“Zappa esprime la musica del villaggio globale. Non è più musica strettamente americana o un genere ben definito. Frank suona musica sui generis che diventa di genere solo quando lui si diverte a farlo: è un qualcosa a sé stante, un non-genere. Non ci sono più limiti e non ci sono barriere. Questa è la lezione più grande che lui abbia dato perché, in qualche modo, coinvolgeva anche la musica colta, il jazz, quello che è stato e che sarà la musica rock commerciale, la musica delle radio, la muzak vera e propria, il kitsch, qualsiasi cosa. Tutto è buono se utilizzato nella maniera giusta”.
(Ernesto Assante, critico musicale, Mangiare Musica giugno 1994)
“Zappa è, in qualche modo, il Gershwin del rock alternativo, rappresenta la capacità di usare tutto nella stessa maniera. L’altra sua geniale intuizione fu quella di laicizzare il rock che, in quel momento, stava correndo grandi rischi di retorica, di mistica, nella stessa California dove operava lui. La California più altisonante, trionfalistica, che aspirava alla musica come tautologia globale dell’universo”.
“Mi piace definirlo come una sorta di anticorpo prodotto dal rock stesso nel suo momento di massima autocelebrazione. Zappa era questo, in senso totale, soprattutto attraverso gli strumenti della satira. La sua musica si è sempre espressa a un doppio livello, a volte compresente, a volte separato. Da una parte, affermazione, la proposta di strutture musicali innovative come, ad esempio, le composizioni di Grand Wazoo e Waka/Jawaka, dove c’è un valore di affermazione puro e semplice di nuove strutture musicali. Dall’altra, negazione con la satira, la derisione, la distruzione delle convenzioni”.
“Il suo rapporto con la psichedelia era molto ironico. Ha sempre detestato e combattuto l’uso delle droghe, un comportamento molto anomalo in quegli anni. Era un laico, predicava l’espansione della coscienza in un modo del tutto personale, dal punto di vista culturale, né mistico né psichedelico. Poi, dimostrò un gran carattere nel ridicolizzare da subito le pose delle rockstar. Metteva in scena la parodia di una certa prosopopea dello strumentista e del virtuosismo tecnico, un immediato controcanto alla retorica di quegli anni”.
(Gino Castaldo, critico musicale, Mangiare Musica giugno 1994)
Perché Zappa non ha mai creato una scuola di pensiero che proseguisse il suo cammino?
“Non è questo un problema soltanto di Zappa ma di tutti i grandi individualisti. Zappa ha sempre fatto una musica che era la diretta rappresentazione di se stesso e della sua personale visione del mondo, perciò può soltanto avere degli epigoni, non dei continuatori. Data invece la mole di opere che ci ha lasciato, gli studi zappiani continueranno ancora per decenni.
Qual è stato il ruolo della tecnologia nelle composizioni di Zappa?
“Zappa aveva imparato che la conoscenza degli aspetti matematici della musica non è niente di astrattamente neo-pitagorico, ma una sorta di fucina da cui si possono ottenere risultati profondi a patto di essere aggiornati sulle tecnologie esistenti e di avere la possibilità di sperimentare. Fu tra i primi ad utilizzare le tecnologie musicali elettroniche. Riguardo al Synclavier, la ditta che lo produceva accusò il musicista di sottoporre la ‘creatura’ a stress perché Frank pretendeva di usarlo in maniera impropria forzandone i circuiti per ottenere più di quanto il Synclavier potesse dare, pur essendo a tutt’oggi lo strumento digitale più complesso, almeno tra quelli che si producono in serie. Per usare un paradosso, ci si potrebbe chiedere quanto Zappa abbia influito sulle tecnologie, non viceversa. Come Ellington o Stockhausen, Zappa creava musica in base alle sonorità che aveva a disposizione, umane o tecnologiche che fossero. La ragione per cui molti suoi lavori recenti sono rimasti incompiuti sta nel fatto che lui ‘fabbricava’ i suoi suoni e così, ogni volta che riprendeva dalla memoria del Synclavier le composizioni in gestazione, non riusciva a portarle avanti perché il suo istinto gli suggeriva di modificarne radicalmente i timbri e ciò gli portava via moltissimo tempo”.
