Frank Zappa's mustache - Music is the Best

Tag: Jimmy Carl Black

  • FZ: “Jimmy Carl Black, un talento raro”

    Frank Zappa su Jimmy Carl Black

    “L’elemento che mi ha impressionato dei Soul Giants, essendo un appassionato di rhythm & blues, è stato Jimmy Carl Black, l’unico batterista che avessi mai visto in grado di suonare come il batterista di Jimmy Reed. Aveva il disprezzo assoluto per la tecnica, capisci cosa intendo? La totale dedizione a fare boom-bap, boom-bap. Un talento raro”.

    (Bat Chain Puller, 1990, da Frank Zappa di Kurt Loder, 1988)

  • Frank Zappa e Jimmy Carl Black, illustrazione rivista ELDA 1972

    Disegno che mostra, tra gli altri, FZ e Jimmy Carl Black
    (ELDA 2-1972, rivista tedesca di Amburgo)

    Frank Zappa e Jimmy Carl Black, illustrazione rivista ELDA 1972
  • U.S. Radio interview 1967 with Frank Zappa, Jimmy Carl Black, Ian Underwood, Motorhead, Don Preston

    U.S. Radio interview 1967 with Frank Zappa, Jimmy Carl Black, Ian Underwood, Motorhead, Don Preston

    FZ Captain Beefheart Movie / Grown so ugly story
    Highschool/snoffer
    Vocal improvisations over taped background
    Previous bands/jobs
    Ronny and Kenny story
    FAIR USE
    from GSW Project
    https://www.youtube.com/playlist?list=PLNIorVgbZlD2XTUfoO6ZIXw1O_IcnW7ya

  • Frank Zappa e Jimmy Carl Black – intervista seconda parte

    Frank Zappa e Jimmy Carl Black – intervista seconda parte

    Frank Zappa – Lonesome Cowboy Burt (dal film “200 Motels” – 1971)

    Intervista a Jimmy Carl Black (l’indiano del gruppo) di Gianfranco Salvatore (Percussioni, gennaio 1994) Seconda parte

    Tutti riconoscevano la creatività di Frank?
    Era ed è un uomo molto creativo, tutti sapevamo quanto e per questo lo rispettavamo, anche quando si arrabbiava da matti.

    Gli arrangiamenti dei brani cambiavano di frequente?
    Continuamente. Io e Roy Estrada non leggevamo la musica, a noi li spiegava a voce. Prima ancora che Zappa facesse qualcosa io capivo quel che avrebbe fatto. Tutti lo capivamo in maniera molto telepatica.

    A proposito di questa ‘telepatia’: alcuni tra i momenti più impegnativi delle vostre performance, anche dal punto di vista ritmico, erano quelli in cui Zappa dirigeva le improvvisazioni collettive attraverso un suo codice di segnali. Te li ricordi?
    Beh, ha usato così tanti segnali per così tanti anni… Ma ricordo che era come una segnaletica da ‘baseball coach’, quello che dà i segni per quando bisogna fare la seconda base e tutto il resto. Frank era come il coach, l’allenatore, e usava segnali per farci fare certe cose in certi momenti. Nel bel mezzo di una canzone dava un segnale, noi eseguivamo l’ordine e poi tornavamo alla canzone.

    Usava proprio i segnali convenzionali del baseball?
    Sì, in effetti li usa ancora. Se tornassi sul palco con Frank Zappa li ricorderei immediatamente, come se si trattasse di andare in bicicletta o di nuotare. Quando suonavamo durante tutto lo show i miei occhi non lasciavano mai Frank Zappa, nemmeno per guardare una ragazza tra il pubblico: nessuno osava perché non sapevi mai quando lui stava per dare un segnale per cambiare quello che stavamo suonando in qualcos’altro.
    Ogni show, ogni serata era diversa: ad un segno di Frank cambiava tutto, la gente non credeva ai propri occhi e i nostri spettacoli erano pieni di musicisti tra il pubblico.

