Frank Zappa's mustache - Music is the Best

Tag: improvvisazione

  • Frank Zappa conductor: hand signals

    Frank Zappa conductor: hand signals

    Alcune immagini tratte dal documentario “Frank Zappa the Best conductor ever”
    Drowing Witch assolo (Live Stony Brook, NY, 3 novembre 1984)

    FAIR USE

    Chi ha frequentato una scuola di musica e studiato direzione d’orchestra, sa che c’è una serie comune di segnali con le mani da apprendere. Questo funziona bene per la musica orchestrale, ma una band elettrica richiede qualcosa di più. Nessuno ha mai diretto una band come l’eclettico Frank Zappa.
    Frank ha fatto sì che i suoi musicisti esprimessero la sua musica in un modo provato ma spontaneo che ha perfettamente senso, in un modo che pochi bandleader hanno mai usato allo stesso livello.
    (Bobby Owsinski)

    A 22 anni Frank Zappa scrisse la prima partitura per large ensemble, “Opus 5”, una verbosa emulazione di certi lavori di musica colta, che introduce al Grande Mito Zappiano: la musica per orchestra (Riccardo Bertoncelli).
    “Opus 5” è la prima musica orchestrale d’avanguardia del giovane Frank Zappa (1963). Frank la presentava come “improvvisazione libera”: i segnali delle dita suggerivano agli artisti quale dei frammenti dovevano suonare in un certo momento. Zappa dirigeva, suonava la cetra e introduceva i brani.

    “Ho sviluppato i miei segnali manuali unici nel ’67. Un giorno mi è venuto in mente che, se stai suonando distante e la sezione ritmica si trascina, è naturale allungarsi, battere il tempo e accelerarlo. Non puoi semplicemente prendere i tempi e (agitando la mano destra intorno) modellarli come preferisci. Ho provato a portare i tempi in aree flessibili per enfatizzare certe cose sul palco che stavano accadendo o effetti sonori musicali da inserire, indicati anche da segnali. Abbiamo sviluppato una sorta di vocabolario e verso il ’68 abbiamo iniziato a sperimentare il vocabolario vocale”.
    (Frank Zappa, Melody Maker, 23 ottobre 1971)

    “Con Zappa bisogna sempre tenere gli occhi aperti perché ci sono moltissimi segnali visivi. Se Frank tiene la mano sopra la testa con le dita in basso e poi agita le dita avanti e indietro, come una nuvola carica di pioggia, vuol dire: ‘suona come i Weather Report’. Se si tira una ciocca di capelli alla sinistra della testa, come un dreadlock, vuol dire reggae; se lo fa da tutti e due i lati significa ‘suona ska’.
    (Chad Wackerman, Musician n. 70, agosto 1984)

    Zappa dirigeva le improvvisazioni collettive attraverso un suo codice di segnali. Te li ricordi?
    Beh, ha usato così tanti segnali per così tanti anni… Ma ricordo che era come una segnaletica da ‘baseball coach’, quello che dà i segni per quando bisogna fare la seconda base e tutto il resto. Frank era come il coach, l’allenatore, e usava segnali per farci fare certe cose in certi momenti. Nel bel mezzo di una canzone dava un segnale, noi eseguivamo l’ordine e poi tornavamo alla canzone.
    Usava proprio i segnali convenzionali del baseball?
    Sì. Se tornassi sul palco con Frank Zappa li ricorderei immediatamente, come se si trattasse di andare in bicicletta o di nuotare. Quando suonavamo durante tutto lo show i miei occhi non lasciavano mai Frank Zappa, nemmeno per guardare una ragazza tra il pubblico: nessuno osava perché non sapevi mai quando lui stava per dare un segnale per cambiare quello che stavamo suonando in qualcos’altro.
    Ogni show, ogni serata era diversa: ad un segno di Frank cambiava tutto, la gente non credeva ai propri occhi e i nostri spettacoli erano pieni di musicisti tra il pubblico.
    (intervista a Jimmy Carl Black di Gianfranco Salvatore, Percussioni, gennaio 1994)

    “Frank usava dei segni con le dita per passare da un tempo in 5/8 a 7/8 o altro, poi saltava per aria e, quando tornava giù, eravamo già passati ad un altro pezzo…”.
    (Bunk Gardner, Classic Rock, luglio 2015)

    “Il mio “stile” di direzione (così com’è) è tra l’inesistente e il noioso. Cerco di mantenere i segnali al minimo necessario affinché i musicisti facciano il loro lavoro semplicemente indicando dove si trova il ritmo. Non mi considero un ‘direttore d’orchestra’.
    “Conduzione” è quando crei “disegni” nel nulla – con un bastone o con le mani – che vengono interpretati come ‘messaggi didattici’ da ragazzi con il papillon che vorrebbero pescare”. (Frank Zappa, l’autobiografia)

    La rivista Creem, nel mese di settembre del 1974, ha pubblicato 10 fotogrammi. Tra questi, troviamo:
    3 – Smettere di suonare e muoversi sul palco
    6- Produrre rumori predefiniti. Toccando i capelli ad entrambi i lati, suonare l’intera sequenza. Toccando la parte destra, suonare la prima sequenza. Toccando la parte sinistra, suonare la seconda sequenza. La sequenza è costituita da 12 battute divertenti chiamate “the works”
    10 – Un gesto oscuro, che Frank ha usato in uno o due concerti. Ficcare un dito nell’orecchio destro durante un assolo significa essere pronti. Frank dà loro il downbeat per poi riprogrammare o le parole o l’azione fisica.

    https://www.youtube.com/watch?v=kdQT_EP0a0c&t=1130s

  • Frank Zappa, The Black Page #1 & #2: improvisation mother of the composition?