“Frank Zappa è stato uno dei primi ad usare i cartoni animati, che rimangono la parte migliore del film 200 Motels e per i quali si avvalse della collaborazione di Chuck Swenson. Zappa è sempre stato un grande frullatore di immagini e, anche in questo film, introduce tutti gli elementi della cultura freak, dal tipo di disegni e colori alla contestazione della cultura ufficiale, pur standone sempre un gradino più in alto. Il gusto di girare l’aveva sempre avuto: già giovanissimo realizzava filmini in 8mm. Aveva fatto proprio il concetto avanguardistico di arte totale di derivazione futurista. Ha molte caratteristiche che risalgono ai surrealisti e ai dadaisti, ad André Breton. Zappa ha il grosso pregio di aver intuito, quasi 10 anni prima, il discorso del videoclip ma anche il pericolo che l’eccesso di trucchi maltratti la musica come, però, secondo me avviene in 200 Motels”.
(Giandomenico Curi, giornalista e regista, Mangiare Musica giugno 1994)
Non sappiamo quanti alpinisti abbiano scalato lo Zombie Roof senza corda, di sicuro sono pochi.
Zombie Roof è il nome di una scogliera orizzontale situata sullo Smoke Bluff Wall a Squamish, una roccia orizzontale della Columbia britannica in Canada.
Prende il nome da una canzone di Frank Zappa, “Zombie Woof”.
La scala di difficoltà di Zombie Roof è 5.13°/12d.
Di recente, questa scogliera è stata scalata da Gus Ryan, uno degli scalatori più famosi del mondo.
“A Frank piaceva mettere alla prova la gente che suonava con lui. Una volta ci stavamo preparando per andare a suonare in Inghilterra. Tre giorni prima della partenza, lui arrivò e ci disse che ogni brano dello show sarebbe stato eseguito in versione reggae. Era un vero e proprio ordine. Ci facemmo un mazzo tanto per due giorni di seguito. Dopodiché lui arrivò tutto contento e disse: “Bene, ho cambiato idea, non facciamo più nulla in versione reggae”.
Bologna, ’73. Zappa e i Mothers post-Grand Wazoo festeggiano il primo decennale. Per conto mio, la sera stessa, incontro colei che cinque anni più tardi diventerà mia moglie. Nella nostra memoria affettiva dunque, viziata per di più da un’inguaribile passione per la musica dell’italo-americano, Zappa acquista un posto d’onore tutto particolare.
Los Angeles, ’82. Una session per l’Uomo Vogue apre le porte di casa Zappa a Laurel Canyon. Tre giorni indimenticabili, trascorsi tra il missaggio dell’album Ship Arriving Too Late To Save A Drowning Witch, l’arrivo di Kent Nagano per discutere l’esecuzione orchestrale di Sinister Footwear, la partenza per le vacanze di Dweezil, una visita guidata nel bunker ad alta sicurezza in cui sono conservate migliaia di registrazioni audio video, l’ascolto di nastri inediti e di vecchi singoli dei Penguins, le risate della moglie Gail.
Alla fine, l’irresistibile richiesta di un autografo. FZ ghigna beffardo all’aneddoto del mio primo incontro con Letizia. “A quale concerto vi siete conosciuti?” chiede. “Bologna ’73” è la risposta immediata e lui giù a vergare a tutte maiuscole: “A Guido e Letizia, vedete cosa succede a fare gli stupidi ad un concerto rock a Bologna?”.
