Frank Zappa's mustache - Music is the Best

Categoria: Interviews

  • Il postumo Frank Zappa parla con Bob Marshall (1994)

    Intervista a Frank Zappa dall'Aldilà

    Estratti dall’intervista speciale a FZ intitolata Posthumous Frank Zappa Talks To Bob Marshall” suddivisa in 3 parti datate rispettivamente 29 settembre 1994, 3 ottobre 1994 e 15 ottobre 1994, pubblicata su Flipside 101, aprile/maggio 1996. E’ stata condotta da Bob Marshall attraverso il medium Michael Black Read, il quale ha ‘canalizzato’ gli Evergreens (da 6.500 a 7.000 entità che funzionano da filtro nel contatto con Frank).

    https://ionandbob.blogspot.com/2018/06/the-evergreens-posthumous-frank-zappa.html

    “Vorrei essere di nuovo un musicista in un’altra vita ma non lo sarò nelle prossime vite che vedo”.

    (FZ, dall’intervista “Il postumo Frank Zappa parla con Bob Marshall”, Parte 1-29 settembre 1994)

    Bob Marshall: “Nel 1972 hai dichiarato:

    ‘Credo che la sostanza di base dell’universo sia nella forma delle onde, non delle particelle subatomiche. Se le due componenti dell’universo (le onde e il tempo) sono effettivamente una e se un’onda è uguale a un’onda, tutto il tempo è uguale a tutto l’altro tempo e non andrai da nessuna parte perché ci sei già stato. Osservando tutto questo meccanismo da lontano, sarebbe solo un oggetto solido’.

    Ho incontrato un uomo di nome Irving Dardik che sta sviluppando un’intera teoria della fisica basata sull’idea che tutto ondeggia, che la realtà è fatta di onde che ondeggiano. Mia moglie, coinvolta nel lavoro con lui, quando ha letto la citazione di Zappa, ha detto che è quello che sta dicendo Irving Dardik. Gli Evergreens direbbero che Dardik avrà un’influenza sul pensiero della fisica in futuro?


    Evergreens: “E’ un’onda sull’onda sull’onda sull’onda sull’onda sull’onda sull’onda sull’onda. E’ la visione del Tempo… è una curva a S. Ti avvicini alla curva a S e scopri che c’è un’altra curva a S all’interno di quella. C’è un’altra curva a S in questa. C’è un’altra curva a S in questa. È un tempo frattale.


    Bob Marshall: “Dardik è vicino a quell’idea, vero?”.

    Evergreen: “Sì”.


    Bob Marshall: “Ora, Frank, ci stavi pensando quando ne parlavi vent’anni fa?”.

    FZ: “Ho considerato il tempo più come un’onda perché aveva più senso come onda che come particella… Il tempo è stato creato per impedire che tutte le cose accadano in una volta… Tutto esiste. L’ho scoperto ora che sono qui… La teoria di Dardik sarà legata alla fisica quantistica in misura maggiore di qualsiasi altra. Scoprirete che questa onda (impressa sull’onda impressa sull’onda impressa sull’onda…) dà la risposta in varie aree della fisica quantistica che non sono state trovate in questo momento.


    Bob Marshall: “Questo si riferisce alla riscoperta della risonanza atlantidea?”.

    FZ: “Sì”.


    (FZ, dall’intervista “Il postumo Frank Zappa parla con Bob Marshall”, Parte 1-29 settembre 1994)

    Bob Marshall: “Hai dedicato la tua autobiografia a Stephen Hawking. Sei stato influenzato da Hawking quando hai parlato con me dell’idea del tempo? Voglio dire, abbiamo avuto il colloquio nell’ottobre ’88. Il libro fu terminato nell’agosto ’88. Sei venuto a conoscenza di Hawking più tardi, all’inizio dell’89, per dedicare il libro?”.


    Frank: “Certo, mi ha influenzato”.


    Bob Marshall: “Hai letto il suo lavoro prima che facessimo la nostra intervista nell’88?”.


    Frank: “Sì”.


    Bob Marshall: “Nella nostra intervista, dici che uno scienziato un giorno dimostrerà le tue idee sul Tempo – che tutto sta accadendo tutto in una volta, allo stesso tempo. E’ lui lo scienziato che lo dimostrerà?”.


    Frank: “In parte, ma c’è dell’altro in arrivo”.


