”, un brano strumentale molto complesso. Alla fine del video, la telecamera coglie lo sguardo serio, profondo, commosso e malinconico di Zappa seduto da solo su una cassa. Ad un certo punto, Zappa fa segno con la mano verso l’orchestra “C”, il nostro “DO” nella notazione inglese. Il DO, la Grande Nota, l’ultima eseguita in pubblico da Frank.

  • Frank Zappa e il ritmo

    Frank Zappa e il ritmo

    Frank Zappa – The Gumbo Variations (Hot Rats, 1969)

    (informazioni raccolte dal gruppo What’s Zappa, circa un anno fa)

    “Ci sono persone che non sopportano di sentirmi suonare la chitarra perché non ho un ritmo regolare. Sai, tutti vogliono battere il piede: quando impazzisco, perdono continuità, non riescono a contare il tempo, quindi lo rifiutano totalmente. Vogliono quelle cose belle, sicure, dritte e ce ne sono un sacco in giro, ma non venire da me perché non sono il tipo che fa per te. Non mi piace suonare dritto, regolare, è innaturale per me. Non mi piace nemmeno ascoltarlo, non è il mio mondo”. (Guitar World, marzo 1982)

    Zappa considerava il ritmo e la batteria come la sostanza della musica. Qualsiasi genere si suonasse, secondo lui doveva avere un metro. Coniò il concetto di dissonanza ritmica.
    Frank Zappa credeva nel contrasto, nella combinazione di elementi semplici ed elementi complessi. L’impianto della canzone tipica di Frank Zappa è modale invece che tonale.
    La modalità può essere vista come una tavolozza di colori rispetto ai due tasti bianchi e neri della tonalità. Nello specifico, Il Modo Lidio è fondamentale nella musica di Frank Zappa. Il Modo Lidio (o Scala Lidia) è una scala modale che noi costruiamo sulla quarta nota della scala maggiore. (Giordano Montecchi, storico e critico musicale)

    “Mi piace l’idea di una musica in cui sia possibile battere il piede a tempo e ascoltare contemporaneamente cose che si muovono in irritante contrasto con il ritmo di base”.
    (Frank Zappa)

    “Quando compongo, la mia idea principale spesso parte da varie teorie musicali e mi chiedo cosa succede se faccio questo o quello, quali sono i limiti fisici di ciò che un ascoltatore può comprendere in termini di ritmo? Quanto è grande l’”universo dei dati” che le persone possono assorbire e percepire come composizione musicale? Questa è la direzione in cui sto andando”. (Frank Zappa)

    “Quando si ha un ritmo regolare occorre scontrarsi con esso sovrapponendo una frase dal ritmo molto irregolare. Questa frase, però, deve essere suonata con molta precisione, non come verrebbe suonata nel corso di un’improvvisazione: deve diventare una specie di bestemmia nei confronti del concetto ritmico originale”. (Frank Zappa)

    Una volta, in un’intervista radiofonica, hai detto qualcosa riguardo alla scrittura di “armonia percussiva”…
    “Certo. Puoi scrivere dissonanza ritmica e puoi anche scrivere l’equivalente della consonanza ritmica. Quello che definirei un ritmo dissonante è 23/24, dove le cose si strofinano l’una contro l’altra proprio nello stesso modo in cui le note sono a mezzo passo l’una dall’altra ed hanno una certa tendenza ad ‘arricciare’ le orecchie. I ritmi leggermente ‘distanti’ l’uno dall’altro creano un altro tipo di dissonanza lineare. Un tipo di ritmo consonante sarebbe come la musica da marcia o da discoteca, dove tutto è boom, boom, boom”. (Guitarist, giugno 1993)

    “Sogno strumenti che obbediscano al mio pensiero e, contribuendo con il loro mondo di suoni mai immaginati prima, si pieghino alle esigenze del mio ritmo interiore”.
    (Edgar Varèse)

    “Gran parte delle persone non usa i poliritmi ed i ritmi più complessi, non li considera molto naturali ma ci sono stati compositori che hanno lavorato in quel campo. Per me è stato un grande shock quando qualcuno mi ha inviato un album di un gruppo olandese che aveva “Ballet Mécanique” di George Antheil da un lato e dall’altro brani per violino e piano. In quel momento, ho giurato che avrei potuto scriverli per via dei ritmi. Era esattamente lo stesso tipo di cose che avrei fatto io. Non avevo mai sentito questi pezzi prima: erano nell’armadio di qualcuno. Il ritmo è ciò che senti. La maggior parte delle persone nell’Europa occidentale tende ai ritmi in due, tre e quattro, mentre nell’Europa orientale, molte persone si sentono a proprio agio con 5, 7, 9. In India si sentono a proprio agio con tutto, dal 2 al 13, qualsiasi cosa”. (Rhythm, luglio 1989)

    “Molti hanno un’idea sbagliata del ritmo. Possiamo suonare in 4/4 e fare cose davvero strane in 4/4. Allo stesso modo, puoi suonare in 9/16 e suonare anche alcune cose davvero noiose come succede a molti gruppi jazz rock. Bisogna sovrapporre cose interessanti su una base ritmica costante anziché avere un’intera band che suona un mucchio di riff all’unisono da 8 o 16 note”. (Guitar, maggio-giugno 1979)