“E’ semplice e complicato allo stesso tempo. Ci sono certi ritmi naturali di base. Quanto spesso la Luna diventa piena? Una volta al mese, d’accordo. Quello è un ritmo. Quando sale la marea? Quando scende? Ecco un ritmo. Qual è il tuo battito cardiaco? E’ un ritmo. Chiamiamoli ritmi naturali. Non che mi interessino, ma ci sono. C’è anche un tempo medio con cui la gente conduce la propria vita. Quello è un ritmo. Se quello medio non esistesse, la gente non saprebbe se sta andando veloce o lenta… Ora, la musica, il modo in cui si connette col comportamento umano, tiene conto delle implicazioni di questi ritmi naturali universali. Certi tipi di musica li rinforzano. La disco-music, per esempio, ti batte sulla testa e rinforza il tuo ritmo di produzione. Qualsiasi cosa devii da quel rinforzare il tuo ritmo di produzione può essere percepito come ritmicamente dissonante. La dissonanza quando è risolta è come avere un prurito e grattarsi. Quando è irrisolta è come avere un mal di testa per tutta la vita. La musica più interessante di cui mi occupo è musica nella quale la dissonanza è creata, sostenuta per un giusto periodo di tempo e risolta e tu hai la tua grattatina e via di nuovo. Il concetto di dissonanza nel mio lavoro opera su livelli differenti. Puoi avere la dissonanza ritmica. Qualunque ritmo che vada contro la tendenza di un ritmo naturale è un disturbo per il tempo in cui esiste la dissonanza. Ma una volta che torni al ritmo di base, puoi guardare indietro e dire: “Hey, era affascinante ciò che è successo. Non sapevo che tu potessi comprimere tutte quelle battute in quell’unico ciclo”. Lo stesso accade con l’armonia. Certi accordi, quando li senti, è come dire “Ah, adesso siamo rilassati perché tutte le armoniche sono in fila da qui a là ed è tutto completo, è come un bell’accordo in Do maggiore”. Come il ronzio che ti danno con la musica new age che fa in modo che il tuo cervello resti seduto. E’ tutto là, non c’è nient’altro da fare. E’ già fatto. Ora, per quanto tempo puoi ascoltarla? Tanto, se sei molto simile a una medusa. Ma se tu, in quell’ambiente armonico includi qualche nota irritante, note che non sono parte della struttura armonica, fino a che la nota si avvicina a una delle parziali in quell’accordo statico – come certe note vogliono salire, altre scendere, alcune possono davvero vivere là al minimo volume ed essere un inquinante nell’accordo, dare tessitura all’accordo. Tutta questa roba fa parte del mestiere di compositore. La stessa cosa con le parole. Devi capire l’intero concetto di ritmi naturali, cose che esistono e che la gente dà per scontate, e l’idea che uno possa creare un’irritazione artificiale per un certo periodo di tempo tale da dare una sensazione piacevole quando finisce. E’ come il bambino che si colpisce con il martello. “Perché lo fai?”. “Perché è bello quando smetto”. In medicina è come la gente che vuole essere di nuovo giovane, va e si fa una sabbiatura alla faccia. Probabilmente non si sentono molto bene, ma quanto tutto è finito, assomigliano a Mick Jagger”.
Da tempo minato da un male incurabile, il più dissacrante artista dei nostri tempi non rinuncia alla sua passione per la musica. Fino all’ultima stilla di energia.
Arrivano le prime notizie preoccupanti sulla sua malattia e su un definitivo testamento musicale (“The Yellow Shark”) che tutti guardiamo con apprensione come ad un possibile, veramente definitivo, addio.
ZAPPOLOGIA
Si tratta quasi dell’opera omnia ufficiale, nulla di filologico ma una meritoria iniziativa di divulgazione. Sarebbe folle tentare un esame dettagliato e bisogna limitare il commento a qualche indicazione telegrafica.
– Assolutamente imperdibile “Freak Out“, l’album dell’esordio, un grande mix di canzoncine, rock-blues e follie (‘Help I’m A Rock”, ‘The Return Of The Son Of Monster Magnet’, ecc.);
– “We Are Only In It For The Money“; grande copertina a presa in giro dei Beatles di ‘Sgt. Pepper’s…’ e contenuto a base di acide cattiverie (The idiot bastard son”, “Flower punk”);
– “Cruising With Ruben & The Jets“, che contiene il vero amore di Zappa, il rock & roll e il doo-wop degli anni cinquanta;
– “Uncle Meat“, il top delle Mothers con le avventure di “Dog Breath” e “King Kong” e il grande Zappa chitarrista di “Nine Type Of Industrial Pollution”.