    (FZ, dall’intervista “Il postumo Frank Zappa parla con Bob Marshall”, Parte 1-29 settembre 1994)

    Evergreens: “Varese ha evidenziato che da ciò che ha fatto lui a ciò che ha fatto Zappa c’era una progressione. Ora, la discussione tra i due è: quanta influenza ha un compositore su un altro compositore? Quanto incide questa influenza su un compositore? Il punto di Zappa è che la musica stessa diventa derivata, una tortuosità che perpetua uno stile particolare finché qualcuno non esce dagli schemi. Varese è d’accordo con questo ma la discussione tra i due è: rompere gli schemi significa che è opposto a ciò che già esiste e inizia qualcosa di nuovo? O che, essendo opposto a ciò che già esiste, è stato creato dal ciclo tortuoso? Dov’è allora la creatività di un compositore? Come si può distinguere tra ciclo esistente ed inizio di un nuovo ciclo? Cos’è l’originale e cosa è il derivato? Questo pensiero ha seguito la mente di Zappa per anni. Ma ora ha la possibilità di lavorare e interagire con Varese in modo che ci sia un dialogo. Altri sono coinvolti in questo, specialmente quei sostenitori di Stravinsky, Prokofiev, per quanto riguarda la dissonanza culturale. Anche l’individuo Adolphe Sax, l’inventore del sassofono, ha voce in capitolo. Dice che voleva un suono particolare che non fosse prodotto da altri strumenti e che avesse il suono più rotondo e più ronzante in contrasto con il suono più acuto di una tromba o il suono dei legni. La creazione di questo strumento ha causato polemiche perché era uno strumento nuovo. In precedenza, non veniva considerato uno strumento per uso orchestrale. Era considerato un intruso.


    Bob Marshall: Come il sassofono, Zappa ha introdotto un nuovo ambiente?


    Evergreens: “Sì. Ora, ciò che Zappa sta sottolineando è fino a che punto può arrivare la dissonanza. Perché ciò che un’epoca considera risonante, un’altra epoca considera dissonante, specialmente un’era futura, in quanto il sassofono suonato per la prima volta veniva percepito dalle orecchie spesso come dissonante con quello a cui erano state abituate. Il suono del sassofono era per coloro che lo percepivano come un suono squillante. Non aveva il suono controllato. Zappa sottolinea che la musica stessa era controllata dallo strumento. L’introduzione di nuovi strumenti può produrre nuova musica. La nuova musica può produrre nuovi strumenti. Sono gli strumenti che alterano la direzione della musica, e ciò che appare dissonante alla fine comincia ad apparire risonante”.


    Bob Marshall: “Per me, in questo caso, Frank sta applicando il concetto di figura/suolo di Marshall McLuhan in relazione alle nuove tecnologie musicali”.


    Evergreens: “Sì”.

    (FZ, dall’intervista “Il postumo Frank Zappa parla con Bob Marshall”, Parte 2, 3 ottobre 1994)

  • David Walley su Frank Zappa: controversie con il libro “No Commercial Potential”

    David Walley (autore del libro “No Commercial Potential") con Frank Zappa al Newport Jazz Festival, 1969

    Frank Zappa era infuriato con lo scrittore David Walley. Disse che Walley gli aveva inviato la bozza quando avevano già stampato 10.000 copie. Sottolineò che c’erano grosse inesattezze che non avrebbero mai potuto essere corrette.

    “Walley è andato in giro intervistando molte persone, non ha mai fatto riferimenti incrociati, non ha mai esaminato nulla che qualcuno avrebbe detto su qualcun altro. Ha semplicemente messo insieme un sacco di citazioni” (FZ).

    David Walley, nel corso di un’intervista condotta da Paul Remington, ha detto la sua.

    (estratto dall’intervista a David Walley di Paul Remington pubblicata su Zappa Wiki Jawaka)

    “Ero uno dei pochi scrittori a New York che stava dalla sua parte, che sapeva come scrivere di quello che faceva. Frank mi disse: ‘Sei una delle poche persone che capisce quello che faccio’. Mentre stavo concludendo il mio soggiorno a Los Angeles, gli dissi che ero troppo sopraffatto dal materiale, che mi turbava il fatto che lui potesse vivere in un tale caos (la situazione interna alla band, le questioni familiari dietro le quinte, ecc.) e tuttavia essere così solo. Mi guardò in modo molto strano e non disse una parola, ma sapevo di aver colto nel segno. Ricordo di avergli detto che non potevo scrivere il libro, che non sapevo cosa fare. Rispose: ‘Certo che puoi farlo, sai cosa sta succedendo. Sei un bravo scrittore’.