    Una volta, per descrivere l’eclettismo e le possibilità strumentali dei Mothers of Invention, Frank Zappa disse: “non si sa mai chi suona la batteria”. Cosa voleva dire?
    Non lo so ma so che non è vero. Bunk Gardner suonava talvolta il tamburino e Don Preston il campanaccio, nient’altro. In realtà, anche Ray Collins o Motorhead a volte suonavano un tamburello e Don Preston aveva un suo gong. Ma io e Art Tripp eravamo gli unici a suonare la batteria, a parte Frank che a volte si avvicinava alla mia batteria e la suonava. Lui pensava di saperla suonare… Shut up and play your guitar, Frank…

    Eppure, recentemente, nel volume 5 di You can’t do that on stage anymore Zappa ha pubblicato un estratto da un vostro concerto nell’aprile 1969 alla Colgate University di New York dove, in un episodio intitolato FZ/JCB Duet Zappa e Art Tripp improvvisavano a turno alla batteria accompagnati da te. Accadeva spesso che Zappa suonasse la batteria dal vivo?
    No, solo una volta ogni tanto.

    Comunque, Zappa ha ammesso che intorno ai 18 anni passò dalla batteria alla chitarra perché non aveva abbastanza coordinazione tra mani e piedi.
    Esatto, era questo il suo problema.

    Parliamo di Art Tripp. Ti ricordi quando entrò nel gruppo in sostituzione di Billy Mundi?
    Non fu una sostituzione. Billy Mundi uscì dal gruppo e Art Tripp ci entrò. Penso che il primo concerto con lui fu alla Colgate University di Attica, NY, quello del dicembre ’67. Suonava soprattutto la batteria, aveva un set molto bizzarro che io non avrei mai potuto suonare. Era un trap set in tutto e per tutto: ne avevamo due sul palco, il suo e il mio.

    Perché Art Tripp odia tanto Frank Zappa?
    Non penso che lo odi.

    Ha detto di lui cose terribili. Dopo lo scioglimento dei Mothers ha dichiarato che Zappa è un arrangiatore e non un vero compositore, che ha copiato dai compositori classici, che ha rubato idee a tutti…
    Ti dirò quel che è giusto. Art Tripp non può mai aver detto che Frank non abbia scritto delle buone parti per lui perché per Art è sempre stato come una sfida eseguire la musica che Frank ha scritto per lui perché leggeva a prima vista. Però, sai, il gruppo fu molto ferito quando Frank lo sciolse; questa è la ragione di certe dichiarazioni molto amare. Anche Bunk Gardner e a volte Don Preston hanno detto brutte cose di Frank perché erano ancora amareggiati per il modo in cui lui sciolse il gruppo, non per il fatto di averlo sciolto. Non ci fu nessun preavviso, fummo tagliati fuori da un momento all’altro dopo essere stati assieme per sei anni. Anch’io ne fui amareggiato perché ero stato con Frank fin dall’inizio, ma l’ho superato, non è durato a lungo. Mi son detto che lui doveva aver avuto una ragione per fare quello che aveva fatto e che io dovevo andare avanti con la mia vita. Non l’ho mai odiato per quello che ha fatto.

  • Frank Zappa e Jimmy Carl Black – intervista prima parte

    Frank Zappa e Jimmy Carl Black – intervista prima parte

    Intervista a Jimmy Carl Black (l’indiano del gruppo) di Gianfranco Salvatore (Percussioni, gennaio 1994)
    Prima parte

    Nella sua autobiografia Zappa ha scritto che tu gli piacevi perché gli ricordavi il batterista dei vecchi dischi di Jimmy Reed.
    Giusto. E’ da lì che ho imparato a suonare. Compravo i dischi di Jimmy Reed, accendevo il giradischi, mi sedevo e imparavo quei beat dai dischi. Non so come si chiamava il batterista ma so chi era il bassista di Jimmy Reed, Willie Dixon.