– “Hot Rats“, dedicato a chi ama l’improvvisazione più vicina al jazz con i violini swinganti di Jean Luc Ponty e Sugarcane Harris;
– “Weasels Ripped My Flesh“, una raccolta “postuma” delle prime Mothers, il meglio di un progetto di album decuplo (!!) forzatamente abortito;
– “The Grand Wazoo“, grande musica orchestrale ideata, arrangiata e composta suila sedia a rotelle; a vent’anni di distanza non fa una grinza;
– “OverNite Sensation“, che non è uno degli album più interessanti, ma è di gran Jung a il più noto e contiene alcuni punti fermi del repertorio zappiano (“Camarillo Brillo’, “Montana”, ecc…);
– “Zoot Allures” viene dopo alcuni exploits non proprio felici; da qualcuno è considerato l’emblema della seconda rinascita di Frank e contiene le versioni canoniche di “Black Napkins” e di “Torture Never Stops”;
-“Zappa ln New York“: disco tenuto in non grande considerazione, secondo me a torto: specialmente la riedizione in CD rende piena giustizia a questa band zeppa di illustri ospiti (Randy e Michael Brecker, Tom Malone e altri);
– “Sheik Yerbouty” testimonia la formazione con Adrian Belew, tra prese in giro dei colleghi (Bob Dylan in “Flakes”, Jackson Browne in “I’ve Been In You”) e insulti vari al vetriolo (“Jewish Princess”, “Bobby Brown”);
– “Shut Up’n Play Yer Guitar” coi suoi vari seguiti è la prima vera autorivendicazione di Zappa corne chitarrista. C’è perfino un duo di bouzouki e viola improvvisato con un Jean Luc Ponty in stato di grazia a mo’ di ciliegina su una torta già ricchissima;
– “Ship Arriving Too Late To Save A Drowning Witch” è una buona testimonianza della band ’81/82 Contiene anche l’unica “top ten” a 45 giri della storia zappiana, il mitico (?) “Valley Girl” cantato – si fa per dire – dalla figlia Moon;
-“London Symphony Orchestra vol.1” è particolarmente consigliabile per un approccio con lo Zappa sinfonico; sappiamo peraltro di furibondi litigi tra F.Z. ed il direttore d’orchestra Kent Nagano durante le prove e di irriferibili insulti rivolti agli strumentisti con riferimento alle loro capacità esecutive e mentali: ma il risultato, velenosi commenti di Zappa a parte, sembra francamente eccellente;
– “Guitar” è il secondo manifesto dello Zappa chitarrista, quasi due ore di estratti senza soluzione di continuità con sequenze sbalorditive il cui vertice può essere considerato il duplice trattamento di “Outside Now”, in un caso ribattezzato come ‘System Of Edges”;
– “The Best Band That You Never Heard ln Your Life“, ovvero l’inarrivabile orchestra del 1988. Cosa dire se non del rammarico per la prematura scomparsa di un’esperienza unica: torride rivisitazioni di materiale antico (“Heavy Duty Judy”, “Inca Roads”, “The Eric Dolphy Memorial Barbecue” per citare le cose più belle) e fantastiche cover (da “Stairway To Heaven” dei Zeppelin al “Bolero” di Ravel, per tacere dell’incredibile “Purple Haze” di hendrixiana memoria stralunata durante un sound-chek!!!);
– “Make A Jazz Noise Here“, ancora la band del 1988 e se possibile un album ancora più bello; prevalentemente strumentale, contiene anche l’ultima (per ora …) grande creazione zappiana dal titolo emblematico di “When Yuppies Go To Hell”;
– Della serie “You Can’t Do That On Stage Anymore” mi sento di raccomandare in particolare il 5° volume, che comprende una serie di gustose anticaglie delle prime Mothers ma, soprattutto, la band del 1981/82 al suo meglio.
(di Roberto Del Piano, Hi, Folks!, novembre/dicembre 1992)
Gli umoristi – siano essi musicisti, scrittori o attori – hanno sempre avuto spesso tratti depressivi; alcuni comici si sono persino suicidati.
“Non mi vedo come una persona depressa. L’unica volta che ho preso seriamente in considerazione il suicidio è stato quando ero malato terminale. Il mio unico pensiero era trovare il modo più rapido e semplice per liberarmi del mio dolore. Penso che sia una ragione accettabile per suicidarsi e sono sicuro che chiunque abbia mai sofferto sarebbe d’accordo con me, ma ucciderti perché pensi che la vita sia una tragedia e il mondo sia una valle di lacrime no, non è il mio stile”.