    Frank Zappa, The Black Page #1 & #2: improvisation mother of the composition?

    The Black Page #1 (dall’album Lather, 1996)
    The Black Page #2 (dall’album You Can’t Do That On Stage Anymore, Vol. 5, 1992)
    The Black Page #2 (Live Palladium, New York, 1981)
    The Black Page #2 (Live Zappa Plays Zappa con Steve Vai e Terry Bozzio, 2006)
    The Black Page (versione inedita 1981-82)

    The Black Page è come un gioco di specchi: musica scritta che, mentre simula l’improvvisazione, svela invece la sua natura di testo scritto. L’ascolto di The Black Page è un’esperienza che ha a che fare con l’impossibilità, una sensazione analoga a quella che suscitano certi momenti virtuosistici della musica indiana, quando due maestri improvvisano all’unisono sulle forme del raga e del tala o quando il percussionista, con assoluta precisione, scandisce a voce la sequenza dei colpi che poi eseguirà sui tablas.
    In The Black Page logica compositiva e logica improvvisativa alludono l’una all’altra in modo virtuale, simulato. Ma è una simulazione che rimanda a uno dei metodi compositivi forse più originali e suggestivi di Zappa, vale a dire l’utilizzare le registrazioni di brani improvvisati particolarmente riusciti come piattaforma su cui costruire una composizione. E’ difficile stabilire se e fino a che punto la scrittura di The Black Page sia eventualmente debitrice di qualche improvvisazione precedentemente registrata. Se così fosse la cosa non stupirebbe più di tanto. Ugualmente difficile è stabilire in che misura Zappa abbia fatto ricorso a questa tecnica compositiva e in quali brani essa abbia trovato applicazione. Secondo la testimonianza di David Ocker e anche secondo quanto afferma Ben Watson, “la dialettica di improvvisazione/trascrizione dal nastro/composizione è sempre stata uno dei metodi di Zappa”. Tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta, alcuni degli assoli trascritti da Steve Vai, ritrascritti a loro volta per altri strumenti, e la stessa Black Page divennero materiali d’uso corrente su cui si esercitavano i componenti della band oppure vennero rielaborati in ulteriori composizioni. “Tutti all’epoca – ricorda Ocker – suonavano The Black Page e circolavano anche altri lavori del genere”. Sinister Footwear III, While You Were Art, Manx Need Women sono solo alcuni dei brani dove si rielabora un materiale nato dall’improvvisazione. Queste pagine ci documentano un rifiuto testimoniando l’incompatibilità del segno scritto con una materia la cui natura estemporanea e istintiva non accetta di farsi decifrare e misurare con uno strumento limitato quale è la scrittura musicale. Viene a galla quanto insegnano gli studiosi della comunicazione ovvero il fatto che la nostra epoca – l’epoca in cui il compositore rischia l’estinzione – ci mette di fronte al profondo gap esistente tra cultura del segno scritto e cultura dell’oralità. E’ in questa interzona che abita e lavora Frank Zappa ricercando i modi attraverso cui questi due universi possono interagire fra loro sul terreno musicale.
    Come partitura il Guitar Book è un fallimento o meglio l’emblema di una cultura musicale che annaspa impotente a dar conto di una realtà sonora altra, che sfugge alla sua capacità di lettura e di comprensione. In questa veste cartacea, Zappa sembra godere nel mettere in corto circuito le due polarità.
    (estratto dal libro Frank Zappa Domani di Gianfranco Salvatore)

    The Black Page” è stato scritto prima come un assolo di batteria, poi Frank ha usato quei ritmi per scrivere una melodia.
    (Guitar World, febbraio 1999)

    “The Black Page” di Frank Zappa è considerata la composizione più difficile per batteria e percussioni.
    Presenta ritmi più che complessi ed è rigida: segna esattamente quali pelli o piatti colpire non lasciando alcuna scelta al batterista.
    The Black Page include gruppi irregolari da brividi, spesso l’uno dopo l’altro (addirittura troviamo “undicimine” ovvero 11 note nella durata di un battito). Molti di questi gruppi irregolari si trovano all’interno di altri gruppi irregolari. Il termine inglese per definire questi gruppi è “nested tuplets”.
    La composizione prevede di dividere una battuta da quattro quarti in tre parti uguali, poi di prendere un terzo di battuta e di suddividerlo in cinque parti uguali.
    All’interno di questa composizione si trovano tutti i ritmi più difficili della musica occidentale: chi riesce a suonarla è un vero e proprio maestro del ritmo.
    Due maestri? Vinnie Colaiuta e Terry Bozzio.

