
Finora non ho mai scritto del mio rapporto con Frank Zappa. Contrariamente a molte informazioni pubblicate anche dallo stesso uomo, si trattava di un rapporto di grande significato. Ero con lui quando scrisse Who Are The Brain Police; sono stata il soggetto di alcuni dei suoi primi lavori e la mia voce è apparsa in molti dei suoi album precedenti. Anche se non ho parlato con molte persone della mia storia, quando lo faccio mi spingono costantemente a raccontare storie. È passato così tanto tempo che ora mi rendo conto che è davvero storia, ed è mia intenzione condividere una visione chiara e onesta dal mio punto di vista. Quando Frank ed io eravamo insieme, per noi gli oroscopi non esistevano davvero. Erano i primi giorni per tutta quella roba. Ricordo chiaramente un giorno in cui ci sedevamo a leggere Vergine e Sagittario ed eravamo preoccupati che questa differenza potesse avere un impatto negativo sulla nostra amicizia. Si potrebbe dire che conoscevo un Frank diverso da quello ammirato da tutti i suoi fan. Conoscevo Frank prima che arrivasse al mondo, quando veniva evitato dall’establishment, quando non riusciva a ottenere un concerto al Whiskey o al Trip perché aveva detto “fanculo” sul palco.

Conoscevo Frank prima del contratto discografico. Ricordo di aver parlato al telefono con Captain Beefheart la sera in cui Frank scrisse Who Are The Brain Police. “Voglio che tu parli con il mio amico Don” disse “È un grande artista. Si fa chiamare Capt Beefheart”. Stavo pulendo la vasca da bagno di Frank in quel momento. Non era un bello spettacolo. Viveva in questo minuscolo posto su queste alte scale in un quartiere messicano, Echo Park. Mentre salivamo le scale ho sentito per la prima volta qualcuno che gridava il suo nome: “Beardo Wierdo”.
Erano tempi difficili. I soldi erano a dir poco scarsi. Avremmo potuto racimolare qualche dollaro per comprare la benzina per la sua station wagon arancione e, in qualche modo, lui avrebbe trovato cinque dollari per pagarmi le pulizie che avevo fatto. Ma se fossero rimasti soldi per condividere uno di quei giganteschi biscotti con gocce di cioccolato di Greenblatt’s sarebbe stato un grosso affare.
Frank era gentile e premuroso, sempre motivato come compositore, diverso dalla folla di Hollywood. Ricordo di essere arrivata ad una festa lungo la strada da casa mia a Kirkwood e di trovarlo disteso sul pavimento. “Sono contento che tu sia qui” disse. Siamo scappati e siamo andati a mangiare torte di frutta nel suo drive-in preferito. Abbiamo trascorso molto tempo lì nella sua macchina ascoltando la radio… Abbiamo parlato di chitarre e più tardi siamo andati nel suo negozio preferito. Mi ha trasmesso l’amore per lo strumento in tutti i suoi contesti. Una sera siamo andati a vedere Howling Wolf in un piccolo club blues. Non era molto affollato, ma era fantastico… Per quanto mi riguarda, non posso discutere di numeri e ristampe, di riprese di concerti dal vivo e di qualità di registrazione.
Il Frank che io conoscevo era il più grande chitarrista del mondo, un compositore di grande intuizione, umorismo, saggezza, un vero genio, ma alla fine il Frank che conoscevo era un amico.

(“500 WORDS ON FRANK” di Pamela Goodheart ZARUBICA, The Rondo Hatton Report vol VI, 21 marzo 2011)