    Credo che avesse difficoltà ad essere onesto con le persone perché pensava che gli avrebbero fatto del male…”.

    “Ho analizzato la musica di Frank Zappa da storico culturale. Era interessante non solo dal punto di vista di ciò che scriveva (testi, assemblaggi musicali di stili), ma anche di come lo faceva. Se fosse stato solo una rock star, pur potendo apprezzare quello che faceva non ne sarei stato così ossessionato…  Era qualcosa di più di una semplice star del rock and roll. Era un compositore che usava il rock and roll come un’altra forma di musica americana. Sono rimasto colpito dal suo uso di forme musicali di ogni genere, così come dal tono satirico dei suoi testi. Aveva le parole e aveva anche la musica, ed era un personaggio americano unico, molto simile a Charles Ives e Howlin’ Wolf… Era anche una figura ‘seria’ e all’epoca ‘controculturale’, ma non nel senso del termine che si dà alla moda…

    Era il 1967. Vidi i Mothers al Garrick Theater di New York City. Quando mi trasferii a New York City ed iniziai a lavorare per Jazz and Pop, recensii We’re Only In It for the Money e Uncle Meat. Dato che il mio editore era amico di Frank, riuscii ad incontrarlo al Newport Jazz Festival, dove lesse l’articolo e mi disse che ero una delle poche persone a sapere cosa stesse facendo. Così continuai a scrivere di Frank e fui uno dei pochi critici della stampa underground a dargli più voce…”.

     “La prima reazione di Zappa al libro fu questa: era divertito, ma non eccessivamente entusiasta… Molti dei soci di Zappa mi hanno contattato e mi hanno detto che avevo scritto un libro esplosivo. Tuttavia, mi hanno detto di NON dirlo a Frank perché li avrebbe licenziati. Ho rispettato i loro desideri, naturalmente, ma ho trovato un certo grado di soddisfazione nel loro consenso per ciò che avevo cercato di fare. I membri della band dovevano stare attenti a quello che dicevano in sua presenza o sulla stampa… Quando Frank licenziò i primi Mothers, lui aveva il controllo: era il leader. Li pagava e loro lavoravano per lui, non con lui… Il libro ha offeso solo Frank, tutti gli altri mi hanno detto che, che gli piacesse o no, era fatto così… A mio parere, la teoria della ‘spinta negativa’ è venuta da Frank stesso, che ha pensato a quello che avrei potuto dire ma non ho detto. Forse avrebbe potuto gestirla molto, molto meglio se l’avessi fatto io. Ma continuo a non capire cosa ci sia di negativo nell’affermare che gli esseri umani sono fallibili. Era un essere umano in un universo umano. Era un grande artista, forse un genio. Anche i geni a volte possono essere stronzi, e allora? Frank passava molto tempo a dare degli stronzi agli altri, cosa che era un suo diritto, ma non riusciva mai a guardare se stesso con altrettanta chiarezza… So quanta cura, sudore e fatica ho impiegato nella scrittura del libro e nella ricerca…

    Nessuno, né Zappa né Mutt Cohen (fratello di Herbie), aveva fatto intendere che avrebbero fatto causa. Il mio editore era in difficoltà, pensando che non avessi mai ottenuto il permesso ma lo consegnai anche se andò perso alla morte del contabile dell’editore e i documenti rimasero bloccati sulla scrivania per sei mesi…Ero persino pronto a rimuovere personalmente i testi offensivi (al di sopra del quoziente di fair use), a far firmare il libro ad ogni persona che aveva contribuito e a scrivere sulla copertina “Censurato”, il che avrebbe certamente aumentato il valore del libro, almeno come reperto storico. Quando finalmente abbiamo trovato il permesso, abbiamo inviato i soldi che ci hanno restituito. Alla fine abbiamo detto “fanculo” e abbiamo pubblicato il libro. Sembra che alla lunga sia andato tutto bene, eh? Ciò che Frank ha detto pubblicamente era spesso in contrasto con il suo modo di agire…