    La “Pagina Nera” allude alla trascrizione su pentagramma della composizione: l’obiettivo di Frank Zappa era quello di tendere ad una complessità tale da riempire di nero (senza, del resto, riuscirci) l’intero spazio della scrittura.

    Nell’album dal vivo Zappa in New York, Zappa parla di “statistical density” (densità statistica) del brano The Black Page. Zappa intendeva descrivere la sua complessità ritmica con uso estensivo di gruppi irregolari molto elaborati, il tutto però incluso in una cornice “regolare” di un metro in 4/4.

  • Frank Zappa – L’arte dell’improvvisazione

    Frank Zappa – L’arte dell’improvvisazione

    Jam 1974 – Civic Center Arena St.Paul, MN.
    Dal gruppo Facebook What’s Zappa (fornisco i link di tutte le citazioni pubblicate e dei video consigliati)

    “Ogni mio assolo di chitarra suonato dal vivo potrebbe essere trascritto e sarebbe una vera composizione che sarei lieto di firmare” (Frank Zappa).

    “Ho una conoscenza meccanica di base del funzionamento dello strumento e ho un’immaginazione. Quando arriva il momento di suonare un assolo, sono io contro le leggi della natura”. (Frank Zappa)

    Frank Zappa è entrato allo Steve Allen Theater, mi ha guardato negli occhi e ha detto: “Suono la bicicletta musicale”. Ho detto: “Cosa?” e lui “Voglio insegnare a Steve come soffiare musica con la bicicletta.”
    Ho detto ok, vai a prendere la tua bici e fammi vedere come si fa. E’ esattamente quello che ha fatto: ha “accordato” i raggi con una chiave prima di pizzicarli. Poi ha soffiato alcune note attraverso l’estremità aperta del manubrio. Andò avanti così per un po’ di tempo con variazioni. La melodia era intrigante anche se non coerente.
    (Los Angeles Free Press, july 8, 1966 by Jerry Hopkins)

    “Amo la musica, mi piace suonare, salire sul palco e improvvisare un assolo di chitarra. Salire sul palco e suonare qualcosa che nessuno ha mai sentito prima è la sfida istantanea di andare contro le leggi della fisica e della gravità. Questo mi piace fare. Questo è … sesso, è meglio del sesso. Ti porta in un regno della scienza e non puoi farlo seduto a casa o in uno studio di registrazione. Non mi darebbe la stessa sensazione… Ci sono molti bravi chitarristi là fuori ma ti garantisco che sono l’unica persona a fare quello che sto facendo. Non sono una star della chitarra. Suono composizioni istantanee con la chitarra. Voglio prendere un cambio di accordi o un clima armonico e voglio costruire una composizione sull’impulso del momento che abbia un senso, che vada in un luogo dove nessun altro vuole andare, che dica cose che nessun altro vuole dire, che rappresenta la mia personalità musicale, con un contenuto emotivo da trasmettere al pubblico”.
    (Frank Zappa, Guitar World, marzo 1982)

    “Il concetto di improvvisazione, che costituisce la normale progressione di una composizione, non esiste più nella scena pop. Questa è una delle maggiori perdite degli anni 80” (Frank Zappa, Guitare & Claviers n. 73, aprile 1987)

    “Mi interessa suonare le melodie così come mi vengono in mente – contro il clima armonico, contro la sezione ritmica. È un atto di composizione, non un atto di esibizione chitarristica. È proprio come scrivere, tranne per il fatto che non c’è nessun copista, non c’è orchestra: inventi e vai” (Frank Zappa, Pop & Rock, febbraio 1980).

    “La mia musica è come una di quelle torture a base di privazione del sonno: quando non dormi per un lungo periodo di tempo, dopo un po’ cominci a vedere e a sentire cose che non esistono veramente, ma che sono comunque molto interessanti. Lo stesso può accadere nello spazio di una composizione, cercando di conoscere in anticipo le reazioni psicologiche a ciò che si scriverà ed incorporandole alla composizione stessa. Tu sai quello che gli ascoltatori si aspettano di ascoltare e, proprio negando ciò che si aspettano, puoi riuscire a procurare loro sensazioni che normalmente non avrebbero…” (Frank Zappa).

    “C’è un vuoto sempre più ampio tra ciò che suono con la chitarra e ciò che scrivo sulla carta. L’intento è sostanzialmente diverso. Quando ho una chitarra tra le mani, quello che voglio esprimere è ciò che sto pensando in quel momento, la progressione di accordi che passa; l’80% delle volte riesco a proiettare ciò che sta accadendo. Sono un compositore che suona la chitarra e quello che voglio fare con lo strumento riguarda non solo le singole note ma il suono generale come se stessi disegnando immagini. Cerco di mantenere il suono più spontaneo possibile”.
    (Frank Zappa, 22 novembre 1969)