“Essere amico di Frank era facile e difficile al tempo stesso… era troppo fuori dalle regole umane”.
“Sento la sua mancanza ogni volta che guardo il telegiornale o leggo un quotidiano; l’umanità non saprà mai quante battute ironiche ha perso dalla scomparsa di Frank Zappa. Ma per quelli che credono nel karma, come me, c’è la certezza che ci ritroveremo nella prossima esistenza”.
“Una delle cose fantastiche della sua opera musicale è la Conceptual Continuity. Una volta entrato nella musica di Frank, la dimensione temporale svanisce. I decenni tra un album e l’altro si percepiscono solo comparando le tecniche di registrazione. Tutta la musica di Frank è come il suono della sua chitarra: Bionic Funk”.
Secondo te, qual è la base primigenia della musica di Zappa?
La musica commerciale, la tv, la pubblicità. Lui ha mixato la muzak, la “musicaccia”, con Edgar Varèse, con una impostazione moderna, classica.
Mi avevi anche detto che la sua base era il rock’n’roll…
Certo! La base popolare, il blues. C’è un pezzo famoso, autobiografico Merely A Blues In A, che dice: quando sei perso e non sai che fare, suona un classico blues in Do. Lui l’ha recuperato dopo, ascoltando la musica. Se tu ascolti le prime cose, quando suonava al liceo con Captain Beefheart, era tutta muzak e generi degli spot commerciali, messi in forma classica. La sua grandezza era… i testi di denuncia, ironia e folklore, che vengono dal folk. Non a caso. quando Bob Dylan gli chiese di produrre un suo disco, lui mi disse: “No, no… sai che palle?”.
Mi racconti questa storia?
È una storia divertente. All’epoca avevano da poco ucciso John Lennon e la polizia era abbastanza in allarme negli USA. Gail diceva che aveva visto lo stesso tizio che gironzolava due o tre volte fuori dal cancello a Laurel Canyon e chiamò la polizia, che le disse di stare molto attenta. Allora lei diede a Frank una mazza da baseball, visto che dal cancello si arrivava subito al basement dove c’era lo studio e dove lavorava lui. E dunque Frank, che stava sempre lì, teoricamente poteva essere aggredito da chiunque avesse scavalcato il cancello. Frank aveva questa mazza da baseball e aveva Daggy, una grossa cagna che dovevi sapere che c’era perché era talmente buona, silenziosa e pigra ed era sempre ai piedi di Frank che stava seduto per ore al mixer con quella mazza da baseball accanto. Poi Frank non era proprio un tipo atletico, non aveva manualità però aveva la mazza da baseball… non si sa mai… io lo vedevo perché stavo lì con lui che stava editando un video, forse Uncle Meat, editava spezzoni da concerti, era bravissimo a fare queste cose. Squilla il telefono, lui risponde e mette giù e gli chiedo chi fosse e lui: “Un tizio che diceva di essere Bob Dylan…”. Il telefono squilla di nuovo, Frank risponde e mi guarda: “È davvero Bob Dylan!”. Finisce la telefonata e mi dice: “Viene qui perché vuole che gli produco un disco”. Io dico: “Bob Dylan?”, e lui: “Sì, sì, ma a me non va per niente”. Gail poi mi raccontò che Bob Dylan aveva già provato a chiamare a casa sette o otto volte e ogni volta diceva: “Buongiorno, sono Bob Dylan” e Gail tutta in paranoia per via del tizio che aveva visto bazzicare fuori dalla casa, gli riattaccava il telefono in faccia. A un certo punto Dylan disse: “Per favore non riattaccate!”. Comunque, riescono a darsi un appuntamento. Suona il campanello di casa, Frank, come gli avevano suggerito i poliziotti, si arma di mazza da baseball, io lo seguo e il cane Daggy comincia ad abbaiare come un matto e tutti insieme scendiamo per le scalette che portavano al cancello e dietro c’era, piccoletto, Bob Dylan che faceva fatica a entrare, guardava il cane che abbaiava e ringhiava.
Tu eri presente, giusto?
Sì, io ho assistito zitto zitto e dicevo tra me e me, “Madonna! Frank Zappa e Bob Dylan!”. Insomma, Dylan gli propose di produrre il suo nuovo album, doveva andare in sala di registrazione e cercava di fare una cosa diversa. “Apprezzo molto la tua musica e mi farebbe piacere che lo facessi tu”, e Frank per dirgli di no dice: “Io lo faccio a una condizione: io scrivo le parole e tu la musica”. Evidentemente non gli andava di farlo. Io rimasi a bocca aperta e pensavo, “Oddio Frank, ma che, sei matto?”. Continuarono la discussione, Bob Dylan gli dice: “Be’, interessante, vediamo, potrebbe essere un’idea però io le canzoni le ho già scritte…”, insomma capisce che era un no da parte di Frank e se ne va via così.