    Negli anni ’60 Zappa ha mai chiesto a voi membri originari dei Mothers of Invention di ascoltare i dischi di Varése?
    Sì e li ascoltavo, è da lì che ho imparato. Ho ascoltato anche Stravinskij ed altre cose perché amo veramente la musica classica. Frank ci spingeva a conoscerla ed amarla. Una volta a New York (nel 1977) Frank comprò biglietti a tutto il gruppo per un concerto al Lincoln Center della suite dell’Uccello di fuoco di Stravinskij. Fu addirittura minaccioso: ci disse che, se quella settimana volevamo essere pagati, dovevamo andare a vedere quel concerto. Fummo obbligati. Era la prima volta che vedevo un balletto classico e mi piacque molto. Fu un’esperienza nuova, una grande esperienza per tutta la band. In seguito, cominciammo a fare le nostre versioni di quel tipo di roba sul palco, ma erano versioni trasformate, divertenti.

    Hai mai visto Zappa ballare?
    Sì che l’ho visto. L’ho visto danzare nei locali. Era un buffo ballerino, non sapeva ballare molto bene. Era talmente buffo che sembrava uno scherzo, infatti ballava solo per scherzare.

    I Mothers of Invention erano ritmicamente all’avanguardia. Quando Zappa vi illustrava i nuovi brani, come organizzava il ritmo, i cambiamenti di tempo, i poliritmi?
    Mi spiegava come suonarli, me li insegnava e io poi li suonavo a modo mio. In ogni caso, è stato lui a mostrarmi come suonare in 5/8, 7/8, 9/8, 15/8… Mi mostrava questi ritmi alla batteria, suonati in maniera molto semplice. Con Art Tripp (il batterista-percussionista classico aggiunto ai Mothers alla fine del 1967) era diverso perché lui leggeva la musica avendo suonato in orchestre sinfoniche prima dei Mothers, e Frank doveva semplicemente scrivergli quello che voleva.

    I Mothers furono uno dei primissimi gruppi a suonare con due batterie. Ma pochi sanno che, prima ancora di Billy Mundi e di Art Tripp, si pensava di aggiungere a te, come batterista, un certo Denny Bruce.
    Sì, Denny Bruce doveva essere il secondo batterista, ma non so bene quel che accadde con lui. Frank voleva provare con due batterie già prima della registrazione di Freak Out, il nostro primo album. Denny Bruce fu contattato nel periodo in cui provavamo per il disco (nel 1966). Sai, Frank aveva sempre idee per nuove sperimentazioni, come appunto avere due batterie, ma a volte non portava a compimento queste idee. L’idea delle due batterie Frank l’ha avuta per molto tempo, prima dell’ingresso effettivo di un secondo batterista che avvenne nel secondo album Absolutely Free.

    Quando entrò nel gruppo Billy Mundi, l’originale secondo batterista ufficiale dei Mothers?
    Forse ad agosto-settembre del 1966. Credo un paio di settimane prima dell’ingresso di Don Preston e Bunk Gardner nei Mothers.

    Una delle vostre specialità, soprattutto dal vivo, era suonare alcuni pezzi dove c’erano melodie, ritmi, addirittura brani interi sovrapposti.
    Era una cosa su cui ci esercitavamo a lungo, abbiamo imparato a farlo. Provavamo molto, otto ore al giorno. Queste prove erano molto intense. A volte, Frank non c’era e Ian Underwood faceva da direttore musicale: l’ha fatto dal ’67 al ’69. Frank gli dava le nuove musiche scritte e se non andavamo alle prove Frank non ci pagava. Se ne mancavamo una dovevamo procurarci un certificato medico.

    C’erano momenti in cui Frank si arrabbiava molto?
    Sempre. Se qualcuno faceva un errore, gli errori non erano ammessi. Poteva farli solo lui (sulla chitarra), nessun altro. Una volta sono stato perfino licenziato.
    (continua nella seconda parte)