    Chiunque abbia un minimo di buon senso comprende che il libro contiene una mia interpretazione personale in base al modo con cui ho assimilato i fatti (che è prerogativa dello scrittore). Quindi, non ho mai capito perché Frank abbia continuato a passare anni della sua vita (gran parte degli anni Settanta) a criticarmi. Ricordo di avergli detto che se il libro non gli piaceva, non c’era bisogno che lo dicesse. Zappa ha rilasciato interviste su Gallery e Penthouse definendomi uno psicotico – una persona disturbata che non capiva minimamente cosa lui rappresentasse. Ha affermato nelle interviste che dovevo essermi inventato tutto, che niente di tutto ciò aveva alcun fondamento! Sono rimasto davvero ferito dalla reazione di Frank al mio libro, dato che nutrivo solo rispetto per il suo lavoro e per ciò che stava cercando di fare. Ho pensato che fosse una reazione incredibilmente paranoica, ma suppongo che fosse il prodotto della sua visione del mondo, oltre al fatto che in effetti era piuttosto protetto, o meglio, pretendeva di esserlo. Frank era bravo a criticare tutti gli altri, ma non riusciva a reggere le critiche… Professori di università e college mi hanno detto che se uno vuole conoscere l’America degli anni Sessanta, il mio libro lo introduce in modo rapido, accurato e abile. Non dimenticare che mi sono sempre considerato uno storico culturale, anche quando scrivevo di musica pop”.

    “Il suo cinismo era la sua difesa contro il fallimento critico. Ciò che Zappa aveva più di ogni altra cosa era una volontà nuda e cruda, che si manifestava nei suoi sforzi compositivi. In ogni caso, si considerava un outsider nella classica modalità di Colin Wilson (grande classico sull’alienazione). Guarda, il mondo è un posto piuttosto assurdo, le persone sono strane, giusto? Se non puoi riderne, devi piangere. Chi ha bisogno di questo? C’è anche una certa risata cosmica nella satira di Zappa, sebbene a tratti si sia fatta un po’ troppo pesante. Credo che ciò fosse dovuto al suo assecondare i gusti del suo pubblico man mano che si evolvevano…”.

    “Ho scritto la postfazione il giorno della morte di Frank Zappa, l’ho revisionata parecchio e l’ho inviata al New Yorker Magazine. Quando ho finito l’aggiornamento, ho deciso che la volevo anche nel libro; come la mia voce, i miei pensieri. Avevo fatto il mio lavoro di biografo di Zappa e ho pensato che fosse ora di uscire dalle luci della ribalta e fare il mio piccolo discorso. Se il libro non fosse stato ripubblicato, la postfazione sarebbe rimasta nel mio hard disk come uno spazio elettronico vuoto… Onestamente, ero in conflitto con lui. Amavo davvero quell’uomo e il suo lavoro. Non mi piaceva come mi trattava quando non gli avevo fatto nulla. Credo che, considerando quello che avrei potuto scrivere, sono stato decisamente piuttosto “gentile” con lui da questo punto di vista. Comunque, che senso avrebbe avuto scrivere un libro che distruggeva qualcuno di cui rispettavo la musica e la cui visione in qualche modo condividevo? Gli scrittori non dovrebbero esprimersi? Lui era un grande esempio di onestà e di sincerità. Ho pensato che fosse giusto che esprimessi le mie opinioni. Peccato che la postfazione non sia apparsa nel New Yorker…”.

    “Per Frank le visite personali erano uno ‘sforzo’. Lo faceva con tutti. Era a disagio con se stesso (disagio con il linguaggio) ed era veramente felice solo quando lavorava e scriveva. In pubblico aveva questa personalità, geniale ma distaccata. Beh, almeno per me era un atteggiamento un po’ autoritario… Per la cronaca, Frank ha sempre sostenuto, dopo l’uscita del libro e quando ancora parlavamo, che io abusavo della sua amicizia ​​e non sono mai riuscito a capire cosa intendesse…”.

    https://wiki.killuglyradio.com/wiki/David_Walley’s_Exclusive_Interview

  • Ruth Underwood: “Zappa aggiungeva tutte quelle piccole note extra…

    Frank Zappa e Ruth Underwood

    Frank Zappa aggiungeva tutte quelle piccole note extra su due dei miei bongo, sul suo rullante piccolo e sul suo tamburo da campo

    (Ruth Underwood)

  • Gail Zappa: “non ci sono ex fan di Frank Zappa”

    Frank Zappa 1976 San Francisco
    San Francisco, 1976 (foto di Richard McCaffrey)

    “Non ci sono ex fan di Zappa”

    (Gail Zappa – Queen Elizabeth Hall Londra, 2013)

  • Steve Vai: “Frank Zappa spremeva al massimo qualsiasi strumento”

    Steve Vai e Frank Zappa

    “Frank prendeva qualsiasi strumento immaginabile, lo strizzava, lo agitava e lo tirava come un pitbull con una bistecca! Frank studiava a fondo ogni parametro e, quando lo spremeva al massimo delle sue possibilità, chiamava l’azienda e spiegava loro cosa dovevano fare per migliorarlo”.