E perché, secondo te, FZ gli disse di no?
Io gli dissi proprio: “Frank! sei matto?”, e lui: “Ma quello è un ‘born again’, comincia a fare Gesù, Gesù di qua e Gesù di là”, e infatti l’album che doveva fare Frank è quello che poi ha prodotto Mark Knopfler, tutto basato sulla religione. Dylan si era convertito al cattolicesimo e aveva tutte le canzoni così. Parliamo di INFIDELS, un album famosissimo.
(tratto dall’intervista a Massimo Bassoli di Salvo Cuccia, Ciao 2001 marzo/aprile 2025)
“Frank aveva una visione globale della sua produzione, il disco usciva fuori da solo. Lui prendeva le registrazioni dei tour anche degli anni precedenti, le montava, mischiava lo stesso brano suonato in due o tre tour diversi, prendeva la batteria di Terry Bozzio, il basso di qualcun altro, la chitarra… e faceva i missaggi. Non eri in grado di comprendere cosa stesse facendo, a meno che non riconoscessi il ritmo della canzone. Lui mischiava tutto. E non sapevi mai dove andava a finire. Quando registrava con la band, poi, non sapevi dove finiva. ‘Tengo una minchia tanta’ è finita sul remake di un disco che aveva fatto. Era tutto nella sua mente. Lui suonava e registrava, continuamente. Chiamava il tecnico, andava allo studio e si metteva a suonare un assolo. Però poi quell’assolo tu non sapevi dove andava a metterlo, su quale brano. Era totalmente assorbito dalla sua musica. In albergo l’unica cosa che aveva, a parte qualche groupie che ogni tanto gli capitava, era un gigantesco spartito sul quale lui, in qualsiasi momento, scriveva. Frank trasformava qualsiasi rumore in note. Durante le tournée ci divertivamo con Smothers [la guardia del corpo di FZ, ndr] perché nelle conferenze stampa dopo un po’ si annoiava, noi lo capivamo perché quando si annoiava cominciava a battere il piede destro, stava con le gambe accavallate. Ma il piede destro non gli ballava a caso, lo faceva suonare e andava al ritmo musicale delle domande che gli facevano. Quando vedevamo questo, dicevamo “È finita… ora troverà il modo di staccare”. Ma quella cosa che lui suonava poi se la ricordava, hai capito la genialità di Frank quale era? Praticamente, lui prendeva dall’ambiente un ritmo musicale, delle note, che poi puntualmente diventavano una canzone.
(dall’intervista a Massimo Bassoli di Salvo Cuccia, Ciao 2001 marzo/aprile 2025)
“Tante volte ho visto Frank fare una smorfia mentre suonava la chitarra e non capivo con chi ce l’avesse. Poi alla fine diceva: “Tu in quel brano hai sbagliato questo…!”. E tutto questo era avvenuto mentre Frank faceva per esempio un assolo. Con un orecchio sentiva il suo assolo e con l’altro ascoltava il batterista e il bassista se sbagliavano i tempi. Il percussionista Ed Mann, che aveva una serie gigantesca di tamburi e percussioni che sembrava una cattedrale, suonava sempre guardando Frank, aveva il terrore di sbagliare”.
(tratto dall’intervista a Massimo Bassoli di Salvo Cuccia, Ciao 2001 marzo/aprile 2025)
“Quando lo incontrai a Capri per la presentazione del tour del 1982, mi raccontò che sull’elicottero che da Napoli lo portò a Capri ebbe come uno strano svenimento. Ridemmo del fatto che il dottore chiamato all’hotel Quisisana lo visitò e poi gli disse: “Take an Aspirine and go to bed”. Divenne il nostro tormentone per commentare ogni cosa che non ci sembrava giusta. Purtroppo era il primo segnale della malattia. Successe la stessa cosa anche a mio padre, che persi nel 1985. L’anno dopo persi anche mia madre e quando Frank mi chiamò per consolarmi accennò che anche lui aveva iniziato ad avere dei “fastidi”, ma non ci feci molto caso. Un po’ di tempo dopo mi disse che un dottore gli propose di “cut your dick” o almeno provare una terapia sperimentale meno invasiva. Lui ovviamente scelse quella… sbagliando. Alla fine della cura sperimentale decise per l’operazione alla prostata, ma ormai era troppo tardi, perché il tumore aveva attaccato la spina dorsale. Lo andai a trovare nel 1991: era a casa che scriveva musica, mixava brani e fumava, imperterrito, le sue 60 Winston al giorno. Ricordo che buttando un pacchetto vuoto chiese a Gail di portargliene uno nuovo e lei glielo tirò addosso con rabbia dal corridoio. Gail piangeva tutto il giorno in cucina, dove c’erano cassette piene di arance da tutte le parti: era la disperata dieta che le aveva suggerito il dottore. Frank non era allegro ma rideva, commentava la tv e con i suoi silenzi mi faceva capire che era consapevole di essere agli sgoccioli. Una pena terribile”.