    “Ho sempre lavorato con musicisti capaci nella sezione ritmica, ma non posso dire se siano sempre stati entusiasti di ciò che stavo suonando, se lo comprendessero bene o se si siano davvero divertiti. È difficile spiegare ai ragazzi appena entrati nella band il mio concetto ritmico: si basa su idee di equilibrio metrico: eventi lunghi e sostenuti contro gruppi con molte note su un battito come numerose sestine, settimine e cose del genere. Preferisco una sezione consapevole della pulsazione ritmica in grado di creare una base che non si muova, per darmi modo di fluire sopra di essa”. (Guitar Player, gennaio 1977)

  • Frank Zappa e la musica orientale

    Frank Zappa e la musica orientale

    “9-8 Objects” (dall’album postumo “Everything is healing nicely”, 1999)
    “Transylvania Boogie”, Warren Cuccurullo (1996)

    Frank Zappa su Ravi Shankar: “Penso che il mio modo di suonare derivi probabilmente più dai dischi di musica folk che ascoltavo; musica mediorientale, musica indiana, cose del genere. Per molti anni, ho avuto “Music On The Desert Road”, un album con tutti i tipi di musica etnica diversa dal Medio Oriente. Lo ascoltavo tutto il tempo – amavo quel tipo di musica. Atmosfera melodica. Ascoltavo musica indiana, Ravi Shankar e così via, prima di realizzare “Freak Out”.
    L’idea di creare una melodia da zero basata su un ostinato o un singolo accordo che non cambiava mi faceva sentire a mio agio. Se ascolti musica classica indiana, non è solo pentatonica. Alcuni dei raga che usano sono molto cromatici, tutti sostenuti su una fondamentale e una quinta che non cambia; usando queste scale cromatiche possono implicare altri tipi di armonie. Gli accordi non cambiano; cambia il modo di percepire dell’ascoltatore in base a come le note della melodia vengono guidate contro il basso”. (Frank Zappa – Unholy Mother, Guitarist Magazine, giugno 1993).

    “La mia musica preferita, dopo quella bulgara, è la musica tradizionale indiana. Si tratta di una forma di serialismo molto interessante, anzi uno dei primissimi esempi di musica seriale, ed è sicuramente più piacevole da ascoltare rispetto alla musica seriale contemporanea: esistono regole precise per determinare, in un dato raga, quali gruppi di note può essere utilizzato in direzione ascendente e in direzione discendente, così come i limiti entro i quali queste stesse note possono variare nell’improvvisazione, e in un certo senso tutto questo è molto seriale. Penso che ci sia una certa affinità con il mio modo di lavorare, perché anch’io mi avvicino a materiali tonali e cose che a volte non sembrano tonali sullo schermo; si dissolve nell’attenzione agli schemi compositivi. (Riccardo Giagni, Sonora n. 4 – 1994)

    Cosa pensi della musica indiana?
    “Ho sempre amato la musica indiana. Pensavo di andare in India per ascoltare questa musica ma poi ho scoperto quanti vaccini dovevi fare e di quali malattie eri a rischio e ho semplicemente ascoltato i dischi. Mi piace la musica indiana e mi piace molto la musica bulgara”.
    Sei mai stato ad un concerto di donne bulgare? Le hai incontrate?
    “È stata un’esperienza piuttosto spaventosa. Portano con sé i musicisti. C’è un ragazzo che suona la batteria o qualcosa come la chitarra, ma questi ragazzi sembrano far parte del KGB bulgaro, come cani da guardia del gruppo. Avevano un look speciale, un cappotto di pelle nera, ed erano nel backstage. Una volta terminato il concerto, le ragazze erano tutte nei camerini. Stavano aspettando in fila per un ricevimento formale e noi siamo entrati per salutarci e poi ci hanno fatto uscire. Non potevi avere alcuna comunicazione con loro.”
    Hai mai ascoltato musica africana, roba tribale?
    “Sì, l’ho ascoltata. Molte persone sono affascinate dal ritmo, ma il ritmo non è così entusiasmante per me. Non sono interessato alla musica africana quanto a quella bulgara, sarda o indiana. Penso che molte persone ascoltino musica africana e vogliano consumarla nello stesso modo in cui consumerebbero un disco di drum machine americana. Questo ritmo fantasioso e regolare. Il mio gusto per il ritmo va in altre direzioni”. (1994)

    Sei sempre stato sottovalutato come chitarrista rock. Il tuo stile è basato sul blues ma è molto originale e distintivo.
    “La base deriva sia dalla musica orientale sia dal blues. Penso che sia naturale per me. Parte dell’influenza orientale, è simile ai suoni greci, turchi, bulgari e indiani”.
    (Down Beat, 18 maggio 1978)

    Tra i principali riferimenti musicali di Frank Zappa – oltre a Igor Stravinskij, Edgar Varèse e Olivier Messiaen – ricordiamo la world music (prima che andasse di moda). Era attratto dal canto a tenore sardo, dalla musica classica indiana in stile dhrupad, Ravi Shankar, musica bulgara. Per lui la distinzione tra “musica pop” e “musica seria” non aveva alcun significato.
    “Le persone a cui piace la mia musica si divertono: non la consumano perché è arte, ma perché ci provano gusto”. Da questo punto di vista, lo si potrebbe descrivere come uno dei primi compositori postmoderni.

    Ravi Shankar è menzionato nell’elenco delle influenze all’interno della copertina di “Freak Out!” (1966) sotto il titolo: “Queste persone hanno contribuito materialmente in molti modi a rendere la nostra musica quello che è. Per favore, non avercela con loro” .

    Jimmy Carl Black ha ricordato che Zappa fece ascoltare Shankar a lui e al resto dei Mothers nell’autunno del 1965: “Abbiamo chiesto perché e lui ha detto:” Perché inizieremo a fare cose del genere”.