    (Steve Vai, discorso di accettazione del TEC Les Paul Award – NAMM Show 2012)

  • Tommy Mars meets Frank Zappa: something about E-mu & Electrocomp

    Pound For a Brown (solo Live Baby Snakes)

    Live con Frank Zappa, Adrian Belew e Terry Bozzio (1977)

    Jam con Arthur Barrow (Live al Celebrity Theatre, Phoenix, 13 ottobre 1980 – bootleg)

    “Frank non aveva mai sentito parlare di Electrocomp prima della mia audizione e poi ne ha presi tre per la band. Peter Wolf usava questo sintetizzatore ma anche Arthur Barrow e Bob Harris. Quando ho fatto la mia audizione, avevo con me il mio Rhodes, il mio Electrocomp e i pedali per basso Taurus. L’ho smontato e ho suonato qualcosa. Il mio suono distintivo era un suono di corno francese, un suono di ottoni, era il mio genere di firma e Frank è rimasto a bocca aperta. Non credo avesse mai sentito un sintetizzatore fare quel tipo di suono con quel tipo di espressione. Gli dissi: “Potrei impostare il suono dell’Electrocomp per te sull’E-mu: avresti cinque voci, una polifonia completa”. Frank era così entusiasta che disse “OK, fallo!” e mi assunse provvisoriamente quel giorno a casa sua dicendo: “Voglio che torni tra una settimana, ti darò questa musica, voglio che la suoni per me, poi entrerai nella band”. Quando tornai la seconda settimana, mostrai ai ragazzi che si occupavano dell’E-mu cosa avevo fatto. Frank disse loro: “Collegatelo in modo rigido” e così fecero. Se armeggiavi con le manopole (tranne per l’accordatura, quelle manopole dovevano essere libere), gli envelope erano preimpostati, legati sul retro… Alla prima prova tutto era impostato esattamente come volevo, il VCA e il VCF erano collegati parallelamente come l’Electrocomp e l’ho modificato un po’… Sull’Electrocomp c’è un’impostazione del filtro, un filtro che segue l’intonazione e ingrassa il suono; l’E-mu non aveva questa capacità. In altre parole, se suonavi due note insieme, si otteneva una leggera e calda distorsione che poi svaniva, un colore particolare, come l’imboccatura di uno strumento in ottone.

    L’E-mu aveva un suono un po’ più pulito e un po’ privo di personalità rispetto all’Electrocomp, tuttavia il connubio tra i due era semplicemente splendido. Basta ascoltare gran parte del materiale di “Sheik Yerbouti”, in cui suonavo moltissime parti in parallelo, per capirlo.

    Frank mi lasciava suonare le tracce simultaneamente sull’Electrocomp e sull’E-mu, in parallelo. Invece di fare una parte di E-mu e una parte di Electrocomp, facevo due parti in una sola ripresa”.

    “Nessuno strumento poteva fare quello che faceva l’E-mu nel 1977… Durante i live era quasi come se l’E-mu guidasse la jam. Non sapevo mai quando sarebbe arrivato… Una volta, a casa mia, non smetteva di suonare neanche quando lo spegnevo. Ho dovuto staccarlo, alla fine. Era un sequencer analogico, tutto veniva fatto con i voltaggi… Il problema è che gli E-mu, dopo un paio d’anni in tour, iniziavano a diventare inadeguati, a sputare fuori diarrea digitale all’improvviso come sintetizzatori rotti, avevano una loro personalità. L’E-mu risultava molto sensibile con lo snake (che collega la tastiera al sintetizzatore)… Era lo snake a coinvolgere il sequencer; qualche strana attività che coinvolgeva il sequencer all’interno dello snake innescava l’avvio della riproduzione spontanea… Non era come l’Electrocomp; l’E-mu era pensato per essere uno strumento da studio, non per i tour… L’E-mu è in un museo a Parigi, il Musee de la Musique”.