(estratto dall’intervista a Massimo Bassoli di Salvo Cuccia, Ciao 2001 marzo/aprile 2025)
“Il genio di Frank non è solo nella composizione, nel sarcasmo, nell’orecchio perfetto. Il genio di Frank stava anche nella sua incredibile capacità di coinvolgere profondamente chi aveva intorno. Sto ancora aspettando qualcuno che riesca a suonare bene la musica di Frank anche senza Frank. Persino i suoi musicisti di sempre, quelli che hanno suonato per vent’anni con lui, quando, dopo la sua morte, sono andati in tour a suonare brani che avevano suonato per decenni NON SI POTEVANO SENTIRE. Come mai? Perché, come ti ho già detto, Frank era un artista puro, un tutt’uno con la sua musica”.
(estratto dall’intervista a Massimo Bassoli di Salvo Cuccia, Ciao 2001 marzo/aprile 2025)
“Frank prima rinchiudersi tre giorni nel Twickenham Film Studio di proprietà degli Who, per registrare quello che sarebbe diventato LSO Zappa Vol. 1, dovette affittare anche la Barbican Hall, metterci tutta l’orchestra per fare il concerto. Io assistetti a tutte le prove, dove Zappa ogni 5 minuti interrompeva Kent Nagano, il direttore, per fargli notare gli errori che ogni singolo elemento dell’orchestra faceva. Poi, nell’intervallo, tutta la sezione fiati decise di fare un salto al pub che sta di fronte al teatro…Tornarono tutti alticci, un disastro. Frank era sconvolto, io cercavo di sdrammatizzare facendolo ridere con le mie battute sull’alcolismo inglese. Comunque la sera del concerto, quando Nagano invitò Frank a dirigere l’orchestra per il bis, Strictly Genteel, io mi nascosi ai piedi degli orchestrali e riuscii a fotografare Frank con le lacrime agli occhi quando dirigeva l’apertura armonica di quella splendida melodia. In quel momento ho visto la realizzazione di un musicista che, nonostante gli errori e i problemi, sentiva la sua composizione eseguita da un’orchestra sinfonica. È stato un momento molto, molto emozionante”.
(estratto dall’intervista a Massimo Bassoli di Salvo Cuccia, Ciao 2001 marzo/aprile 2025)
14 luglio 1982 – Stadio “La Favorita”, oggi noto come Renzo Barbera (Palermo).
Frank si trova in tour in Italia, una folla di fans lo attende con ansia da mesi.
Colpito dalla gente del posto che ripete costantemente la parola ‘minchia’ nei suoi discorsi, chiede all’amico Massimo Bassoli di scrivere un testo per una canzone contenente questo termine in ogni strofa.
Nella fase di soundcheck nasce, quasi per caso, questo testo dadaista.
Il concerto, come ricorda Salvo Cuccia nel documentario “Summer ’82: when Zappa came to Sicily”, venne interrotto per disordini.
“Frank è un genio e, come tale, non ha radici o, meglio, le ha tutte. Aspetti della sua personalità erano tipicamente americani, i gusti squisitamente italiani. Il modo di ragionare decisamente unico. Convivevano in lui il pragmatismo anglosassone, il caos latino e una punta di bizantinismo al limite del bacchettone. Aveva delle straordinarie aperture culturali di una laicità estrema”.
“Frank mi strinse la mano. Al contatto fisico percepii qualcosa… Era la sua energia, le sue vibrazioni, la sua incredibile presenza. Anni dopo, lessi in un’intervista su Playboy di come Marlon Brando dominasse lo spazio fisico dove si trovava piuttosto che occuparlo come succede alle altre persone. Era così anche con Frank”. “Frank non era un uomo solo ma solitario. Nella nostra cultura occidentale, l’idea di essere soli fa ancora paura. Credo che, tra tutte le persone che conosco, Frank sia quella che meglio di tutte riusciva a godere della compagnia della propria immaginazione. In questo, era assolutamente un illuminato”. “Era terribilmente timido (lo so che nessuno ci crede), ma quando ti abbracciava recuperava tutte le occasioni perdute. Tutto lo interessava ma non rubava tempo alla sua musica per nient’altro. Tutti noi abbiamo nella nostra mente tutta la conoscenza dell’universo. Frank l’aveva chiaramente dischiusa. In questo senso, resterà un modello per l’umanità”. (Massimo Bassoli, Prog Italia luglio 2017)