E’ possibile definire lo stile di Zappa? “Esiste uno Zappa realista e uno surrealista, che si esprimeva in due forme: verbale e grafica. Zappa aveva introiettato fin da piccolo un atteggiamento tra il dada e il surreale nei confronti dell’espressione verbale, manipolabile fino a livelli allucinatori. In ogni concerto decideva the secret word (la parola segreta della serata). Quella parola costituiva un tormentone negli intercalari e negli interventi parlati della band, finiva per modificare anche i testi delle canzoni. La sua attenzione per il potere della parola era nata quando da bambino aveva trovato, in un vecchio libro, la teoria egizia della trasmigrazione dell’anima e della vita ultraterrena. Il Faraone, fin da piccolo, doveva imparare le parole-chiave che designavano ognuno dei luoghi che l’anima avrebbe dovuto attraversare dopo il trapasso: guai a sbagliare il nome! Ciò suscitò in lui la convinzione che la realtà fosse condizionata dalle parole e che ogni paradosso fosse affidato alla manipolazione del linguaggio. Un’altra forma della sua creatività musicale era invece di carattere grafico e risaliva all’età di circa 14 anni, quando le sue conoscenze musicali andavano poco oltre la lettura di spartiti per percussioni non intonate. Si mise a comporre musica scritta perché era affascinato dalla resa grafica delle note sul pentagramma e si era convinto che conoscendo le regole combinatorie e il significato delle note sul pentagramma si fosse automaticamente compositori. Fin da ragazzino applicò metodi complessi come le tecniche seriali e microtonali. Cambiò radicalmente idea sulle sue opere giovanili quando ebbe modo di ascoltarle, e allora si rese conto che la verità musicale è una verità pratica, che il momento in cui un’opera è finita è quello in cui si giudica soddisfacente la sua resa sonora. A decidere, insomma, è l’orecchio. Fu, da questa prospettiva, un totale empirista, che però aveva un sesto senso per le relazioni formali di tutti i tipi. Uno strutturatore nato, un ‘compositore’ per tutti i media”. (Gianfranco Salvatore, musicologo, biografo di Frank Zappa – Mangiare Musica giugno 1994)
The Mud Shark (Live At Fillmore East, giugno 1971)
“La gente non parla in 4/4 o 3/4, parla dappertutto. La mia chitarra tende a seguire la cadenza naturale del linguaggio parlato: per me, la cosa più difficile è suonare ‘dritto’, battere e levare”. (Frank Zappa)
Questo interesse per la lingua parlata trapela spesso nella musica di Frank Zappa tanto nelle composizioni vocali quanto in quelle strumentali. Certe figurazioni ritmiche complesse fanno sospettare che siano in qualche modo ispirate alla scansione del linguaggio parlato, quasi alla ricerca di una natura ritmica alternativa o antagonistica alla misurazione metronomica. Anche The Black Page sembra non di rado assumere le movenze tipiche di un parlare fortemente concitato.
(dal libro Frank Zappa Domani di Gianfranco Salvatore)
“Una melodia è come un discorso: puoi dire una frase con una pausa qui, un’enfasi qui e assume un significato diverso. Un particolare gruppo di note non è solo una parola, è un intero concetto. Confrontalo con i caratteri cinesi”.
(Frank Zappa, Journal Frankfurt n. 19, settembre 1992)
“La gente non parla con un ritmo regolare. Nelle conversazioni ci sono pause, inflessioni, diversi tipi di accelerazioni e ritardi, quindi perché non si potrebbe suonare allo stesso modo? Se fai un assolo, in un certo senso ‘parli’ al pubblico, giusto?”.
(Frank Zappa, Chitarre n. 73, aprile 1992)
“Il linguaggio può comunicare certe cose ma, rispetto a ciò che puoi trasmettere con un paio di buone note, è piuttosto grezzo. Ci sono un paio di buone note da suonare con una chitarra impossibili da descrivere a parole, che trasmettono significati vasti, interi panorami di informazioni che proprio non puoi scrivere. Ti danno una reazione fisica istantanea. Ovunque colpiscano, vedrai i volti delle persone accartocciarsi e inizieranno a reagire direttamente. Ecco perché mi piace la musica molto più della lingua scritta”.
(Record Review, aprile 1979)
“Ho sempre odiato la poesia, mi fa venire i brividi. Drammi, sofferenze, mani sul petto a pugno chiuso, testa chinata, foglie che cadono dagli alberi, tutta quella merda la odio”.
“Non mi piacciono i libri. Leggo molto raramente. Gli scrittori hanno a che fare con qualcosa che è quasi obsoleto (ma non lo sanno ancora) che è il linguaggio. Il linguaggio come sottoprodotto della crescita tecnologica della civiltà ha… beh, pensate a cosa è successo alla lingua inglese a causa dello slogan pubblicitario: i significati delle parole sono stati talmente corrotti che, da un punto di vista semantico, come si può trasmettere un’informazione accurata con questa lingua?
“Penso che, idealmente, le parole dovrebbero essere usate solo a scopo di divertimento perché la parola pronunciata, il suono delle parole … mi divertono le differenze nei meccanismi di produzione del rumore delle persone. Riguardo alle informazioni comunicate con le parole, sarebbe meglio se le persone potessero comunicare telepaticamente”.
(In Their Own Words, aprile 1975)
“Zappa aveva introiettato fin da piccolo un atteggiamento tra il dada e il surreale nei confronti dell’espressione verbale, manipolabile fino a livelli allucinatori. In ogni concerto decideva the secret word (la parola segreta della serata). Quella parola costituiva un tormentone negli intercalari e negli interventi parlati della band, finiva per modificare anche i testi delle canzoni. La sua attenzione per il potere della parola era nata quando da bambino aveva trovato, in un vecchio libro, la teoria egizia della trasmigrazione dell’anima e della vita ultraterrena. Il Faraone, fin da piccolo, doveva imparare le parole-chiave che designavano ognuno dei luoghi che l’anima avrebbe dovuto attraversare dopo il trapasso: guai a sbagliare il nome! Ciò suscitò in lui la convinzione che la realtà fosse condizionata dalle parole e che ogni paradosso fosse affidato alla manipolazione del linguaggio.
(Gianfranco Salvatore, Mangiare Musica giugno 1994)
“Le parole sono interessanti, sono come sostanze chimiche. Le metti insieme con una certa composizione ad una certa temperatura e produrranno un determinato composto. Varialo anche leggermente e potresti ottenere un composto completamente diverso”.
“Ogni volta che uso una parola, devo spiegare a chiunque debba cantarla come pronunciarla”.
(Frank Zappa, The Dallas Times Herald, 19 ottobre 1975)
Frank Zappa ha scelto di manipolare il linguaggio e i contenuti dei suoi testi a tal punto da creare una propria, talvolta difficilmente interpretabile, lingua.
Il linguaggio zappiano sboccato e sfrontato, ironicissimo e irriguardoso è un meraviglioso esempio di come si possano creare gustosissimi neologismi mescolando slang nero a dialetti italiani, raffinati francesismi alle peggiori trivialità anglosassoni.
(Giancarlo Trombetti, Sonora n. 4 – 1994)