    “I ragazzi dell’E-mu hanno visto come ho impostato l’Electrocomp usando un inviluppo completo, in altre parole non ho usato un VCA in ambito sonoro, lo usavo come dispositivo di controllo, per controllare l’intonazione e quando hanno visto come lo stavo usando hanno detto “Non ci avevamo mai pensato”. Non hanno mai pensato che potesse essere usato come controllo piuttosto che come suono, quindi l’E-mu è stato impostato in un modo completamente nuovo… Ci sono molti cambiamenti di tono nell’E-mu: quando la nota arriva alla fine bisogna regolare a piacere la quantità di battito. L’E-mu si scordava spesso, dovevo accordarlo probabilmente ogni 45 minuti… Il motivo per cui l’E-mu è stato ritirato è perché ha avuto un crollo nervoso, non era più utilizzabile, dal nulla sputava fuori una follia analogica!

    Abbiamo optato per il CS80 perché poteva fare tante altre cose che il Prophet e l’E-mu non avrebbero mai potuto fare. Era fantastico poter usare il controllo del pitch con un semplice pezzo di filo. Non aveva la finezza che cercavo, ma con quel connubio tra digitale e analogico c’erano cose che non si potevano nemmeno sperare di fare con l’E-mu. Era affidabile, non si rischiava un crollo nervoso sul palco”.

    (estratto da un’intervista di Mick Ekers a Tommy Mars, Zappa’s Gear, 8 settembre 2011)

    “Ho investito migliaia di dollari in sintetizzatori molto esotici e avanzati. Ho un’enorme configurazione E-mu” (Frank Zappa)

    Video consigliato

  • George Duke on Frank Zappa

    Frank Zappa & Mothers of Invention – Improvisation 13 maggio 1973 (Live all’Università di Cincinnati)

    con Frank Zappa, Jean Luc Ponty, George Duke, Tom Fowler, Ralph Humphrey, Ruth Underwood, Ian Underwood, Bruce Fowler, Sal Marquez

    “Penso che fosse sottovalutato come chitarrista, semplicemente non credo che abbia mai ricevuto i riconoscimenti che meritava perché era molto interessante il suo modo di pensare alla musica, il modo in cui faceva gli assoli e il modo in cui costruiva le sue melodie… Erano come piccoli pacchetti di idee, poi messi insieme. Non voleva spartiti sul palco, doveva ricordare tutto, ma quando faceva un assolo lo faceva esattamente allo stesso modo, erano come pacchetti di idee ritmiche e poi passava all’idea successiva… Era molto matematico ma aveva anche un contenuto emotivo. Molto interessante, e non ho mai visto nessun altro, nella mia carriera, che pensasse alla musica e suonasse come lui. Lui la faceva funzionare, e riusciva ancora a suonare il blues con quella musica… Era design. C’erano rettangoli, quadrati, ottagoni e altre forme diverse e… Ho imparato così tanto solo stando in sua presenza. Voglio dire, era un genio”.

    “Quello che succedeva sul palco era in realtà un’estensione di ciò che succedeva fuori dal palco, molte delle canzoni sono nate da cose che succedevano fuori dal palco. Frank era famoso per questo perché andava sempre in giro con un registratore. Con due microfoni attaccati con il nastro adesivo al registratore, registrava frasi che diceva Jeff Simmons o Howard Kaylan o Mark Volman o me. È così che è nata la battuta ” DownBeat”: portavo sempre in giro la rivista “Downbeat” nella mia borsa a tracolla. Frank ha avuto quest’idea e l’ha inserita nel film: “Voglio portarmi in giro Downbeat così sembro alla moda e so cosa sto facendo”. O qualsiasi cosa dicessi. Tutto era fondamentalmente vero, è stato glorificato e amplificato”. 

    “L’amplificatore di Frank era troppo lontano da dove mi trovavo io, ma so che aveva un Marshall, tirava fuori un sacco di suono considerando che a me non sembrava poi così tanto. Ma so che in seguito metteva Captain Beefheart davanti al suo amplificatore perché gli piaceva vedere come avrebbe reagito. Ad un certo livello del volume, Frank suonava una nota e faceva fare a Don van Vliet qualcosa di divertente. Don era piazzato proprio davanti all’amplificatore, più in basso sul palco davanti all’amplificatore e con tutti i fogli intorno perché Don non riusciva mai a ricordare il testo. Tutti questi fogli erano sul pavimento e, quando Frank suonava questa nota, l’aria generata dall’amplificatore li faceva volare via, non erano fissati con il nastro adesivo! A quel punto, Don andava in giro cercando di raccogliere i fogli, il testo, e ogni volta che Frank suonava la nota, Don diceva “Accidenti!” e lui cominciava…”.  

    “Per le lunghe ore trascorse in studio a lavorare con Frank non sono stato pagato, ma sono stato sicuramente ripagato in un altro modo. Non sono stato pagato economicamente, ma ho ottenuto benefici che vanno ben oltre il semplice ricavato di qualche dollaro di residuo da un disco: la vedo così e non ho problemi con Frank”.

    “Era quasi come se Frank sapesse di avere poco tempo e di avere molto da fare e molto da dire prima di andarsene. Era quasi come se, da qualche parte dentro di lui, sapesse di avere poco tempo e di non avere tempo per le frivolezze, in termini di musica. La sua era una dedizione seria: se non eri coinvolto nella realizzazione delle sue composizioni, allora non aveva tempo per te. Non so se fosse una questione personale, credo che sapesse semplicemente di non avere tempo”.

    “Frank diceva sempre che bisogna trovare un modo per uscire da dietro le tastiere e arrivare davanti al palco. E alla fine un giorno, mentre leggevo la rivista Downbeat, ho visto questa cosa e ho pensato ‘Wow! Sembra una chitarra con una tastiera sopra’. Questo tizio si chiamava Wayne Yentis, suo padre viveva a Los Angeles, l’ho chiamato e gli ho chiesto “È vera?”. Lui ha risposto “Sì, vuoi vederla?” e io “Sì! Dove vivi?”. Sono andato a casa sua, l’ho guardata e ho detto “Guarda, è esattamente quello che sto cercando”. La storia è partita da lì, ma a quel punto avevo già lasciato Frank”.

    (estratto da un’intervista a George Duke, Zappa’s Gear, 5 gennaio 2012)

  • FZ impressionato da un certo tipo di jazz elettrico?

    Frank Zappa sul jazz elettrico

    Stavi lavorando con fusioni di rock e jazz e anche classica molto prima di persone come Mahavishnu John McLaughlin. Sei impressionato da un certo tipo di jazz elettrico? John McLaughlin?

    “No”.

    Michele Urbaniak?

    “No”.

    Non ti piacciono?

    “Hai chiesto se sono rimasto colpito da loro e ti ho risposto no”.

    (Bugle American, 17 dicembre 1975)

  • Slonimsky, Nagano e Penn su Frank Zappa

    Frank Zappa secondo Slonimsky, Nagano e Don Penn

    Il noto compositore classico e amico Nicolas Slonimsky ha affermato che Zappa “ha creato un nuovo millennio musicale“.

    Il direttore Kent Nagano non usa spesso la parola ‘genio’, ma ha ammesso: “Frank è un genio… È estremamente colto musicalmente”.

    Nel numero di omaggio del 1992 di Guitar Player, l’editore Don Penn ha dichiarato che Zappa è “il compositore più importante uscito dalla musica popolare moderna“.

    (tratto da un articolo di Ralph Hulett, Record Collector News, novembre/dicembre 2008)

  • Frank Zappa su punk-rock e art-rock

    Frank Zappa sul punk-rock

    A Zappa piaceva il punk-rock degli anni ’60 come Sky Saxon, ma quando ha visto i Sex Pistols in televisione non li ha trovati “troppo soavi”.

    Riguardo all’art-rock, Zappa riteneva che alcuni gruppi non avessero legittimità in quel campo musicale. I Genesis, ad esempio, avrebbero potuto essere usurpatori di idee musicali.

    “Negli anni ’60, il cosiddetto art-rock era suonato da gruppi come i Renaissance sulla costa orientale, indossavano tuniche e suonavano riff classici alla chitarra” ha detto Zappa “Un gruppo di oggi come i Genesis avrebbe potuto rubare idee a una band che non ha mai ottenuto un contratto e che è ancora in agguato là fuori tra i cespugli”.

    Frank Zappa sull'art-rock

    D’altro canto, Zappa ha ammesso di aver trovato i Gentle Giant interessanti, nonostante il gruppo sia limitato. Ha sottolineato che i Gentle Giant non sono certo al vertice di ciò che il rock può fare.

    (Intervista a Frank Zappa di Ralph Hulett, The Daily Aztec, 6 ottobre 1977)